MIRACOLO A LE HAVRE - INTERVISTA al regista AKI KAURISMÄKI (A cura di CHRISTINE MASSON)
24/11/2011 -
Il regista AKI KAURISMÄKI sulla sua ultima fatica cinematografica, MIRACOLO A LE HAVRE, al 29. Torino Film Festival (25 Novembre-3 Dicembre 2011)
Come le è venuta l’idea del film MIRACOLO A LE HAVRE? E’ stato mosso dalla situazione sempre più drammatica delle persone in fuga dal loro paese? O più semplicemente dal desiderio di fare un altro film in Francia?
AKI KAURISMAKI: "L’idea ce l’avevo già da qualche anno, ma non sapevo ancora dove girarla. In effetti, la storia poteva essere ambientata in un qualsiasi paese europeo, tranne che in Vaticano, forse. O magari proprio lì. I
posti più logici erano Grecia, Italia e Spagna, perché sono quelli più gravemente investiti dal problema. In ogni caso, ho percorso in macchina tutta la costa da Genova all’Olanda, e ho trovato quello che cercavo nella città del blues e del soul e del rock’n’roll, Le Havre.
In Francia il nostro motto è 'Liberté, égalité, fraternité'. Sembra che lei abbia scelto l’ultimo: la fraternità, la fratellanza".
Gli altri due sono sempre stati troppo ottimistici. Ma la fratellanza esiste ovunque, anche in Francia! Questa “fratellanza” tra gli abitanti del quartiere dei pescatori di Le Havre salva il bambino, ma nella realtà non esiste, giusto?
A. KAURISMAKI: "Io spero proprio di sì, invece, altrimenti staremmo già vivendo in quella società di formiche prossima ventura di cui parlava spesso Ingmar Bergman.
Sembra quasi che più la situazione nel mondo si fa violenta, più lei conservi la sua fiducia nell’uomo".
E’ diventato ottimista?
A. KAURISMAKI: "Ho sempre preferito la versione di Cappuccetto rosso in cui lei mangia il lupo e non viceversa. Ma nella vita reale preferisco i lupi agli uomini pallidi di Wall Street".
Ha incontrato degli immigrati per scrivere la sua storia?
A. KAURISMAKI: "No. Ma li ho incontrati in altre occasioni, certo".
Per rappresentare questa immigrazione ha scelto un bambino africano. La gioventù è il simbolo della speranza?
A. KAURISMAKI: "Non ci sono simboli nei miei film, ma in generale mi fido più dei giovani che di gente come me. Di sicuro mi fido ciecamente di Blondin Miguel, che interpreta il personaggio del bambino".
In questo film ha allargato la sua famiglia di attori – a Jean-Pierre Darroussin, per esempio. Anche se, guardando il film, si ha l’impressione che Darroussin sia sempre stato uno dei vostri.
A. KAURISMAKI: "Certo, anche prima stava con noi, ma non gli permettevo di recitare. Gli facevo solo pulire il set la sera…"
E’ impegnativo dirigere attori francesi?
A. KAURISMAKI: "E’ solo un privilegio".
Come in VITA DA BOHÈME, lei sembra cercare la Francia eterna e immutabile del dopoguerra, quella degli anni cinquanta. E’ un nostalgico di quel periodo?
A. KAURISMAKI: "Sono solo un po’ lento. L’architettura moderna mi fa male agli occhi. Ma gli anni settanta cominciano già ad avere un’aria 'd’epoca'… Per fortuna c’è sempre uno ieri".
Vale lo stesso per i suoi riferimenti cinematografici - Bresson, Becker, Melville, Tati, René Clair, Marcel Carné? Nel suo film c’è un po’ di ognuno di loro.
A. KAURISMAKI: "Me lo auguro veramente, perché di mio c’è poco… Ho studiato alcuni film di Marcel Carné, ma non sono riuscito a rubare niente senza saltare da una favola semi-realistica a un vero e proprio melodramma".
Dal mondo della cultura francese ha preso anche un cantante, Little Bob, che nel suo film fa l’attore. Nella realtà è un suo riferimento musicale?
A. KAURISMAKI: "Le Havre è la Memphis francese. E Little Bob, alias Roberto Piazza, è l’Elvis di questo regno, finché Johnny Hallyday sarà a Parigi. Ma anche in caso contrario, sarebbe un bel match".
MIRACOLO A LE HAVRE è il film che voleva fare?
A. KAURISMAKI: "Più o meno. Almeno spero…".
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