NORTH FACE - INTERVISTA al regista PHILIPP STÖLZL
23/08/2010 -
Dal Festival del Film di Locarno 2008 il regista di NORTH FACE racconta come è nata e si è sviluppata l'idea di questo film.
LA MONTAGNA È COME UNA SFINGE…
Tu produci opere, giri video musicali e spot pubblicitari. Come hai avuto l’idea di fare un film sull’Eiger?
P. STÖLZL: "Boris Schoenfelder, che ha avuto per primo l’idea del film, cercava un regista per il progetto e mi ha mandato il copione. La vicenda di Toni Kurz mi ha catturato subito. Innanzitutto per la storia intensa di queste quattro persone e la loro lotta brutale ed esistenziale per sopravvivere sulla
montagna. Inoltre, mi affascinava un determinato aspetto storico: lo sfruttamento ideologico nell’era nazista dell’alpinismo. È un mix molto speciale che, a mio avviso, rende questa storia molto eccitante per il cinema".
Cos’hai trovato particolarmente affascinante dello sfondo storico della storia?
P. STÖLZL: "C’è qualcosa di esistenziale nei tentativi di scalata dei versanti delle montagne negli anni ’20 e ’30, imprese potenzialmente mortali. Giovani con poche prospettive di vita montavano in sella alle loro biciclette per scalare una montagna pericolosa – erano alla ricerca di un obiettivo da perseguire, un obiettivo qualsiasi. E se necessario, erano pronti a morire per raggiungerlo. Chiaramente, questo
rispecchiava bene il canone della mitologia nazista ed era quindi sfruttato dal punto di vista ideologico, e considerato un atto eroico. Basta ascoltare Robert Ley, il capo del KdF (Kraft durch Freude = Forza attraverso la gioia): “I giovani tedeschi trovano la loro forza e virilità nella lotta con la montagna e imparano a morire!” E così via. Davano tutto per un’idea, un mito; sacrificavano la propria vita se necessario: questo flirt fatalistico con la morte eroica è l’aspetto dell’alpinismo che i nazisti trovavano più interessante. Dal punto di vista intellettuale, sarebbe bastato fare un ulteriore piccolo passo, e il
Reich sarebbe marciato verso gli Urali".
North Face è stato girato in condizioni estreme. Quali sono stati i problemi maggiori?
P. STÖLZL: "Le riprese non sono mai facili, neanche in un bar: si porta il materiale, si illuminano le stanze, si truccano e si vestono gli attori. Si devono girare molte scene in pochissimo tempo… Ma in montagna tutto è doppiamente o triplamente difficile: anche la più semplice scena di dialogo è problematica, perché prima devi far indossare le imbracature a tutti. E poi bisogna raggiungere il set. Già per fare questo occorre mezza giornata. Poi bisogna sistemare le attrezzature – e
a quel punto inizia a piovere. Eccetera, eccetera, eccetera… è frustrante. Non per niente Luis Trenker e i suoi colleghi passavano spesso anni interi a girare i loro film, prima che fossero finalmente terminati".
Hai mai pensato: cavolo, in cosa mi sono cacciato?
P. STÖLZL: "A dire il vero: sì. Soprattutto quando il tempo era brutto e dovevamo aspettare. È veramente terribile per una persona impaziente come me. In una scena, Toni Kurz e Andi Hinterstoisser sono in vetta al Berchtesgaden e ci serviva una giornata di sole. Doveva essere bello e luminoso, per fare contrasto col disastro nella neve che sarebbe
avvenuto più in là nel film. Primo giorno: nebbia fitta. Aspettiamo tutto il giorno. Poi riscendiamo senza aver girato un metro di pellicola. Secondo giorno: ancora nebbia, ma ora con qualche sprazzo di sole della durata di due, forse cinque minuti. Così abbiamo girato le scene durante quegli sprazzi. Non è andata male, ma siamo stati costretti a lavorare così. Ma è stato tremendo per tutti, soprattutto per gli attori, dato che ovviamente non riuscivano a seguire il flusso di una scena. All’Eiger, ho toccato il fondo, ancora mi vengono i crampi e mi sento malissimo quando ci ripenso. Le
riprese erano quasi terminate, avevamo le controfigure sul campo di ghiaccio e volevamo riprenderle dall’elicottero. Erano inquadrature che mi servivano indispensabilmente e con urgenza per il film. I produttori avevano erogato gli ultimi fondi. Ma faceva semplicemente troppo caldo e sull’Eiger c’era il rischio di valanghe.
Riesco ancora a vedermi seduto al sole sul Kleine Scheidegg sotto il versante nord, assolutamente depresso. Avevamo tutto ciò che ci occorreva: due begli elicotteri rossi, le controfigure nei costumi, gli operatori – ma faceva troppo caldo. I soldi erano finiti, l’opportunità era passata. Credo che ogni film abbia una vita tutta sua, e che l’elemento fortuna sia molto più importante di quanto si voglia ammettere, ma quando si gira un film in montagna, si è molto più soggetti alla sorte".
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