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    L'INTERVISTA

    65 Mostra: Lido di Venezia 27 agosto 2008 ROUND TABLE & DINTORNI: BURN AFTER READING (BURN AFTER READING - A PROVA DI SPIA) per la regia di JOEL E ETHAN COEN

    27/08/2008 - Presenti i registi JOEL ed ETHAN COEL e l'attrice TILDA SWINTON

    Nei vostri film gli uomini sono un po’ imbranati, degli sciocchi, combinano un sacco di guai e fanno anche molti tradimenti… Le donne però sono quelle che alla fine escono fuori vincenti: che siano un po’ delle arpie come Tilda Swinton, che siano più gentili o meno, finiscono per prevalere. E’ questo che pensate delle donne?

    J. COEN: “Diciamo di si, perché le donne in un certo senso sono delle sopravvissute… (scherza) Il film è pesantemente autobiografico”.

    Pensate che il mondo sia dominato dagli idioti attualmente?

    E. COEN: “Si”.

    Credete che questi idioti abbiano in qualche maniera un fascino drammatico particolare? Perché è chiaro, si tratta di personaggi divertenti ma anche drammatici. Credo che questo film sia anche molto molto serio. Il personaggio di Tilda Swinton è chiaramente molto diverso da altri nei suoi film precedenti, però c’è questo tratto comune delle donne molto fredde che in qualche maniera incutono timore negli uomini. Quanto la diverte questo tipo di personaggi, che vanno da donne così nella vita reale fino alla strega delle ‘Cronache di Narnia’?

    T. SWINTON: “Diciamo che tutta questa questione degli idioti mi ha sempre interessato molto… Io penso che quando un uomo è idiota, spesso si trova a governare la vita di un altro uomo magari intelligente e a volte succede il contrario. E’ un po’ come il gioco delle luci: a seconda della lampada che si accende, dalla direzione della luce, possiamo vedere l’uno o l’altro aspetto. Comunque mi interessava proprio perché si tratta di un fattore così potentemente determinato! Essere gioioso, debole, curioso, o idiota, appunto, è un qualcosa che può dar spazio a qualsiasi possibile interpretazione. E comunque… noi tutti credo, abbiamo più volte conosciuto nella nostra vita persone che si concentrano su un aspetto soltanto della vita. E credo che la cosa interessante che fanno i fratelli Coen è guardare questo aspetto sotto un’altra luce: si tratta infatti di un ritratto anche compassionevole, umano, che ci tocca un po’ tutti…”.

    E. COEN: “… Si, si tratta di una farsa che riguarda il sesso, lo spionaggio e ci sono tutti questi personaggi che hanno degli obiettivi che un pochino si incrociano… E molti di questi sono appunto degli idioti. Ma sono idioti con i quali anche noi in parte ci identifichiamo. Per quanto riguarda il personaggio di Tilda si può argomentare che forse lei è quella dura, però non è l’idiota: sebbene sia inconsapevole di tutto quello che le succede intorno, è quella che un pochino richiama tutti quanti, o comunque fa notare loro la propria idiozia”.

    Sembra di percepire un sottofondo climatico da guerra fredda. Ad esempio l’entrata dei russi in campo è casuale o voluta? C’è un richiamo alla situazione attuale?

    E. COEN: “Non vi è assolutamente connotazione o finalità politica alcuna. E’ tutto ben lungi dall’attuale situazione. Quello che fondamentalmente si afferma nel film è che avere a che fare con i russi per quello che riguarda lo spionaggio è un qualcosa ormai obsoleto, che appartiene al passato. Anche se l’attuale situazione è quella che è, si tratta di un elemento assolutamente accidentale, non c’è un riferimento voluto”.

    Io non so se la parola ‘idiota’ sia quella giusta. So che questo film mi ha comunicato una depressione assoluta su come voi vedete l’America di oggi, con tutti i solitari che bazzicano Internet, i centralini automatizzati, i politici indifferenti e pronti soltanto a salvare le apparenze. Mi sembra un film tristissimo sull’America di oggi. Volevo il vostro parere su questo e sapere secondo voi che cosa penserà l’America di questo film.

    J. COEN: “Non ho la benché minima idea di che cosa potrà trarre il pubblico americano da questo film perché penso che sia sempre estremamente difficile pronosticare, cercare di capire quello che la gente ne potrà tirare fuori. Posso solo dire di essere in parte d’accordo con quello che è stato affermato. C’è sicuramente una tristezza, però forse è eccessivo spingersi troppo in là ed estendere la tristezza ad un quadro un po’ più ampio. Quello che vediamo all’inizio del film è questo avvicinarsi, questo zoomare, sul pianeta Terra, fino ad andare a raccontare questa situazione, una storia con personaggi particolari, dalle cadenze fortemente ridicole, poi invece, alla fine del film, vediamo la macchina da presa allontanarsi e tornare in alto e, presumibilmente, cercare di focalizzare e raccontare un’altra storia. Per noi è stato particolarmente interessante raccontare questa storia, ci è piaciuto farlo, però secondo me estrapolare per allargare e generalizzare forse è un po’ troppo”.

    Vi siete divertiti a rovesciare l’immagine di queste star. Brad Pitt, che è l’icona sexy ‘super padre’, adesso compare come palestrato stupido acconciato col ciuffo trattato a colpi di sole… Come mai avete visto Brad Pitt in questo modo? Come avete lavorato con lui e che cosa ha detto lui di questo look?

    E. COEN: “Devo dire che è interessante vedere il proprio punto di vista quando si sta pensando ad un attore e ce lo raffiguriamo davanti proprio quando si sta scrivendo la sceneggiatura e, dunque, anche il personaggio, si sta cucendo addosso ad un attore un certo personaggio. Ma questo non ha granché a che fare con il personaggio in quanto grande star: ha invece più che altro a che fare con la persona, nel senso di come noi vediamo questo attore in quanto persona e di come vediamo il ruolo che poi decidiamo di far recitare a questa persona. Quindi il rapporto non è così diretto e tanto meno è collegato al modo in cui loro si vedono, o all’immagine che loro hanno di se stessi. Non si sa perché ci viene in mente che un certo tipo di abbigliamento possa star bene ad un determinato attore. Non c’è un perché, non sappiamo spiegarlo, è una cosa molto più complicata, non è lineare, però funziona così… Ovviamente però non si tratta soltanto di cercare di immaginare se un determinato tipo di abbigliamento, o un determinato tipo di immagine possa star bene ad un determinato attore. E quando si scrive, si crea un personaggio, si pensa anche al fatto se questo attore si potrà sentire attirato, interessato ad interpretare quel personaggio indossando quel tipo di abbigliamento… ci si pone anche il problema se a quell’attore potrà piacere vestirsi in quella maniera”.

    T. SWINTON: “Volevo aggiungere, proprio in qualità di attrice, che lavorare con i fratelli Coen significa avere veramente l’opportunità di ‘giocare/recitare’ nel senso vero della parola, il che vuol dire fare l’attore a tutto tondo. E’ una cosa molto speciale quella che offrono loro - altri non lo fanno ma loro sicuramente - e se si entra nel loro lessico… questo tipo di operazione attira molti di noi attori. Se si riesce a rientrare in questo posto che loro offrono agli attori, questo posto risulta molto giocoso…”.

    Mentre scrivete i vostri film aggiungete delle parti non pensate inizialmente. Avete inserito degli attori ancor prima di conoscerli?

    J. COEN: “Questo in un certo senso mi riporta alla discussione infinita di come si effettua il casting, la scelta degli attori, che è una cosa estremamente complicata, perché ovviamente sono molti gli aspetti: innanzitutto c’è il fatto che piace vedere gli attori interpretare determinate parti, e poi c’è l’aspetto in cui si scorgono delle potenzialità in grado di poter far interpretare loro dei ruoli diversi rispetto a quelli nei quali siamo abituati a vederli. Ed è anche interessante per noi pensare di farli andare come attori in una direzione diversa, quindi di far loro interpretare dei personaggi che vanno in altra direzione da quella in cui siamo abituati a vederli andare. E poi c’è ancora un altro elemento, per noi estremamente importante, che è quello dello scrivere il ruolo per gli attori. La cosa paradossale è che quanto più si scrive un ruolo per un attore che si conosce, tanto più lo si conosce, tanto più l’attore è meno desideroso di interpretare quel ruolo e diventa sempre più sospettoso perché teme, ovviamente, che in quel ruolo sia siano magari inserite le sue ‘magagne’, parti della sua personalità che non vuole far conoscere. Il paradosso è dunque che tanti attori che non si conoscono e che non ci conoscono sono molto più desiderosi di interpretare dei ruoli di quanto non succeda ad attori che invece conosciamo meglio… Tutte le storie sono in un certo senso una ramificazione e di fatto, ci divertiamo a scrivere parti per attori che conosciamo. Anzi, per noi è fondamentale, perché, a dispetto del paradosso, quanto più li conosciamo, tanto meglio riusciamo a scrivere ruoli per loro”.

    (A cura di PATRIZIA FERRETTI)


     
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