The Manchurian Candidate
02/09/2004 -
Press Conference & Dintorni
The Manchurian Candidate (Regia: Jonhatan DEMME)
Jonathan DEMME, Denzel WASHINGTON (anche Man on Fire), Meryl STREEP, Liev SCHREIBER
Se ne sentiva la mancanza. Si aspettavano gli artisti giusti e il prodotto di qualità da onorare come si deve. Ed ecco la prima ovazione della 61a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, con Meryl Streep che avvia note di canto lirico per provare il microfono.
Arte, Politica, Cultura. La cultura può avere un’influenza su un’elezione?
E’ Meryl Streep a rispondere in proposito: ”Questo film parla di problemi che hanno perseguitato tutti quanti. E’ da quando è stata inventata la politica che abbiamo la
corruzione, gli affari sporchi, e questo vale per tutti i tempi. Direi che personalmente sono stata influenzata dal mondo maschile, soprattutto. Molti pensano che con questo mio personaggio riproduca Margaret Tatcher, in America pensano che riproduca Ilary Clinton, ma la personalità che ho voluto riprodurre non potrebbe essere più lontana da ambedue questi personaggi… Molti si preoccupano delle donne alla leadership. E’ un’immagine che fa paura”. Indubbiamente qualche aspetto di Margaret Tatcher che ha influenzato il personaggio di Meryl Streep c’è: “L’idea dei grossi orecchini, della collana e della grossa spilla, ma certo è anche un’uniforme per molte donne sotto
gli occhi del pubblico. Mi sembrava che i gioielli dovessero essere evidenti perché qui si tratta di una donna che ha diritto alla sua posizione, a causa del suo background di grande privilegio…”. In proposito puntualizza il regista: “Meryl si è ispirata soprattutto alla sceneggiatura e dal fatto di essere madre…Da una madre vuole che i figli entrino nel mondo e abbiano successo, però una parte del cuore della madre vorrebbe tenere a casa il bambino per poterlo coccolare… Queste due cose affiancate entrano nella relazione tra madre e figlio nel film… Si tratta di ruoli psicologici, di personaggi molto
complessi, coinvolti in una serie di circostanze straordinarie”.
Un perno del film resta comunque l’assoggettamento della politica al grande potere economico, Jonathan Demme ne sottolinea alcuni tratti: “Parlando da americano penso che il nostro Paese abbia dei grossi problemi attualmente. I leaders ci hanno portato in una direzione veramente sbagliata. E penso i nostri leaders attuali veramente vogliano prendere possesso del mondo, per due motivi: innanzitutto ci saranno utili senza fine che proverranno dalla proprietà di tutto il mondo, e poi infine ci sarà un senso di sicurezza, il sollievo dalla paura, perché con il possesso del mondo non c’è
più la paura di essere attaccati. Quanto alla Democrazia penso che chi di noi vive in Paesi con una leadership ricca, questa è profondamente connessa con interessi economici e questo allontana qualsiasi tipo di governo per il popolo. Questo vale in tutti i Paesi del mondo, forse più in particolare nel nostro Paese che è guidato da questa necessità di avere il denaro al potere. Questa è la lotta che sta combattendo il nostro Paese attualmente e che verrà a conclusione fra due mesi durante le elezioni. Ci sono milioni di Americani che sperano in un ritorno di un senso
della Democrazia più ampio, con un senso di controllo del popolo su quanto fanno i leaders”.
A chi intendesse vedere in The Manchurian Candidate il ritratto di una politica come metafora di una ricaduta delle guerre combattute in suolo straniero, come un veleno che ha avvelenato la politica americana e che distrugge le istituzioni politiche dall’interno, il regista Jonathan Demme schiarisce lo sguardo: “Il film è innanzitutto un thriller psicologico e in quanto regista l’ho affrontato con l’idea che volevo cercare di forgiare il film affinché il film fosse simile a Il silenzio degli Innocenti fatto nel passato. Volevo che
questi personaggi venissero riprodotti da questi grandi attori, per fare del film una fortissima esperienza emotiva. Il film è collocato certamente nell’ambiente politico e sul dominio del mondo, ma quando è stato scritto il libro nel ’59, si pensava alle torture con il lavaggio del cervello e così via. Oggi invece, utilizziamo altre idee, altre soluzioni…Si è pensato certamente a quanto è successo nell’America alla fine degli anni Cinquanta, quando le persone al potere utilizzavano la paura: la paura del mondo esterno, la paura che il buon mondo potesse essere dominato dai comunisti per far sì che la popolazione americana diventasse passiva e c’è stato un lavaggio del cervello di tutto il popolo americano. Ecco, ho voluto utilizzare per questo thriller quel senso della paura che attanaglia tutta la popolazione, per far sì che questa accettasse la guida di chi è al governo che pensava di fare quanto fosse il meglio per il Paese stesso”.
Il film sembra aver avuto una buona accoglienza negli Stati Uniti, perché, secondo Meryl Streep: “In questo momento c’è una grossa tensione politica e molti si chiedono quanto il denaro influenzi i politici, le loro menti e quindi è una connessione col film ciò che la gente già sente nella propria vita reale”. Ma in quanto thriller psicologico il film dà la possibilità ad attori come Denzel Washington di esprimere la profondità interiore di un personaggio particolare e diverso dai suoi precedenti e dallo stesso interpretato in Man on Fire, per la regia di Tony Scott. Ma, come dichiara lui stesso: “E’ questo che mi piace del recitare, perché mi permette di esprimere idee diverse, avere sentimenti diversi e poter andare sotto la pelle di persone diverse. E questo è quello che rende interessante il personaggio di Man on Fire e che riesce ad avere il controllo sulla situazione, e nel caso del mio personaggio in The Manchurian Candidate, sotto controllo, è indubbiamente un personaggio più frustrante, in quanto esperienza di recitazione”. Il film attuale è un remake di uno precedente in bianco e nero diretto da John Frankenheimer nel 1962. Si tratta di un tributo ma anche di un’evoluzione, attraverso lo sfrondamento di alcune improprietà formali dando più ritmo sul filo della memoria psicologica e storica, perché come asserisce il regista: “Le esperienze emotive che abbiamo nei nostri sogni sono tanto valide quanto le esperienze reali…”.
(a cura di PATRIZIA FERRETTI)
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