Dal Sundance Film Festival 2021 - RECENSIONE in ANTEPRIMA - Debutto alla regia per Robin Wright - Dal 12 Febbraio (Internet)
"Era da tempo che cercavo una storia da raccontare come regista. Questa sceneggiatura mi ha toccato profondamente, quando l'ho letta tre anni fa, perché in America erano aumentati gli episodi di violenza e mi chiedevo come i parenti delle vittime potessero riprendere a vivere dopo un lutto del genere. Ci ho messo un po' di tempo, però, a trovare un produttore che mi desse fiducia... Oggi più che mai abbiamo capito quanto abbiamo bisogno degli altri per superare i momenti difficili. E sappiamo quanto la natura possa essere terapeutica".
La neo regista e attrice Robin Wright
(Land; USA 2021; drammatico; 89'; Produz.: Big Beach Films, Cinetic Media, Nomadic Pictures)
Cast: Robin Wright (Edee Mathis) Demián Bichir (Miguel) Kim Dickens (Emma) Warren Christie (Adam) Sarah Dawn Pledge (Alawa) Brad Leland (Colt) Finlay Wojtak-Hissong (Drew) Barb Mitchell (Cameriera)
Musica: Ben Sollee e Time for Three
Costumi: Kemal Harris
Scenografia: Trevor Smith
Fotografia: Bobby Bukowski
Montaggio: Anne McCabe e Mikkel E.G. Nielsen
Makeup: Gail Kennedy (direzione)
Scheda film aggiornata al:
16 Dicembre 2021
Sinossi:
In breve:
E' la storia di Edee Mathis (Robin Wright), una donna che ha subito un doloroso lutto e cerca di rifarsi una nuova vita tra le aspre Rocky Mountain nel Wyoming. Tra le montagne e immersa nella natura, Edee tenta di trovare la forza per reinventarsi, ma sarà grazie all'incontro con un cacciatore del posto (Demiàn Bichir) che ridarà senso alla sua vita.
L'uomo, che ha perso la sua famiglia e sa quanto sia deleterio il dolore di un lutto, le insegnerà a sopravvivere a questa terra apparentemente aspra e riuscirà a salvarla dalla sua tragedia personale.
Short Synopsis:
A bereaved woman seeks out a new life, off the grid in Wyoming
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
“Perché sono qui, oramai?”
Lo aspettavamo da tempo, questo debutto alla regia di Robin Wright, e non avevamo dubbi che, di qualunque cosa si trattasse, avrebbe fatto centro. E sapete perché? Per il suo modo di sentire, di percepire, di tradurre in immagini sul grande schermo l’essenza della vita, in ognuno dei suoi alter ego in celluloide. Un modo unico, talora un po' ‘indie’, sempre intrigante e di gran fascino. Così, dopo aver appena stemperato i motori, provandosi a dirigere qualche episodio della popolarissima serie televisiva House of Cards, Robin Wright ha abbracciato anima e corpo questo Land, in cui una donna prova a metabolizzare un lutto ed un dolore inimmaginabili… a modo suo: tagliando i ponti con gli affetti familiari rimasti (ad esempio la sorella Emma) con il mondo esterno in blocco, per rifugiarsi da eremita in una baita, in disuso da tempo, tra le montagne del Wyoming. Nulla a
che vedere con l’Into the Wild-Nelle terre selvagge dell’ex marito e collega Sean Penn, che potrebbe venire in mente sulla scia dell’eremitaggio per scelta. Robin Wrìght rivela così il suo tocco femminile, vibrante, ma ben saldo, nel maneggiare la macchina da presa, privilegiando la ripresa sghemba in controluce, sfiorando dettagli minimalisti in modo discreto, non invadente, per andare a scoprire, attraverso le soggettive della protagonista, il potere taumaturgico della natura sull’animo umano. E riscoprire al contempo se stessa, scavando a fondo con riprese privilegiate negli intensissimi primi piani in punta di autentica verità. Tutta la verità che scarta dall’estetizzante, davvero inopportuno soprattutto in un contesto come questo.
“Voglio notare di più le cose intorno a me”
Robin Wright in Land tradisce una sicurezza narrativa per il cinema invidiabile! A cominciare da quella sorta di prologo che precede i titoli di testa. La sabbia chiara che scorre in una clessidra è ciò che
cattura lo sguardo di Edee - con cui Robin Wright raggiunge le alte sfere dell’olimpo degli dei per la magica interpretazione - e la domanda che riecheggia nell’aria è il primo affondo nell’escavazione della sua anima. Anima di cui non sappiamo ancora nulla, ma che si intuisce tormentata da un dramma non indifferente: “perché sei venuta qui?”. Non per sua scelta, come spesso accade quando qualcuno si preoccupa delle nostre sofferenze e cerca di dare consigli per possibili rimedi. Beh, alla sorella Emma (Kim Dickens) non poteva che venire in mente l’aiuto di una psicoterapeuta per aiutare Edee/Wright. Una seduta che per lei sortisce, d’altra parte, un effetto imprevisto: la volontà di non condividere con nessuno un dolore solo suo. La drammatica bellezza di questo Land è la graduale scoperta di questa donna e di ciò che la tormenta al punto da fare i bagagli e partire, gettando nel cassonetto
dell’immondizia il cellulare. Il suo unico ‘lusso’, quello di farsi rincorrere da spicchi di ricordi, o da visioni allucinatorie che compaiono in presenza, all’improvviso: presenze reali, e allo stesso tempo chiaramente fittizie, eppure percepite in carne ed ossa dalla nostra protagonista come nel caso dell’abbraccio del figlioletto. Si comprende benissimo che il marito e il bimbo sono morti in qualche circostanza che non sarà svelata sino alla fine del percorso di autoisolamento: momento in cui la Edee di Wright, passo dopo passo, riesce ad accettare e metabolizzare quel lutto inconcepibile e troppo doloroso per non essere rifiutato ad oltranza.
“Sono qui perché ho scelto di esserci… Non sta funzionando… non sta funzionando… che idiota!!!”
Macchina da presa incollata su se stessa, Robin Wright screzia così la sua parabola di dolore e graduale rinascita, con i colori spenti di un’esistenza che, ad un certo punto, la vede ad un passo dalla morte, quasi
annientata dalle mille difficoltà che, chiunque, come lei, incontrerebbe, volendo sopravvivere in mezzo al nulla. Ma anche con i colori arroventati di esplosioni di disperazione, con pianti e singhiozzi che non portano alcun sollievo, semmai altro dolore, solo più silente. Come un vulcano temporaneamente spento in attesa di una nuova eruttazione. E non c’ è nulla di romantico o di melenso nell’aiuto accorato e disinteressato che Edee/Wright trova sul suo percorso: è ormai allo stremo delle forze quando un cacciatore di passaggio (il Miguel di Demián Bichir) le salva la vita. Il reciproco rispetto verso il rifiuto a condividere il passato, così come a ricevere notizie dall’esterno, l’apprendimento delle tecniche di base per la sopravvivenza, l’aiuto disinteressato costante, compreso il cane lasciatole in affido, veicolano inconsapevolmente Edee verso un ritorno alla vita, e verso un altro dolore che ora la trova semplicemente più forte e consapevole. Con quel finale in
Land, Robin Wright sottoscrive poi come il grande cinema possa esprimersi al meglio per cenni, per quello che viene lasciato tra le righe, ben più prezioso del più esplicito dei racconti. Beh, direi che con Land Robin Wright abbia vinto la sua sfida, sia davanti che dietro la macchina da presa!
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)