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    L'INTERVISTA

    62a Mostra: Lido di Venezia, 9 settembre 2005 PRESS CONFERENCE & DINTORNI: The Constant Gardener per la regia di FERNANDO MEIRELLES

    10/09/2005 - Fernando Meirelles (regista); Ralph Fiennes (attore); Rachel Weisz (attrice); Simon Channing Williams (produttore).

    Dopo aver visto questo straordinario film non ci si stupisce certo del fatto che lo staff di rappresentanza sia stato accolto da un’ovazione.

    Guardando al ruolo degli interpreti protagonisti ci si rende conto che si tratta di due personaggi idealisti. Come saranno nella vita reale Rachel Weisz e Ralph Fiennes? Altrettanto idealisti come i personaggi che hanno interpretato? Che tipo di istruzioni avrà dato per l’interpretazione dei rispettivi ruoli John Le Carré, autore del romanzo da cui è stato tratto il film?

    Rachel Weisz: “Si, sono sicuramente un’idealista, ma sono anche ben diversa da Tessa. Io sono appassionata, Ma di fatto racconto semplicemente delle storie. E’ questo il mio lavoro. Abbiamo tratto ispirazione da questo romanzo eccezionale”.

    Ralph Fiennes: “Anch’io sono idealista, ma per quanto riguarda il potere del cinema o del teatro e della possibilità di cambiare qualcosa, di creare questo spirito di ricerca nella gente. Credo nel potere dei film di creare un elemento di disturbo, in modo che la gente possa fermarsi a pensare e farsi delle domande. Questo è tutto il mio idealismo, che può essere o non essere politico. Ho incontrato John Le Carré un paio di volte, abbiamo parlato di Justin Quayle, il personaggio che interpreto e – forse mi sbaglio – credo che ci sia un po’ di Justin in John Le Carré, però non si tratta della rappresentazione scenica di John Le Carré: ho cercato di trarre da lui più informazioni possibili sul personaggio, più di quanto ci fosse nel libro”.

    Già all’epoca di pubblicazione del romanzo, ci furono reazioni da parte delle aziende farmaceutiche. La domanda è rivolta al regista: pensa che ci saranno anche nel caso del film reazioni analoghe? Non ha parlato di tutti i problemi finanziari di questo tipo di società farmaceutiche, che portano in borsa qualsiasi ricerca per trarne denaro, per finanziare la ricerca sui prodotti che stanno cercando di sviluppare. E’ un affare davvero molto complesso da spiegare. Crede che il suo film avrà un qualche effetto sul mercato, sulle compagnie farmaceutiche o sulla società nel suo senso più vasto?

    F. Meirelles: “Prima di tutto non credo che si sarà qualcuno che si alzerà per dire che non gli piace il film. Se questo accadesse potrebbe far scaturire una polemica intorno al film, il che potrebbe anche essere utile. Non credo che succederà con il film. Durante la realizzazione ho letto tantissimi articoli, tante relazioni sui prodotti farmaceutici e volevo utilizzare il film per dire di più sulle società farmaceutiche e sui loro prodotti, perché la situazione è abbastanza spaventosa. Ho girato un documentario di 9 minuti inserito nel film, dove i giornalisti guardano questo documentario sui prodotti farmaceutici e ricevono informazioni da società come ‘Medici senza frontiere’…. E quando questo documentario veniva mostrato, nel film sembrava quasi che fossi io stesso, il regista, che parlava al pubblico, quindi abbiamo deciso di toglierlo. Non funzionava dal punto di vista della regia”.

    E si chiede ancora al regista quale sia il problema di girare film sulle industrie farmaceutiche. Quali sono secondo lei i problemi dell’industria farmaceutica?

    F. Meirelles: “Il film si occupa di africani usati come cavie per testare i prodotti farmaceutici, ma questo non è il problema più grave secondo me. La politica dei prezzi è il vero problema. Si producono farmaci di poco conto e poi si rivendono loro a prezzi altissimi. Si fa pressione con il potere che hanno le case farmaceutiche sui governi e, appunto, si continua a testare questo tipo di farmaci in Africa”.

    R. Fiennes: “Non devo aggiungere molto altro a quanto Fernando (Meirelles) ha già detto. E’ strano incontrare molte persone nelle ultime settimane, e sentirsi chiedere di parlare dell’industria farmaceutica. Mi sento quasi un portavoce del prodotto. Non sono un portavoce del problema. Fernando ha già risposto in merito a quali sono i settori principali di preoccupazione: la possibilità di avere accesso ai farmaci, in particolare per la malaria, per l’Hiv, per la tubercolosi, farli arrivare a chi veramente ne ha bisogno”.

    Rachel Weisz: “Fernando (Meirelles) ha detto qualcosa di molto interessante. Il problema sui farmaci è che sono allo stesso tempo buoni e cattivi: ci servono, li prendiamo, ci fanno vivere più a lungo, ci fanno guarire dalle malattie, tanti lati positivi sicuramente, non si tratta solamente di aspetti negativi. Ma, come Ralph (Fiennes), non sono in grado di fare il portavoce di persone che hanno problemi. Ci sono miliardi e miliardi di dollari, Euro, sterline, coinvolti in questo affare. Quello che indica il film è il modo in cui i governi vengono gestiti da corporazioni e dalle grandi aziende. Sono le grandi aziende che guidano i politici - è un aspetto affascinante - l’industria farmaceutica è una di queste corporazioni, di queste grandi forze industriali. Questo è quello che cattura la mia fantasia sulla situazione in generale”.

    Questo film ha una grande contaminazione sia dal punto di vista visivo che da quello dei generi: è un thriller ma è anche una grande storia d’amore, nonché un film dal grande valore politico. Non è dunque un blockbuster hollywoodiano ma un film di ben altro spessore. E a proposito di spessore ci si chiede se questo poteva anche essere il polo di attrazione per la scelta di interpretare questi personaggi così anticonvenzionali e, appunto, di grande spessore:

    Rachel Weisz: “E’ un insieme di generi diversi. Per me è stato interessante il fatto che il film fosse allo stesso tempo un giallo e una storia d’amore e che non si trattasse di due generi separati, bensì che fossero mescolati insieme. Il personaggio di Ralph diventa quasi un detective, non è James Bond, è un uomo qualsiasi, diventa però una spia, un investigatore che scopre sempre di più sul giallo, sulla morte di sua moglie, si innamora sempre più di lei, quindi il giallo e la storia d’amore sono come due amanti intrecciati l’uno all’altro e questo è quello che più mi è piaciuto della struttura del film”.

    R. Fiennes: “Sono stato attirato dal progetto e dal personaggio, da quest’uomo che cambia: da diplomatico britannico normale diventa una persona più attiva, una specie di crociato per così dire. Ed è chiaro leggendo il libro. E’ un giallo, c’è uno stile da giallo, con la suspense su cosa accadrà. Le Carré prende le sue storie con passione e credo che anche questo fosse interessante per me, che non si trattasse soltanto di una storia: di quello che succedeva all’uomo la cui moglie era morta, quanto piuttosto che ci fosse una rabbia contro quello che le grandi aziende fanno nel Paese del Terzo Mondo”.

    F. Meirelles: “Se devo fare un confronto tra il mio film precedente, La città di Dio, e questo, posso dire che per me realizzare The Constant Gardener è stato senz’altro molto più facile. Ho sempre prodotto e mie cose e questa è la prima volta che sono stato preso per fare la regia di un altro film. La mia vita è stata molto più facile in questa occasione. Mi hanno dato già tutto pronto, avevo tanti soldi e… E’ bello essere ricchi. Ho sempre fatto il mio lavoro lottando con la mancanza di fondi e questa è stata davvero un’occasione molto speciale. L’altra cosa che ha reso questa esperienza più facile della precedente, è che la storia è molto più semplice. E’ la storia di questo personaggio, bastava seguire il personaggio. L’altra storia invece, era più complicata e difficile da controllare. E’ stata un’esperienza grande e … Spero che il prossimo film sia un’esperienza ancora più facile, se possibile”.

    R. Fiennes: “Vorrei aggiungere a quanto ha detto Fernando (Meirelles) qualcosa a proposito del fatto di aver girato in Kenya, aspetto non poi così scontato. Volevo chiarire che, senza una produzione eccezionale, decisa con Fernando a girare in Kenya, che non ha delle infrastrutture cinematografiche forti, è stato un grande successo. Anche soltanto raggiungere un posto come Angalani (?), nel Nord del Kenya, soltanto arrivare in un posto come quello, è un risultato eccezionale. E questo è stato grazie alla produzione”.

    Non si è mai visto tanto colore nel deserto dall’epoca di Priscilla, la regina del deserto. Le immagini ottenute sono veramente eccezionali:

    F. Meirelles: “In questo film l’ispirazione viene dal Kenya, quando, prima di cominciare la produzione, cercavamo le diverse locations per il film. Non sapevamo neppure se avremmo girato in Kenya o in Sud Africa: siamo andati a Nairobi e sulle strade c’erano colori davvero forti, e poi a Kiberra, in questa baraccopoli, siamo stati colpiti da tante cose, ma soprattutto dai colori. Il luogo è marrone, il terreno, i muri, i tetti, ma la gente indossa colori davvero vivaci, i vestiti hanno dei colori vivacissimi e noi tutti ci siamo stupiti di questo. Abbiamo cercato di creare quindi una tavolozza per il film, per dare maggiore intensità a questa sensazione. Il merito è stato di César Charlone, il direttore della fotografia. L’Europa è più monotona dal punto di vista del colore, passando in Africa volevamo che nel film fosse trasmessa la nostra sensazione: dare il Kenya così com’è davvero”.

    Non è sempre facile la trasposizione cinematografica da un romanzo, come in questo e in molti altri casi. Guardando alla fotografia del film, estremamente interessante, ci si chiede quale sia stato il rapporto del regista con il direttore della fotografia, perché con The Constant Gardener si tratta di una storia visiva oltre che di una storia narrazione:

    F. Meirelles: “Lavoriamo insieme da quindici anni ormai, forse anche di più. Ci conosciamo bene, siamo amici, lavoriamo insieme, nello stesso ufficio, porta a porta… ci fidiamo l’uno dell’altro… : a volte César (Charlone) usa la camera a mano, ma non fissiamo in precedenza la singola ripresa, semplicemente io mi fido totalmente di lui, a volte è Ralph (Fiennes) che parla ma la cinepresa si rivolge a Rachel (Weisz). Quando abbiamo iniziato a girare il film, siamo stati dieci giorni per otto ore al giorno, a decidere, scena per scena, come le avremmo girate, se in modo classico, o come un documentario: César sapeva esattamente quale fosse la decisione giusta per ogni scena. In un certo senso lui ha codiretto il film. Non si tratta di fotografia, ma di cinematografia. Questo è quello che si può dire di lui”.

    Rispetto a John Le Carré nel suo romanzo, il regista sembra aver aggiunto nuovi elementi nel film sempre a proposito delle industrie farmaceutiche, nel senso del voler spiegare il percorso del denaro e del livello di potere raggiunto da questo fondamentale settore dell’industria. Vi sono dunque aspetti nuovi dello stesso problema scoperti dal regista? E ci si chiede anche quali possano esser stati i rapporti con il Governo Britannico, nei confronti del quale il film non è affatto tenero, al punto da far supporre eventuali intromissioni da parte della diplomazia o di funzionari:

    F. Meirelles: “Come dicevo, ho letto molto sull’azienda farmaceutica e quindi avevo già raccolto molte informazioni che volevo trasferire nel film. Non le ho potute poi veramente utilizzare. Ad esempio nel primo montaggio, quando avevamo finito le riprese, avevamo una versione di tre ore della pellicola. E’ stato interessante perché c’erano altre scene che avremmo potuto utilizzare e c’erano anche maggiori informazioni sul settore farmaceutico che poi alla fine ho deciso di tagliare. Avevo già il dramma con la storia politica, la storia d’amore, il giallo, e in sala di montaggio ho deciso in pratica quale sarebbe stata la storia del film. Nel rapporto fra Tessa e Justin c’era già un elemento così forte che ho deciso che l’asse portante del film fosse proprio la loro storia d’amore, il rapporto tra questi due personaggi. Ed è per questo che ulteriori informazioni raccolte sull’azienda farmaceutica non sono state di fatto trasferite nella pellicola. Per quanto riguarda poi il governo britannico e le eventuali intromissioni, quando siamo andati a Nairobi ci siamo rivolti alla High Commission per parlare delle riprese, per chiedere il loro sostegno. Quando ho conosciuto l’High Commissioner, la prima cosa che mi è stata detta è stata la seguente: ‘ John Le Carré ha scritto molti romanzi, perché lei ha scelto proprio il peggiore per farne un film?’ … Ma ci ha poi prestato un aiuto importante, pensava che effettivamente il Kenya poteva trarre dei vantaggi dalla realizzazione di questo film ed è per questo che ci ha aiutato veramente in modo fondamentale. Ralph (Fiennes) ha anche visitato case di diplomatici e devo dire che abbiamo avuto tutto l’aiuto di cui avevamo bisogno”.

    Simon Channing-Williams (produttore esecutivo): “A dir la verità abbiamo avuto un sostegno veramente incredibile dalla High Commission Britannica ed è proprio grazie a loro che in qualche modo abbiamo ottenuto il sostegno anche del governo kenyota. Sono loro che ci hanno presentato alle autorità kenyote. Saprete che il libro era stato vietato all’epoca, quando fu pubblicato per la prima volta. Ma grazie all’aiuto della High Commission britannica siamo riusciti ad essere presentati e abbiamo ottenuto dei pass presso tutte le istituzioni ”.

    La musica è un’altra importante coprotagonista nel film:

    F. Meirelles: “Per le musiche ho scelto Alberto Iglesias, che ha lavorato molto con Almodovar, perché è solito comporre con una componente emotiva molto forte e qui, per il mio film, era proprio quello che ci voleva”.

    Si sente cambiato ideologicamente dopo questo film l’interprete protagonista Ralph Fiennes, notoriamente pacifista contro la guerra in Iraq?

    Ralph Fiennes: “Il film non ha cambiato la mia ideologia. Non sono un attivista militante. Ho portato avanti delle missioni di pace attraverso l’UNICEF e ho trovato situazioni analoghe a quello che succede nel film. Le cose devono indubbiamente cambiare. Il film ha semplicemente rafforzato quello che già pensavo su queste cose”.

    In seno alla piena approvazione riscossa dal film per qualità e regia, non si può fare a meno di osservare l’uso della camera a mano abbinato ad un montaggio estremamente ritmato, quasi esasperato con l’effetto dell’ulteriore rafforzamento drammatico di situazioni già drammatiche di per sé:

    F. Meirelles: “Ho effettuato le riprese in Kenya piuttosto che in Sud Africa perché volevo girare all’interno del mercato. Le stesse cose si possono fare in modi diversi: si possono avere enormi camion con le luci e tutte le comparse, preparare la scena, con tutte le attrezzature e la troupe, o si può, viceversa, decidere un’altra cosa, una piccola troupe, con una piccola camera, solo un tecnico del suono, solo uno che porta i negativi e stare sul posto della scena. Quindi, nella sequenza del mercato, quando Tessa cammina nella città, era poi effettivamente questo: cioè c’era l’attore in pratica che girava per il mercato e il cameraman che lo riprendeva con una piccola camera. Non avevamo attrezzature… non avremmo potuto fare altrimenti. C’è poi quella scena all’inizio del film, in cui Tessa guarda una rappresentazione, ebbene la rappresentazione l’abbiamo messa in atto noi e poi abbiamo girato con Tessa lì davanti. Non avremmo potuto fare altrettanto se avessimo avuto una troupe al completo. Quando si guarda il film ci si rende conto che poi quello che si vede non è fiction, è la verità, non ci sono comparse ma persone reali, e credo che questo abbia fatto la differenza riguardo al risultato finale del film”.

    (a cura di PATRIZIA FERRETTI)





     
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