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    L'INTERVISTA

    65 Mostra: Lido di Venezia 1 settembre 2008 PRESS CONFERENCE & DINTORNI: LA TERRA DEGLI UOMINI ROSSI - BIRDWATCHERS di MARCO BECHIS (Il film esce al cinema il 2 settembre)

    01/09/2008 - Presenti in sala: MARCO BECHIS (regista); CLAUDIO SANTAMARIA (attore); CHIARA CASELLI (Attrice); ALBRISO DA SILVA PEDRO (Attore); ALICELIA BATISTA CABREIRA (Attrice); ADEMILSON CONCIANZA VERGA (Attore); AMBROSIO VILHALVA (Attore); ELIANE JUCA DA SILVA (Attrice); AMEDEO PAGANI (produttore); CAIO GULLANE (produttore); CATERINA D’AMICO (Rai Cinema, CEO)

    Il suo film in qualche modo è un film ‘di confine’: questi persone non sono né indios né persone civilizzate e non a caso si mettono in una zona di ‘confine’ tra la civiltà e la giungla. C’è stata una volontà precisa per questa loro collocazione di confine?

    M. BECHIS: “Io non concordo sul fatto che loro non siano indigeni. Apparentemente potrebbe essere così ma, qual è il motivo per cui migliaia di indigeni tornano alle loro terre anche se non sono più nello stato in cui l’hanno lasciate, non hanno più un albero, ma le considerano ancestralmente le loro terre? Perché evidentemente nella loro tradizione, nella loro cultura sono rimaste intatte. Forse siamo troppo abituati a vedere gli indigeni con le piume e con le frecce quando forse si rivestono così perché arriviamo noi a fotografarli, e non riusciamo a vedere quanto la loro anima abbia una sua spiritualità…”.

    Si è sentito parlare di indios uccisi da cibo avvelenato. Nel film si vede un aereo che tenta di ucciderli col pesticida. Le ha deciso di non dare una fine pessimista, terribile a questo film, ma piuttosto di dare una speranza, visto che uno di loro non riesce a suicidarsi e quindi evidentemente sceglie di lottare. Vorrei chiedere se questa sua speranza corrisponde a verità e se c’è un movimento dietro a queste occupazioni oppure no

    M. BECHIS: “La mia speranza è grande anche perché sono convinto che loro abbiano le idee molto più chiare di noi su come si dovrebbe vivere su questa terra. Ho speranza che loro ce ne continuino a trasmettere di speranza. Non credo sia molto facile fare a meno di loro. Loro sono ‘gli altri’, in Italia ‘l’altro’ fa paura. Se noi non abbiamo la curiosità che hanno loro nei nostri confronti, noi bianchi non abbiamo futuro. Se non c’è questo scambio non c’è più vita tra noi, né speranza”.

    A. VILHALVA: “La speranza c’è… Ho un grande rispetto nei vostri confronti … Spero solo che capiate la nostra situazione”.

    Che importanza ha per voi vedere la vostra storia raccontata al cinema? Pensate che il film di Bechis sia sufficiente a cambiare le cose?

    E. J. DA SILVA: “Questo film realizzato in Brasile è qualcosa che non ci aspettavamo proprio. Il regista Marco Bechis ha lavorato molto, è stato insieme a noi e ha fatto molte ricerche. Ci sentiamo molto tristi. Vogliamo anche noi un’opportunità per i nostri bambini. Abbiamo la nostra cultura, la nostra lingua (piange). Oggi utilizziamo i vostri vestiti, mangiamo come voi. Perché? La nostra foresta non c’è più, ma nutriamo la speranza di poter andare avanti, che il governo giunga a rispettare le nostre abitudini, così come sono rispettate le vostre. Io sono una india e sono orgogliosa di esserlo. Oggi non abbiamo neppure lo spazio necessario per le nostre preghiere, e neppure per piantare qualcosa. I nostri giovani continuano a cercare. Il film racconta una storia vera. Non ci sono bugie. Tante volte gli americani non hanno detto le cose come stavano. Vogliamo qualche opportunità: anche studiare… abbiamo bisogno di un avvocato che ci possa difendere. Vogliamo essere anche attori, perché no e rappresentare il Brasile agli occhi del mondo. Questo film è stato un regalo anche per noi”.

    Da dove è venuta l’idea del film? Che tipo di ricerche ha fatto? … Che ci dice del conflitto tra le terre degli indios e la proprietà privata acquisita dai ‘fazendeiro’

    M. BECHIS: “… Questo film è nato da una serie di incontri magici, come l’Organizzazione per la tutela dei diritti umani, in particolare per la difesa delle popolazioni indigene, la Survival che ha sede a Milano (oltre che a Londra), che mi ha indirizzato da un avvocato. Dopo di che ho fatto un viaggio e mi hanno portato direttamente da lui (riferendosi al capo tribù Ambrósio Vilhalva). Da quattro anni lui, occupando una piccola parte, si è ripreso la sua terra, dopo esser stato a lungo sul bordo della strada, così come si racconta nel film. Poi, non senza violenti scontri con la polizia, è riuscito a entrare dentro, e al momento stanno rivendicando un’altra piccola parte di una sterminata fazenda coltivata a soia. Il film nasce da questo incontro e non si discosta molto da quel che è la realtà dei fatti. Non c’era bisogno di lavorare di fantasia. E’ stato necessario costruire un film… affinché non fosse un documentario, quindi mantenersi in quella sottile linea di confine tra un documentario e una finzione… Nessuno di loro interpreta se stesso, è chiaro che sono dei personaggi… E’ il Brasile che non conosciamo…Quello che abbiamo è il conflitto di sempre: da una parte i bianchi, dall’altra gli indigeni… La deforestazione è stata selvaggia… Basterebbe riprendersi quel 20% acquisito per abuso su un 2% autorizzato e gli indios potrebbero riavere il loro spazio autonomo”.

    Perché queste musiche particolari in stile tardo-barocco, mi pare del Settecento? Questo film sarà distribuito in Brasile?

    M. BECHIS: “Le musiche sono di Domenico Zippoli (1688-1726) e di Andrea Guerra. Le musiche di Domenico Zipoli sono state composte nel Settecento. Zipoli era un missionario italiano che ha vissuto tra gli Indios Guaranti e faceva suonare e cantare loro in un modo straordinario. Queste musiche sono state scoperte solo 13 anni fa. Quindi diciamo che sono praticamente inedite, che nessuno ha mai ascoltato e sono assolutamente una novità”.

    Produttore: “Il film saà distribuito a dicembre in Brasile e anche in seno ad altre Mostre Internazionali del Cinema come Rio de Janeiro”.

    L’elemento che mi ha colpito di più in questo film è quello del suicidio…Un dramma post-civilizzazione… Nella cinematografia corrente eravamo abituati a veder trovare la soluzione da parte di queste popolazioni nella migrazione in luoghi sempre più limitrofi… Qui molti si suicidano

    M. BECHIS: “Il film non dà alcuna risposta alle cause di queste reazioni. Ma comunque le cause sono le stesse: la mancanza di terre, di identità…E’ un fenomeno molto delicato”.

    A. VILHALVA: “Il suicidio non è uno scherzo. E’ una faccenda molto seria. Capitano spesso nella nostra realtà. La mancanza di sostegno è immensa. Io ne ho conosciuto uno in particolare di questi giovani (19 anni) con la moglie incinta. La paura del ragazzo era quella di come andare avanti con un bambino in arrivo nel caso in cui nessuno si muova per cambiare le cose. Se nessun governatore fa niente quale futuro può esserci? Io gli dissi ‘Resisti. La lotta andrà avanti’. Però lui non ha resistito e si è suicidato. I Brasiliani riescono ad accorgersi di noi, a vederci, per questi nostri atti estremi. Ne parlano, ne parlano ma poi alla fine gli indios non hanno comunque diritti… La burocrazia ci uccide. Con questo film riuscirete a capire qual è la nostra situazione. Se c’è qualcuno dalla nostra parte, pensiamo, sarà meglio. I suicidi capitano perché non c’è giustizia. La giustizia c’è per milioni di imprenditori. Con questo film spero che riuscirete a vederci dall’alto (in una visione più completa) e noi ci auguriamo che la speranza riesca prendere il sopravvento, a prevalere, sul suicidio”.

    (A cura di PATRIZIA FERRETTI)


     
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