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    L'INTERVISTA

    64 Mostra: Lido di Venezia 31 agosto 2007 ROUND TABLE & DINTORNI: MICHAEL CLAYTON per la regia di TONY GILROY

    31/08/2007 - Presenti il regista TONY GILROY e gli attori GEORGE CLOONEY e TILDA SWINTON.

    L’ultimo film presentato a Venezia, Good Night, and Good Luck, aveva come motto “la loro unica arma fu la verità”, per Michael Clayton “la verità può essere aggiustata”. Sembra essere una nota ricorrente, una sorta di ossessione, questa ricerca della verità. Avrebbe fatto questo film se non ci fosse stato l’11 settembre?

    G. CLOONEY: “Innanzitutto dipende molto dal tipo di film che ti piace fare. Siccome io sono sempre stato un fan, un gran sostenitore, dei film di genere degli anni Settanta, comunque l’avrei fatto. Quello che viene detto, la discussione della rilevanza della verità sono sicuramente più importanti oggi, considerando quello che è successo in questi ultimi cinque o sei anni. Ovviamente questa domanda la potete rivolgere a Tony (Gilroy) che può rispondervi meglio di me, però se non mi sbaglio, questa sceneggiatura è stata scritta molto prima dell’11 settembre, quindi sicuramente dimostra quest’interesse da parte sua rispetto a questi argomenti, anche prima degli eventi di questi ultimi anni anche se ovviamente oggi c’è una maggiore enfasi, una maggiore accentuazione rispetto al fattore della verità”.

    Hollywood è da sempre alla difesa della coscienza del mondo politico americano. Il cinema può contribuire a cambiare la situazione, la realtà delle cose? E lei si sente mai frustrato in questo impegno politico?

    G. CLOONEY: “Innanzitutto devo dire che sicuramente Hollywood può essere la coscienza e può cambiare le cose e in realtà lo ha fatto. E’ stato utilizzato il cinema ad esempio per istigare le guerre, è stato utilizzato per sostenere la politica estera, lo è stato per contribuire a sradicare il razzismo, per far sì che venissero accettati e applicati i diritti delle donne, quindi ha modificato sicuramente la società. Però, questo è molto importante da tener presente, noi in realtà non guidiamo la società, noi siamo lo specchio, riflettiamo la società, perché in genere, quando si realizza un film, magari succede una cosa, passano un paio di anni prima che se ne scriva, prima che si produca un film e che lo si faccia uscire, quindi siamo un po’ lo specchio e non la guida. Per quanto riguarda la mi frustrazione circa la mia partecipazione, il mio coinvolgimento, si, certo, sono frustrato, perché vivo in un Paese in cui in realtà molti sono gli Americani che non sono affatto soddisfatti del nostro stato, della nostra condizione, e sicuramente il cinema è stato utilizzato per tutte queste cose importanti ma magari ha anche insegnato alla gente a fumare. E’ stato tutto questo e può sicuramente cambiare”.

    Michael Clayton sembra quasi un antieroe romantico di Raymond Chandler

    G. CLOONEY: “Se noi avessimo visto un film sulla vita del mio personaggio non in questo periodo ma dieci anni prima, il cattivo nel film sarebbe stato lui, invece questa è una specie di redenzione da parte del mio personaggio. Non magari una redenzione di quelle importanti… però sicuramente un minimo, una parte di redenzione”.

    A proposito del finale, mi ha ricordato ‘I tre giorni del Condor’, film peraltro dello stesso Sydney Pollack. Un finale non definito per un film in cui la mancanza di ‘glamour’ del personaggio è reale…

    G. CLOONEY: “In realtà diciamo che il 95% degli attori che dovessero rispondere a una domanda di questo genere in maniera onesta e sincera vi direbbero che ben poco è merito loro, perché la stragrande maggioranza del merito va attribuita al regista e allo sceneggiatore. Perché se il film è ben scritto e ben diretto, c’è molto poco che loro devono aggiungere o cercare di capire. Basta leggere una sceneggiatura ben scritta e sanno esattamente quello che devono fare. Oltretutto in questo caso volevamo togliere intenzionalmente il ‘glamour’. Non avere un personaggio ‘glamour’, il che può risultare alquanto difficile farlo quando sei un attore molto famoso, quindi volevamo toglire ‘glamour’ al personaggio e a me, cosa che devo dire sta diventando sempre più facile man mano che cresco, che passano gli anni e invecchio (scherza). Non volevamo assolutamente dare l’idea della star del cinema e, in questo senso, la cosa più importante è avere un regista di grande talento come ho avuto io, anche se dovrei smetterla di fare i complimenti perché se sta qui e mi sente… A proposito del finale… Il finale è stata l’unica parte che il regista non aveva ancora deciso come realizzare. Non aveva ancora capito come si sarebbe chiuso il film, tanto è vero che quando abbiamo letto la sceneggiatura lui mi ha detto ‘sul finale non so ancora bene cosa metterci, come stabilire tutto’. Questo succede anche in altri film, ad esempio ne ‘Il laureato’ quando i due salgono sull’autobus e si guardano in faccia, sembra che si dicano ‘è andato tutto bene, però ora che succede?’, oppure con l’altro film, ‘The Candidate’, dove Peter Boyle vince le elezioni e poi sta lì nella stanza e sembra dire ‘e adesso? Che succede adesso?’. Abbiamo pensato di trovare al nostro film questo tipo di chiusura, questo finale perché abbiamo ritenuto che fosse la cosa giusta da fare: non dire che cosa sta per succedere o cosa succederà, anche non sappiamo adesso se poi la gente rimarrà appiccicata davanti allo schermo per tutta la sequenza dei titoli di coda sulla faccia del protagonista. Abbiamo provato e girato il finale due o tre volte e poi abbiamo ritenuto che questa fosse la cosa giusta da fare”.

    Poco fa Brian De Palma con il suo film ‘Redacted’ presentato qui in concorso è andato a toccare un tema scottante dimostrando un grande coraggio, perché ha fatto un film su un tema come la guerra in Iraq ancora in corso, toccando con mano un problema ancora vivo. Ci vuole coraggio per cambiare il mondo al cinema?

    G. CLOONEY: “Adesso non ci vuole tanto coraggio, prima si. Adesso fortunatamente no, considerato il fatto che il 70% della popolazione amricana è contro questa guerra. Ci voleva coraggio intorno al 2003, quando facevamo ‘Syriana’, quando abbiamo fatto ‘Good Night, and Good Luck’. Addirittura, sulla copertina di una rivista, per questi film che ho realizzato, sono stato citato come ‘traditore’ del mio Paese. Oggi più che il coraggio ci vuole talento. E quindi ci vogliono registi di talento come Brian De Palma per affrontare queste questioni, per spiegarle… Adesso noi abbiamo cominciato a fare una cosa in cui noi Americani siamo grandiosi, cioè mettere le pezze, cercare di aggiustare i problemi che noi stessi provochiamo. Mettere le pezze agli errori che facciamo, così come ne abbiamo fatti tanti e ne continuiamo a fare, come ad esempio internare nei campi i Giapponesi all’inizio della IIa Guerra Mondiale e tutte le altre varie cose che abbiamo fatto nel corso del tempo. Oggi, come ripeto, più che coraggio ci vuole talento”.

    L’America continua a comperare l’immagine del consumismo e quindi è il contraltare delle corporazioni. Indirettamente si ricollega al cinema, nel senso che non sappiamo se l’audience vorrà vedere per quanto importanti, tutti questi film d’impegno

    G. CLOONEY: “In effetti è una cosa abbastanza insidiosa perchè oggigiorno nel nostro Paese per esempio il capitalismo in un certo senso ha preso il posto e viene confuso, viene preso per democrazia e purtroppo succede questo nei vari Paesi, sono molti i Paesi ad attraversare questa fase. E anche il sistema degli Studios è tale per cui gli Studios sono di proprietà delle grosse multinazionali, però secondo me è possibile trovare un modo per aggirare questi ostacoli, quindi per venirne fuori, anche se siamo in un momento veramente brutto da questo punto di vista: in un Pease in cui i ricchi son diventati sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri e la classe media, la borghesia, praticamente non esiste più. Però, come dicevo prima, c’è in un certo senso quest’immagine speculare. E’ vero che i ragazzini, i teeneger vanno a vedere magari ‘Spiderman’ e non vanno a vedere questi film impegnati, questi film importanti, però molti di questi ragazzini, se noi avessimo avuto ancora in America il sistema del servizio militare obbligatorio, molti comunque sarebbero partiti. Noi dobbiamo dire che in questo momento in America quelli che vanno a combattere la guerra sono i più poveri, quelli che appartengono alle classi più disagiate, a quelle meno abbienti. E purtroppo si, abbiamo questo specchio nella nostra società dove per esempio il mercato azionario è quello che la fa da padrone, abbiamo una società di questo tipo. Diciamo che in passato, quando c’erano film più impegnati, non è che non ci fossero anche film di puro e leggero intrattenimento come ‘Lo squalo’ o film di questo genere. Film peraltro che uscivano in contemporanea rispetto a film del tipo, ad esempio, ‘Tutti gli uomini del Presidente’. C’era spazio per entrambi allora. La grossa differenza probabilmente oggi è che quando parliamo di multinazionali di grosse aziende parliamo anche del fatto che ormai esistono solo le multisale, multiplex, non esitono più i piccoli cinema, magari con un solo schermo”.

    SEGUE

    (A cura di PATRIZIA FERRETTI)


     
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