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    L'INTERVISTA

    IL CONCERTO - INTERVISTA al regista RADU MIHAILEANU (PRIMA PARTE)

    19/01/2010 - Come è nato il progetto?

    RADU MIHAILEANU: "Sono stato contattato da un produttore che mi ha proposto un copione scritto da due giovani autori: era la storia di una falsa orchestra del Bolshoi che approdava a Parigi. L'idea di base mi piaceva molto, il resto meno. Così ho chiesto al produttore se potevo sviluppare una mia sceneggiatura a partire dal soggetto iniziale e mi ha dato il suo consenso".

    Come si è svolto il processo di scrittura?:

    R. MIHAILEANU: "Innanzitutto, con il mio complice Alain-Michel Blanc, sono andato due settimane in Russia per incontrare tutte le persone che in seguito avrebbero ispirato i nostri personaggi. Questi colloqui ci hanno offerto un'enorme quantità di spunti per i dialoghi, le scene e le idee che hanno poi preso corpo nella sceneggiatura. Era il 2002, prima delle riprese di Vai e vivrai.
    Quando la Productions du Trésor ha ripreso il progetto di Il concerto, per un po' abbiamo pensato di girare il film in inglese con attori americani. Per puro caso, il destino ha deciso diversamente e siamo tornati alle lingue originarie della storia: il francese e il russo. Ad ogni modo, la sceneggiatura è stata condensata nella sua struttura definitiva dal nuovo trio che si è formato: il produttore Alain Attal, Alain-Michel Blanc e io".

    In Il concerto ritroviamo il tema dell'impostura positiva…:

    R. MIHAILEANU: "È un tema che mi pervade mio malgrado. Forse dipende dal fatto che mio padre, che si chiamava Buchman, durante la guerra dovette cambiare cognome per sopravvivere. Diventò Mihaileanu per affrontare il regime nazista e successivamente il regime stalinista. Anche se io ho tratto benefici dalla sua scelta, esiste in me un conflitto tra queste due identità. D'altronde, ho a lungo sofferto per il fatto di essere considerato un "estraneo" nel luogo dove mi trovo, che sia la Francia, la Romania o qualsiasi altro paese ovviamente. Oggi lo considero una ricchezza e sono felice di sentirmi ovunque partecipe e al tempo stesso estraneo. Probabilmente è per questo che all'inizio i miei personaggi hanno immense difficoltà e fingono di essere quello che non sono: per liberarsi da se stessi e cercare di gettare un ponte verso gli altri".

    Il film parte subito su una nota ironica con la manifestazione degli ex comunisti che in realtà sono delle comparse…

    R. MIHAILEANU: "Quando sono andato in Russia con Alain-Michel Blanc, siamo rimasti colpiti da questa manifestazione che si svolge tutte le domeniche mattina a Mosca e che cristallizza il paradosso della nuova società russa: da un lato, gli ex comunisti pervasi di nostalgia, i venditori di medaglie che smerciano la loro mercanzia a manifestanti e turisti e, dall'altro, i nuovi capitalisti duri e puri. In mezzo, c'è una grande quantità di persone, di cui alcune sono un po' smarrite. Ho trovato questo contrasto tragico e comico al tempo stesso".

    Attraverso la metafora del concerto, il film parla dei rapporti fondamentali tra il singolo e la collettività:

    R. MIHAILEANU: "Durante il missaggio ho capito che questa metafora è insita anche nella scelta stessa del concerto che occupa la parte finale del film, il Concerto per violino e orchestra di Čajkovskij. Secondo me, alla base dell'attuale crisi, c'è proprio il rapporto tra il singolo e la collettività. Oggi constatiamo che abbiamo raggiunto il massimo grado di individualismo e che gli esseri umani si sentono in una situazione precaria rispetto al mondo: vorrebbero mantenere i diritti fondamentali dell'individuo, tornando tuttavia a una società più solidale. E mi sono reso conto che quel concerto di Čajkovskij non potrebbe essere armonioso se il violino e l'orchestra non fossero complementari. Se il violino non suona bene, l'orchestra va per conto suo e viceversa, i due elementi sono indissociabili. La crisi dimostra con forza l'importanza di questo binomio: il legame tra individuo e collettività deve essere molto solido e, per trovare l'armonia e il benessere, bisogna cercare di suonare il più possibile all'unisono".

    Quest'armonia si forgia anche attraverso gli scambi tra russi, gitani e francesi che hanno tutti una visione del mondo molto diversa …:

    R. MIHAILEANU: "È quello che oggi si chiama "dialogo interculturale" : in ogni società, compresa quella francese, grazie alle ondate migratorie, è molto presente la mescolanza delle culture, che arrichisce tutti, malgrado le difficoltà che comporta. È il nostro mondo di oggi e lo sarà ancora di più domani. Ed è quello che descrive il film, quando un gruppo di semi-barboni russi, gitani ed ebrei, originari di Mosca, approda a Parigi: è l'incontro tra una cultura slavo-orientale e una cultura occidentale, ricca e cartesiana. All'inizio lo shock è esplosivo: i "barbari" dell'est, di cui io faccio parte, arrivano nel paese dei "civilizzati", che temono che i loro diritti acquisiti siano minacciati e che le regole che hanno definito non vengano rispettate. Ma alla fine, malgrado le tensioni, da questo incontro scaturiranno bellezza e luce. E il concerto esprime l'armonia che nasce da questo scontro tra culture".

    Appunto, come si può definire «l'armonia suprema» di cui spesso parla Andreï nel film?:

    R. MIHAILEANU: "È il sogno che vogliono realizzare i miei personaggi russi che sono stati messi al bando dalla società. In qualche momento della nostra vita, siamo tutti stati messi alla prova e "al tappeto", come si dice nel pugilato. È molto difficile rialzarsi ed è proprio questo che i miei personaggi tentano di fare. Cercano innanzitutto di ritrovare l'autostima e poi di rimettersi in piedi e di tornare a essere degli esseri umani con una dignità. Per ritrovare un'armonia suprema, anche solo per un secondo, per il tempo di un concerto, e per dimostrare a se stessi che hanno ancora la forza di sognare e di stare in piedi. È una piccola vittoria sulla morte, che ci spia da dietro le quinte. Sono interrogativi che possono riferirsi anche a chi non ha mai sofferto in modo tragico: sono capace di sognare, di desiderare di raggiungere 'l'armonia suprema'? Sono in grado di cambiare?".

    Come si può descrivere l'umorismo del film?:

    R. MIHAILEANU: "L'umorismo che preferisco è quello in reazione alla sofferenza e alle difficoltà. Per me, l'ironia è un'arma gioiosa e intelligente, una ginnastica della mente, contro la barbarie e la morte, un modo per spezzare la tragedia che ne è la sorella gemella. Di fatto, nel film, l'umorismo deriva da una ferita che si è aperta trent'anni prima, nell'Unione Sovietica di Brežnev. A quell'epoca, i personaggi sono stati umiliati e messi al tappeto. La loro volontà di rialzarsi e di riconquistare la dignità si esplicita anche attraverso l'umorismo. Al di là della loro tragedia, i protagonisti di Il concerto trovano la forza di portare fino in fondo i loro sogni, grazie all'ironia. A mio parere, è la più bella espressione dell'energia vitale".

    C'è anche una sorta di umorismo picaresco che scaturisce dall'incontro tra russi e francesi…:

    R. MIHAILEANU: "Anche all'interno della loro società, i personaggi russi del film stonavano un po', vivevano ai margini. Al loro arrivo in Francia, la contrapposizione è ancora più sorprendente e suscita dei contrasti che trovo molto divertenti. Per questo ho voluto apporre qualche "tocco di colore" esotico, caratteristico di quest'orda di slavi, nell'universo della società francese, che appare monotono e assopito quando è visto da una certa distanza".

    E lo ritroviamo anche nel contrasto tra le ambientazioni in Russia e in Francia:

    R. MIHAILEANU: "Esattamente. Abbiamo cercato di sviluppare un trattamento diverso delle due società attraverso le scenografie, i costumi, le luci, i suoni e la messa in scena. In Russia, gli ambienti e i costumi sono al tempo stesso colorati e "avvizziti", antiquati, le linee sono spesso caotiche, mentre Parigi è più luminosa, spesso dorata, piena di contrasti e raffigurata con tratti rettilinei, con quadrati. Per esempio, quando i russi telefonano al direttore del Théâtre du Châtelet, sono in uno squallido sgabuzzino, dagli arredi e dai tratti confusi, situato nel seminterrato del Bolshoi, in un ambiente acustico rumoroso, mentre l'ufficio del loro interlocutore parigino è magnificamente arredato, quasi bianco, pulito, silenzioso e perfettamente rettilineo. Mentre i russi sono nell'imperfezione totale, il francese, interpretato da Berléand, tende verso una certa perfezione. Inoltre, i russi sono spesso filmati con la macchina da presa a spalla, perché sono in costante movimento, sono "inquadrati male", mentre Duplessis e la sua squadra sono più che altro filmati in modo simmetrico, con la macchina da presa fissa o che fa dei movimenti controllati. Mi piace anche molto la scena del ristorante tra Andreï e Anne-Marie. Il contrasto tra il loro abbigliamento mi ricorda molto il mio arrivo in Francia: Andreï indossa un vestito nuovo, ma che sembra troppo grande e di altri tempi, pur essendo presentabile, dal momento che vuole essere all'altezza della cena; Anne-Marie indossa un grazioso chemisier color argento, semplice, moderno, sobrio. I suoi gioielli discreti brillano come i suoi occhi e le luci che li circondano, internamente ed esternamente. Solo Andreï sembra un inserto rappezzato nella Ville Lumière".

    Il modo in cui i russi si impadroniscono del francese è esilarante!:

    R. MIHAILEANU: "Anche in questo caso mi sono ispirato a un'esperienza personale. Quand'ero piccolo, ho imparato il francese con una signora di origine francese di circa 70 anni che aveva lasciato la Francia per seguire un rumeno di cui si era innamorata. Avendo lasciato il suo paese da molto tempo, si esprimeva in una lingua che non si parlava più in Francia. Quindi ho imparato un francese letterario e molto antiquato e, quando sono arrivato in Francia, anch'io ho usato gran parte delle espressioni arcaiche che usano i miei personaggi nel film. Ricordo, per esempio, di aver ringraziato una signora che mi aveva aiutato a ottenere il visto d'ingresso dicendole: "La bacio calorosamente"! E in effetti avevo letto in numerosi libri che il "baciamano" era un gesto alquanto rispettoso… I miei personaggi pensano di parlare un perfetto francese, ma in realtà risultano quasi incomprensibili: ho trovato in questa discrepanza un effetto comico molto efficace. È anche un modo per rendere omaggio a una generazione che ha adorato la cultura francese e che oggi sta scomparendo".

    Eppure, ognuno dei protagonisti russi ha una conoscenza del francese che gli è propria:

    R. MIHAILEANU: "Sì, ci sono tre registri linguistici differenti che ci hanno molto divertiti durante la fase della scrittura. Innanzitutto c'è Ivan, che pensa di padroneggiare meglio di tutti la lingua (evidentemente l'ha imparata con un'anziana signora francese negli anni '50) e compone delle frasi pompose: se la cava abbastanza bene, malgrado commetta numerosi errori di significato e di sintassi. Poi c'è Andreï, che parla un po' meno bene, ma conserva una certa preziosità arcaica, infarcendo le sue frasi di "non è così?" a ogni piè sospinto. E infine c'è Sacha, il suo miglior amico, che ha un vocabolario molto limitato e parla un francese maccheronico, aiutandosi con qualche parola russa".

    Il film descrive il tipo di intellettuali e artisti che c'erano sotto Brežnev:

    R. MIHAILEANU: "Anche se una leggera brezza di libertà si era messa a soffiare circa dieci anni prima della Perestrojka, il potere cercava ancora di imbavagliare gli intellettuali, dal momento che ogni regime totalitario ha paura che le opinioni degli intellettuali si propaghino tra le masse e che queste ultime si ribellino. Brežnev diffidava in particolare degli ebrei che spesso si erano espressi su questioni sensibili e avevano parenti all'estero in grado di diffondere le loro idee. È per questo che Brežnev ha scacciato i musicisti ebrei dall'orchestra del Bolchoj, insieme ai russi che li hanno difesi. Allo stesso modo, il regime temeva i gitani, e le minoranze in genere, che non si sommettevano alla sua autorità. Di fatto i gitani non hanno mai obbedito agli ordini in alcun paese: sono gli esseri umani più liberi della terra. Ho voluto descrivere tra le righe questa realtà. Per contro, ho cercato di mostrare che un gesto di per sé insignificante, come il licenziamento di un direttore d'orchestra e di alcuni musicisti ebrei, può generare un trauma terribile in tutta una generazione che può impiegare anche trent'anni a riprendersi. È il caso di molti destini spezzati di persone originarie dei paesi dell’Est".

    Attraverso la questione della trasmissione, lei si interroga anche sul significato dei valori:

    "Ho la sensazione che a partire dalla fine del XX secolo non abbiamo prestato abbastanza attenzione a una delle conseguenze della diffusione e dello sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione: la nascita della virtualità. Secondo me, è stata la virtualità a provocare l'attuale crisi: abbiamo messo da parte i valori reali, il lavoro, l'incontro, il tempo, l'amicizia, l'amore, la conoscenza, e abbiamo adottato sempre di più i valori virtuali, i soldi, l'informazione, il ritmo frenetico, la comunicazione, l'acquisizione di strumenti. Ho l'impressione che oggi gli esseri umani abbiano voglia di recuperare i veri valori. Capiscono anche che nello scambio con l'Altro risiede la vera ricchezza e cercano di ristabilire un equilibrio nel rapporto individuo/comunità. In quest'ottica, il film racconta che senza l'amicizia e senza questo viaggio per incontrare un'altra cultura è impossibile raggiungere la felicità".

    In lei si percepisce anche una volontà iconoclasta di sconvolgere le convenzioni:

    "Penso che la vita sia fatta sia di regole sia di momenti in cui è necessario sconvolgere le stesse regole per andare avanti e sperimentare nuovi territori. I miei personaggi, che sono in uno stato di disintegrazione a causa della perdita del lavoro e della stabilità e non hanno nulla più da perdere, non hanno altra scelta che tentare di arrangiarsi: sono quindi condannati a rinnovarsi e progredire. In condizioni simili, tutto è possibile, anche a costo di infrangere le leggi stabilite: si fabbricano da soli il passaporto, non vanno alle prove per dedicarsi a vari traffici, insomma, vivono di espedienti e si ingegnano per sopravvivere. Tutti i miei personaggi hanno una componente poetica, i piedi per terra e la testa tra le nuvole, perché io credo che non sia possibile separare del tutto realtà e fantasia".

    (Fine PRIMA PARTE)

    Dal >Press Book< de Il concerto

    LA REDAZIONE


     
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