Ava (Chastain) è un'assassina seriale che lavora per un'organizzazione operistica nera, viaggiando per il mondo specializzato in hit di alto profilo. Quando un lavoro va pericolosamente male è costretta a lottare per la propria sopravvivenza.
Short Synopsis:
Ava (Chastain) is a deadly assassin who works for a black ops organization, traveling the globe specializing in high profile hits. When a job goes dangerously wrong she is forced to fight for her own survival
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
“Perché qualcuno ti dovrebbe volere morto?”
Di cosa fosse capace potevamo avere già un’idea, ma vederla in azione al climax dell’intensità in questo modo potrebbe sorprenderci! E’ lei, la Ava del titolo, la prima protagonista, e bisogna ammettere che la sua fantastica ed indomita interprete, Jessica Chastain, la celebra come meglio non si potrebbe. Il regista Tate Taylor (Ma, La ragazza del treno) le dà fiducia piena, affidandole le redini di una storia che dietro l’azione da ‘bond girl’ di ottimo calibro, lascia trasparire il complesso background familiare e personale della ragazza. Un background che si fa più sottile e lucido man mano che si va avanti, mentre ci lasciamo alle spalle l’identikit primario con cui uno stupendo montaggio la presenta allo spettatore: dall’infanzia alle fasi di formazione militare fino a raggiungerla nel ruolo che occupa nel suo presente. Ava/Chastain è una killer professionista tanto affascinante - da bucare lo schermo!
- nel suo trasformismo di look mirati e strumentali all’obiettivo - quanto glacialmente spietata e cinica. Il frutto di un duro addestramento per dimenticare certi tradimenti affettivi che affioreranno più avanti in tutta la loro dolorosa e drammatica fisionomia. Ma nulla è esibito, la sua è una recitazione compressa a tutto tondo. Intorno a lei, un corollario di star che sanno bene come ronzarle intorno, andando ad aggiungere il condimento che serve per ogni circostanza: dal Duke di John Malkovich, imperativo e di gran lunga superiore al collega Simon di Colin Farrell, alla Bobbi (madre di Ava) di Geena Davis, tra gli altri. In mezzo a loro scorrono fiumi di adrenalina e una buona dose di sofferenza interiore, prima ancora che fisica, tanto quanto basta da non tergiversare in inutili pause, rischiando di portarsi oltre il consentito. I tempi sono misurati in modo da non stancare lo spettatore e tenerlo
sulla corda quanto basta affinché lo sguardo resti incollato su quel magnete di giovane donna disposta a tutto, dall’inizio alla fine, comunque vadano le cose. E, a giudicare dal finale ‘sospeso’, per così dire, potrebbero non mettersi al meglio.
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)