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    L'INTERVISTA

    MELANCHOLIA - INTERVISTA al regista LARS VON TRIER (A cura di NILS THORSEN) - (I. PARTE)

    24/10/2011 - Il giornalista NILS THORSEN, autore del recente The Genius – Lars Von Trier's Life, Films and Phobias, ha incontrato il regista poco prima dell'uscita di MELANCHOLIA, il suo ultimo film.

    Non giriamoci intorno e parliamo subito del finale del film di LARS VON TRIER MELANCHOLIA: muoiono tutti. Non solo gli invitati allo sfarzoso matrimonio che nella prima parte del film si tiene in un romanticissimo castello circondato da un campo da golf. E non muore solo la vita sulla Terra, perché questa volta il regista danese evoca un mondo in cui siamo assolutamente soli nell'universo. Quindi, quello che finisce nell'abbraccio cosmico del nostro pianeta con un pianeta dieci volte più grande, Melancholia, è la vita in quanto tale e il ricordo che ne abbiamo. Nessun finale potrebbe essere più definitivo. E, come osserva VON TRIER con l'umorismo nero che lo contraddistingue, “in un certo senso il film ha un lieto fine”.

    Non è un caso se iniziamo dalla fine, in una bella giornata di primavera in cui la vita sembra ricominciare a partire dal verde della vegetazione rigogliosa, mentre NILS THORSEN incontra il regista nel suo salotto-studio alla periferia di Avedøre, la città del cinema vicino a Copenhagen. In realtà, l'idea di partire dalla fine era l'unica cosa già decisa fin dall'inizio: VON TRIER era convinto che il pubblico dovesse sapere fin dalle prime immagini come andava a finire la sua storia.

    Succede anche in Titanic”, dice VON TRIER, assumendo la sua posa preferita da intervista, steso sui cuscini verdi un po' sbiaditi del suo ufficio, con le braccia alzate e le mani incrociate dietro la nuca. “Quando i passeggeri salgono a bordo della nave, sai già che andrà a sbattere contro un iceberg… E secondo me la maggior parte dei film funziona così, in realtà. In un film di James Bond sappiamo già che il protagonista sopravviverà. Eppure ci appassioniamo ugualmente, eppure il film è avvincente. Anzi, alcune cose possono risultare elettrizzanti proprio perché sappiamo cosa succederà ma non come succederà. In Melancholia è interessante vedere come reagiscono i vari personaggi alla fine imminente, mentre il pianeta di Melancholia si avvicina alla terra”.

    Com’è nata l’idea?

    Seguiamo due sorelle fino al tragico epilogo. C'è Justine, interpretata da KIRSTEN DUNST, una ragazza depressa che fa fatica a trovare il suo posto nel mondo e ad assumerne i vuoti rituali, ma che – paradossalmente – si ritrova più preparata ad affrontare la fine del mondo che si avvicina. E poi c'è la sorella maggiore, Claire, interpretata da CHARLOTTE GAINSBOURG, una donna normale, che ama la vita e di conseguenza fa più fatica a rinunciarci.

    Justine mi somiglia molto. Il personaggio è ispirato a me e alle mie esperienze di profezie apocalittiche e di depressione. Claire, invece, dovrebbe essere una persona normale”, ride VON TRIER, che è stato tormentato da angosce per tutta la vita, e che da bambino ogni volta che sentiva il rumore di un aereo pensava che fosse scoppiata la terza guerra mondiale. La prima volta che NILS THORSEN è andato a trovare VON TRIER per il libro, stava cercando un'idea per il suo prossimo film. Cercava ispirazione nei musei, ascoltava musica e accennava a frammenti di pensieri sparsi, immagini e spezzoni di trama che, ho scoperto poi, sono finiti sullo schermo. Ma il principale obiettivo non era il film: era la sua salute emotiva. Il lavoro è stato organizzato secondo una precisa tabella di marcia che alternava passeggiate a lavoro in ufficio, con lo scopo di fare uscire gradualmente il regista dalla depressione che lo aveva colpito alcuni anni prima. Già, perché LARS VON TRIER è la quintessenza del depresso. Nei periodi in cui non è impegnato sul set e potrebbe godersi la vita fa fatica e arranca, ma quando è nell'occhio del ciclone e porta sulle sue sole spalle la responsabilità di un'intera produzione – attori, tecnici, finanziatori, dialoghi e intrecci – va alla grande, rigirando il coltello in ogni piaga della politica, della cultura e della morale che riesce a trovare.

    “Il mio analista mi ha detto che nelle situazioni disperate i depressi tendono a restare più calmi delle persone normali, perché si aspettano sempre il peggio!”, dice, e scoppia a ridere. “Ma anche perché non hanno niente da perdere”. L‟idea di Melancholia è nata così. Da quel momento in poi, le cose sono andate avanti in fretta: meno di un anno dopo il copione era pronto, gli attori scritturati e le riprese in corso.

    AL LIMITE DELLA PLASTICA

    Nel corso dell'anno in cui NILS THORSTEN ha intervistato il regista, il suo umore è andato gradualmente migliorando via via che il lavoro procedeva. E oggi, seduto sul suo divano con la felpa nera col cappuccio e la barba grigia, sembra ancora più allegro.

    Mi sono divertito di più, a fare questo film, e sono stato molto più presente. Quando giravo 'Antichrist' attraversavo un periodo molto difficile”, racconta.

    Durante la lavorazione di MELANCHOLIA ha lottato contro la 'melanconia' stessa: che è peggio di un cataclisma. Ma la depressione è stata solo il punto di partenza. L'idea si è sviluppata nel corso di una conversazione e di uno scambio epistolare con l'attrice PENÉLOPE CRUZ, che voleva fare un film con VON TRIER. La CRUZ gli ha raccontato di essere rimasta affascinata da una pièce del drammaturgo francese Jean Genet, Le serve, in cui due domestiche uccidono la padrona.

    "Ma io non faccio niente che non nasca da me, le ho detto. Così ho cercato di scrivere qualcosa per lei. Il film in realtà è ispirato alle due serve della pièce, che ho trasformato in due sorelle".

    Il titolo è ispirato alla depressione del regista. Più tardi, presumibilmente in un documentario televisivo, VON TRIER ha scoperto che Saturno è il pianeta della 'melanconia' e, facendo ricerche su Internet, si è imbattuto in una pagina web sulle collisioni cosmiche. Come ANTICHRIST, Melancholia si apre con una 'ouverture' di musica e immagini: una serie di sequenze e fotografie, sulla musica dell'ouverture dal Tristano e Isotta di Wagner, in cui appaiono le meravigliose visioni di Justine della fine del mondo, e alcune immagini spettacolari di quello che accade durante una collisione cosmica.

    "Mi è sempre piaciuta l'idea dell'ouverture che anticipa alcuni temi. In questo caso abbiamo usato degli effetti speciali per rappresentare la collisione cosmica, anche se nel film ci sono solo pochi accenni al cataclisma. Pensavo che sarebbe stato divertente estrapolare le immagini dal contesto e aprire con quelle", spiega. E aggiunge, sorridendo: "Così l'estetica è sistemata, e in un colpo solo".

    Che tipo di estetica volevi, nel film?

    Volevo un contrasto tra la grandiosità stilizzata del romantico e un qualche tipo di realismo. La macchina da presa è quasi sempre tenuta a mano. Ma il problema è che avevamo un magnifico castello in Svezia, e se ci aggiungi anche un matrimonio con tanto di invitati in abito da sera e smoking, è difficile evitare… il bello”, sorride.

    E non era quello che avevi in mente?

    “Be‟, è stato difficile infilarci un po' di brutto. Quindi il film è al limite della plastica, qua e là. Puoi scriverlo, questo?”.

    (SEGUE ... nella II. PARTE)

    LA REDAZIONE


     
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