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    L'INTERVISTA

    INTERVISTA INEDITA AL REGISTA FERNANDO LOPES (A cura di MARCELLO CELLA)

    14/08/2007 - PISA, 1995:

    INTERVISTA al regista FERNANDO LOPES:

    (A cura di MARCELLO CELLA

    Qual'è la situazione attuale del cinema portoghese a livello produttivo e distributivo?

    Lopes: "Attualmente c'è una situazione molto complicata perchè fino al 1993 la televisione pubblica partecipava finanziariamente alla produzione del cinema portoghese. Ora il cinema portoghese deve pagare in un certo senso una tassa sulla pubblicità che ammonta più o meno al 4% e questa stessa pubblicità è distribuita insieme al cinema. C'è un Istituto Portoghese di Cinema che ora si è trasformato nell'Istituto Portoghese del Cinema e dell'Audiovisivo. L'introduzione del termine 'audiovisivo' ha cambiato tutto perchè i responsabili della televisione privata vogliono riottenere tutti i soldi che hanno investito in queste produzioni e non producono documentari nè film importanti. La televisione pubblica non partecipa più alla produzione del cinema, cosa che invece faceva ogni anno da quasi quindici anni, e questo ha cambiato molto anche il finanziamento dei film. Ora è molto difficile produrre un film in Portogallo anche se i costi sono bassi, i più bassi d'Europa, forse i più bassi insieme ai paesi dell'est. Ma il film portoghese di solito ha più o meno bisogno di un budget di un milione di dollari e di solito si ottiene solo una parte di questo finanziamento, circa il 60%, e il resto bisogna andare a cercarselo in altri paesi europei. Comunque a causa delle coproduzioni i film sono cambiati. E' un po' il mio caso con A Linha do Horizonte (Il filo dell'orizzonte, 1993, ndr.), ma per una volta è andata bene perchè Tabucchi è stato molto d'aiuto in questo progetto essendo lui molto conosciuto sia in Portogallo che in Francia. Ma per un film portoghese non è facile ottenere i soldi di cui ha bisogno. Il fatto che la televisione pubblica non partecipi più al finanziamento dei film nuoce molto alla diffusione del cinema portoghese che era completamente o in gran parte basato su autori molto decisi a fare dei film anche minoritari e qualche volta anche un po' fuori dal mercato".

    Ma lei ha detto una volta che il cinema ha portato in televisione degli importanti elementi di rinnovamento. Questo rapporto tra cinema e televisione può portare degli elementi di innovazione linguistica?

    Lopes: "Io ho lavorato nella televisione pubblica ma la mia intenzione è sempre stata la stessa. Usavo la televisione per fare delle coproduzioni tra le televisione e i cineasti portoghesi. Commissionavo delle opere originali e partecipavo finanziariamente ai film. Ma non erano solo film, c'erano anche delle produzioni originali di fiction per la televisione e questi lavori su commissione fatti per la televisione sono stati un po' degli esperimenti di linguaggio visuale che in seguito hanno anche arricchito i film. Era un buon sistema di comunicazione tra il cinema e la televisione. Il film di Monteiro, Recordaçoes da Casa Amarela (Ricordi della casa gialla, 1989, ndr.), era un lavoro commissionato dalla televisione, prima però Monteiro ha fatto anche tre piccoli film che sono stati un po' la prova generale per il lungometraggio. Ho commissionato lavori anche a De Oliveira. E quando non era un film di fiction si trattava di documentari e ciò era positivo perchè, visto che il documentario ha un rapporto molto diretto con il reale, questi lavori hanno arricchito l'immaginario dei cineasti. Però tutto questo ora è finito. Salvo per De Oliveira che è un caso a parte".

    Lei ha cominciato con il documentario. Qual'è il suo rapporto con questo genere espressivo?

    Lopes: "Io ho cominciato un po' come tutti i giovani della mia generazione. E non erano proprio dei documentari, piuttosto dei cortometraggi. Era una scuola pratica e anche un modo di lavorare appreso in Francia dove c'era Resnais che aveva cominciato in questo modo, e in Italia dove c'era Antonioni che aveva fatto due cortometraggi molto belli, Gente del Po (1947) e Nettezza urbana (1948). Quindi si trattava di trovare uno stile che poi sarebbe stato lo stile proprio dell'autore. Anch'io nei miei documentari ho cercato di capire ed esprimere il mio stile. Prima del mio primo film avevo già fatto quattro cortometraggi e avevo più o meno scoperto qual'era il mio proprio linguaggio. Il mio primo cortometraggio, As Pedras e o Tempo (Le pietre e il tempo, 1960, ndr.), che all'epoca partecipò ad un festival di giovani cineasti, era molto simile a quello che poi sarebbe diventato il mio primo film e spesso anche ai miei film successivi. Ora questo non esiste in Portogallo: i giovani seguono delle scuole di cinema e quindi sono obbligati a lavorare alla televisione o in video, oppure hanno la fortuna di fare il loro primo film. In questo caso non hanno la preparazione per filmare e hanno problemi di produzione ,ma tutto questo li rende capaci di avere delle idee più originali. E' per questo che mi dispiace molto che in questo momento non ci sia una politica che riguarda il finanziamento dei cortometraggi e dei documentari dei giovani cineasti".

    Non esiste più la possibilità di fare dei cortometraggi da presentare nelle sale prima della proiezione dei lungometraggi?

    Lopes: "No. Questo era molto importante negli anni Sessanta e Settanta quando venivano fatti vedere dei cortometraggi prima di un film. Era molto importante per i cineasti perchè vedevano direttamente le reazioni nel pubblico e nella critica. Ma questo ora è scomparso. Ci sono solo dei piccoli film d'animazione che non hanno nessun senso. In Portogallo è così e credo anche in Italia. L'eccezione anche questa volta è la Francia che fa delle programmazioni in cui si trovano dei cortometraggi abbinati ai lungometraggi".

    Anche in Italia negli ultimi anni ci sono stati dei casi sporadici in cui sono stati programmati dei film insieme a dei lungometraggi....

    Lopes: "...anche in televisione mi sono battuto molto per un programma serale che, almeno ogni quindici giorni, presentasse i cortometraggi di giovani cineasti alle prime armi e quelli di cineasti già famosi come De Oliveira, Antonioni, Godard, Truffaut, Greenaway, perchè ci sono e sono molto interessanti. Si possono scoprire delle cose sorprendenti. Uno dei film che più mi ha influenzato è un film di Resnais, Notte e nebbia, (Nuit et brouillard, 1955, ndr.) ed è un cortometraggio".

    Quale è stata, secondo lei, l'influenza delle tendenze espressive dominanti nel cinema alla fine degli anni Cinquanta (il Free Cinema inglese, la Nouvelle Vague francese e il Neorealismo italiano in particolare) sul cinema portoghese e sul suo cinema?

    Lopes: "Diciamo che la mia generazione è riuscita a fare delle cose tutte insieme all'inizio degli anni Sessanta, nel 1961-'62 circa. E' la prima generazione educata dal cinema e può anche essere considerata una generazione accademica. Infatti c'era una parte di noi che aveva studiato a Parigi, e un'altra parte, ed è il mio caso, che aveva studiato a Londra. Il cinema in Portogallo alla fine degli anni Cinquanta era un cinema di una mediocrità totale, escluse le opere di un regista che era un po' più anziano di noi, Manuel Guimaraes, che ha voluto introdurre in Portogallo quella che era stata la lezione del cinema neorealista italiano. Il problema è che a quell'epoca c'era Salazar, c'era molta censura e niente era possibile, per cui quello che si riusciva a fare era solamente qualcosa di 'rosa', senza forza. Alla fine degli anni Cinquanta eravamo molto più soffocati che durante la guerra perchè il salazarismo si difendeva ed era veramente schiacciante. Il Neorealismo italiano perciò sembrava veramente qualcosa di destabilizzante e i film che appartenevano a questa tendenza espressiva non venivano programmati a Lisbona perchè si diceva che erano rivolti ad un pubblico minoritario, il che era vero. Quando sono andato a Londra, nel 1959, avevo 24 anni e il mio amico Paulo Rocha che era a Parigi aveva su per giù la mia stessa età. Lui è stato molto influenzato dalla critica francese, dai Cahiers du Cinema, mentre io ero più influenzato dal cinema inglese, dal Free Cinema che era un cinema più pragmatico. Però ci si incontrava spesso a Parigi perchè approffittavamo della città per vedere tutti i film che in Portogallo erano censurati e non si vedevano. Non potevamo nemmeno vedere i classici del cinema sovietico. Quindi quando siamo ritornati in Portogallo e abbiamo cominciato a fare i nostri primi film avevamo una visione diversa da quella che avevamo quando eravamo partiti. Diciamo che Paulo Rocha tendeva verso la Nouvelle Vague francese, mentre io preferivo il cinema inglese e anche quello italiano. In quell'epoca c'era una polemica molto accesa in Portogallo tra quelli che sostenevano i Cahiers du Cinema e i critici italiani come Aristarco, che all'epoca è anche venuto a Lisbona. Quindi c'era una grande varietà di idee. Ancora oggi in Portogallo c'è una grossa influenza della cultura francese ma non come negli anni Sessanta. Ora prevale la cultura anglosassone. Questo comunque è il clima che ha dato un inizio al nostro cinema. C'è stato Fonseca e Costa che è venuto in Italia per lavorare con Antonioni, ne L'eclisse (1962), ed era molto vicino ai cineasti italiani, era amico di molti di loro, e, avendo anche un po' di soldi poteva anche permettersi di venire qui e fare delle pubblicazioni a sue spese perchè aveva una piccola casa editrice. E' lui che ha fatto conoscere Aristarco, Chiarini e altri critici italiani in Portogallo. All'epoca comunque c'erano delle grosse discussioni, sarebbe meglio dire delle battaglie, tra i sostenitori della Nouvelle Vague e quelli del Neorealismo. Ci si trovava nei locali di Lisbona con il gruppo dei Cahiers e non ci si parlava nemmeno. Io non ero così ostile nè all'uno nè all'altro e quindi facevo un po' la spola fra un gruppo e l'altro. Avevo già fatto dei film ed essendo il primo che aveva veramente iniziato a girare potevo permettermi di farlo perchè la mia educazione era quella di cercare di capire tutti i tipi di cinema, avendo iniziato come montatore. Quindi ho lavorato praticamente su tutti i tipi di film. Ho fatto il montaggio dei miei primi film e anche dei cortometraggi di altri cineasti portoghesi che stavano emergendo come César Monteiro, Antònio Pedro Vasconcelos e molti altri".

    Lei ha lavorato all'inizio degli anni Settanta ad alcuni programmi televisivi di successo come Curto Circuito e Ensaio. Che tipo di programmi erano?

    Lopes: "Curto Circuito è stato dopo la morte di Salazar, quando c'è stata una liberalizzazione della televisione con Marcelo Caetano. Era un programma in diretta. Per la prima volta avevamo un soggetto e si poteva fare una discussione in diretta, una specie di talk show ante litteram, ma è stato drammatico perchè eravamo continuamente censurati. Quindi dopo sei mesi di programmi ho lasciato perdere tutto perchè non si poteva lavorare in questo modo, dal momento che la cosa stava diventando anche abbastanza violenta perchè la gente voleva parlare, esprimersi a tutti i costi. Hanno tagliato dei programmi perchè hanno capito che la televisione poteva diventare una cosa abbastanza scomoda. Sono così finito a fare un altro tipo di programma, Ensaio, e ho partecipato a molte altre realizzazioni perchè questo era possibile dopo la morte di Salazar. Ensaio era un programma fatto come un film che aveva quattro temi. Il produttore ci invitava ad affrontare un soggetto, cioè si trattava di fare un piccolo 'essai' su un tema e a volte era una cosa interessante".

    Lei ha praticato anche la critica dirigendo, sempre nei primi anni Settanta, la rivista Cinéfilo. La critica ha avuto un ruolo importante nella sua formazione e in quella degli altri cineasti portoghesi?

    Lopes: "Si, dal 1972 fino al famoso 25 aprile del 1974, quello della cosiddetta 'rivoluzione dei garofani'. Ero il direttore della rivista. La critica in quegli anni ha avuto un ruolo molto importante perchè c'erano molte persone che lavoravano nel cinema. C'ero io, c'era Vasconcelos, Joao Cèsar Monteiro, c'erano molte persone che lavoravano nel cinema, c'erano degli scrittori e anche delle persone che erano esiliate in Italia, a Bruxelles o in Francia. Facevamo una critica molto polemica e parziale, soprattutto Monteiro, ed eravamo molto politicizzati. Parlavamo molto dei cineasti che ci piacevano e distruggevamo completamente gli altri. Questo ha avuto una grossa importanza perchè abbiamo aperto le porte a delle persone nuove che poi sono diventate dei validi critici o cineasti. Abbiamo fatto anche dei numeri che sono rimasti storici, molto speciali, due in particolare su Rossellini quando è venuto a Lisbona, che hanno costituito un riferimento anche per Adriano Aprà quando ha scritto il suo libro su Rossellini e che aveva collaborato anch'esso a Cinéfilo. Alcuni numeri della rivista sono stati richiesti anche all'estero. Abbiamo fatto anche un numero speciale su Renoir, uno su registi come Ozu, Mizoguchi, abbiamo anche parlato dei nuovi generi cinematografici come lo spaghetti western. Era quindi una rivista molto varia e siamo stati molto interessati a tutti i tipi di film. E' stata una rivista che ha avuto molta importanza, ma dopo il 25 aprile abbiamo avuto altre cose da fare per cui siamo andati tutti via".

    Con Marcelo Caetano c'è stato un nuovo rapporto tra potere e televisione?

    Lopes: "Non era un buon rapporto, era solo un rapporto più ipocrita di quello di Salazar, perchè con Salazar la situazione era chiara. Invece Caetano era un uomo autoritario come Salazar ma più moderno di lui. Aveva viaggiato molto mentre Salazar era sempre rimasto in Portogallo. Caetano era stato negli Stati Uniti e fece venire dagli USA delle persone che si occupassero della televisione. Caetano ha capito quello che si doveva fare con la televisione e aveva il senso dello spettacolo televisivo. Ci ha aperto delle piccole porte alla televisione e ci ha dato l'impressione di poterci esprimere quasi liberamente. Quindi per circa un anno, un anno e mezzo c'è stata una certa apertura nei confronti della televisione. C'erano delle discussioni in diretta sui problemi economici, e cominciavano ad esserci degli scioperi un po' ovunque. Poi Caetano ha capito che se ci avesse dato troppo spazio all'interno dei mezzi di comunicazione ci sarebbe stata un'esplosione. Quindi la censura divenne anche più rigida e più forte di come era stata sotto Salazar".

    Ma il rapporto di Caetano con la televisione assomigliava in qualche modo al rapporto che con essa ha il nostro Berlusconi?

    Lopes: "Penso che con Berlusconi non ci siano molte attinenze perchè Berlusconi è un caso estremo, un uomo che ha un diverso punto di vista sui mezzi di comunicazione, mentre Caetano aveva una concezione dei mezzi di comunicazione molto vecchia, cioè l'idea del controllo, della censura, della manipolazione diretta. Con Berlusconi c'è la stessa cosa ma è fatta in un altro modo, c'è un flusso di immagini senza un apparente criterio e in qualche modo tentacolare perchè si esprime un po' dappertutto. Invece in Portogallo c'era una sola televisione di stato. Ma a Caetano la televisione interessava molto perchè è lui che l'ha creata in Portogallo e aveva capito che era un mezzo importante per il potere".

    Quale è stato più generalmente il rapporto degli intellettuali con il potere prima con Salazar e poi con Caetano?

    Lopes: "Con Salazar era veramente la resistenza. Tutto quello che contava e che conta anche oggi a livello intellettuale aveva assunto una posizione politica molto chiara di opposizione al potere. Gli scienziati, gli scrittori erano in opposizione al regime di Salazar. I professori universitari hanno sofferto molto perchè non potevano pubblicare, insegnare all'università come volevano e ci sono stati molti professori che sono emigrati in Brasile, in Francia e un po' dappertutto. Se qualcuno collaborava minimamente con Salazar era escluso dal gruppo intellettuale di cui faceva parte. Questo è cambiato quando è salito al potere Caetano. L'opposizione degli intellettuali, che non era necessariamente solo di sinistra, ha coltivato una certa speranza in una apertura, principalmente perchè gli intellettuali vedevano in Caetano un altro intellettuale, il che era vero. Veramente anche Salazar era un intellettuale molto intelligente ma in un certo senso mostruoso. Quindi c'è stato un momento di ambiguità. Dopo un anno, un anno e mezzo hanno capito tutti che non c'era niente da aspettarsi e che Caetano non era in grado di risolvere i problemi dell'economia del Portogallo o almeno di confrontarsi con essi. L'unica cosa da fare era cercare delle alleanze con altre forze e quindi in quel momento, per realizzare questa rottura, si è pensato ai giovani militari dal momento che molti di loro conoscevano intellettuali, musicisti e molte persone che erano state imprigionate o che facevano parte dell'opposizione durante il regime di Salazar".

    E dopo il 25 aprile quali sono stati i cambiamenti nel cinema portoghese?

    Lopes: "Il primo cambiamento è stato un po' anarchico, magnifico. Abbiamo lasciato perdere l'Istituto del Cinema Portoghese e abbiamo fatto i film che volevamo fare come volevamo. Quindi abbiamo passato il periodo di tempo compreso fra il 25 aprile del 1974 e il novembre del 1975, circa un anno o due, a girare come matti dei film un po' inorganici a livello della riflessione e della costruzione ma comunque importanti perchè registravano lo sviluppo tumultuoso dei movimenti politici, dei movimenti popolari, delle lotte. Quindi da un certo punto di vista abbiamo fatto un cinema militante e spero che un giorno questo sarà recuperato e rielaborato a livello di immagine con un'altra visione delle cose. Sarebbe una cosa molto affascinante e se ne potrebbero trarre dei programmi televisivi straordinari. Dopo quel periodo abbiamo provato a riorganizzare l'Istituto Portoghese del Cinema in un sistema più 'realista' e ognuno di noi ha ricominciato a fare il proprio cinema. La lotta non era finita ma la politica ci aveva un po' sfinito e quindi avevamo cominciato a riflettere su quello che ci era successo in un modo più o meno diretto e questo si vede molto nei film. De Oliveira invece è rimasto esattamente com'era perchè aveva sempre cercato di fare quello che voleva fare fregandosene completamente di quello che succedeva, ma faceva il suo tipo di cinema e continua a farlo. E' curioso che poi sia diventato un cineasta in un certo senso 'ufficiale'".

    Quale è stata la funzione della Fondazione Gulbenkian?

    Lopes: "La Fondazione Gulbenkian è stata importante perchè nel 1968 ci ha dato i mezzi finanziari per creare una cooperativa di cineasti. A quell'epoca Salazar era ancora in vita e solo un anno dopo sarebbe 'caduto dal seggiolone'. Gulbenkian era un grande signore armeno che aveva il 5% di tutto il petrolio del mondo e che si era rifugiato in Portogallo durante la seconda guerra mondiale, dove è rimasto ed ha deciso di creare questa fondazione. Il suo presidente, che era anche il suo avvocato, era anche interessato al cinema perchè lo amava molto. Inoltre era stato repubblicano prima di Salazar e forse anche della massoneria, quindi era un uomo dell'opposizione. Quest'uomo ha deciso di darci la possibilità di lavorare a patto che ci si mettesse d'accordo fra noi giovani cineasti. La cosa è stata molto difficile per i noti contrasti che dividevano il gruppo dei Cahiers dagli altri, fino a quando abbiamo capito che solo mettendoci d'accordo potevamo avere i soldi per lavorare. Quindi abbiamo creato il Centro Portoghese del Cinema che era una vera cooperativa in cui si decideva democraticamente come si doveva lavorare e cosa fare. La Fondazione ci dava tutti gli anni un budget per pagarci, visto che non avevamo accesso ai fondi dello Stato dal momento che eravamo connotati come gruppo di opposizione al regime (qualcuno di noi allora apparteneva anche al Partito Comunista, che era una cosa pericolosa all'epoca). Questa Fondazione quindi ci ha permesso di fare i nostri primi film. Veramente io avevo già fatto il primo, ma per gli altri era l'unica occasione per fare i propri film. E' così che De Oliveira ha ricominciato a fare dei film con O Passado e o Presente (Il passato e il presente, 1972, ndr.), sempre del Centro Portoghese del Cinema, e Amor de Perdiçao (Amore di perdizione, 1975-'78, ndr.), che Antònio Reis ha potuto fare Tràs-os-Montes (1976) e che una nuova generazione successiva alla nostra (Monteiro, Pedro Vasconcelos, ecc.) ha potuto fare i propri primi film, con i soldi di questa fondazione e del Centro Portoghese del Cinema".

    Quale era il rapporto tra la Fondazione Gulbenkian e il potere?

    Lopes: "Gulbenkian era uno Stato nello Stato. Al potere di Salazar la cosa non andava bene ma non ci poteva fare niente. Oggi sarebbe molto complicato spiegare questo a livello internazionale perchè non bisogna dimenticare che l'Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti erano i paesi candidati ad ospitare questa fondazione. Ma questo avvocato portoghese che presiedeva la Fondazione e che ora è morto, era un grande signore e non sopportava Salazar. Quando sentiva salire la pressione del potere politico minacciava di andarsene in Francia, in Inghilterra o negli Stati Uniti. Salazar del resto aveva bisogno di questa Fondazione perchè giocava un ruolo capitale per le arti portoghesi. Era la Fondazione che dava la possibilità a pittori, scienziati e scrittori di poter fare quello che volevano fare, che ha creato centri di ricerca scientifica, studi sull'agricoltura e soprattutto era molto importante perchè giocava un ruolo sociale decisivo, e ce l'ha ancora oggi, finanziando molte opere sociali come ospedali, scuole, ecc.. Salazar, che aveva investito molti soldi nella guerra coloniale, non aveva alcuna possibilità di fare queste opere. Quindi di fatto la Fondazione è diventata uno Stato nello Stato".

    E il ruolo del produttore-regista Cunha Telles?

    Lopes: "Cunha Telles è anch'esso molto importante. Arrivava dall'Idhec di Parigi, era collega di Paulo Rocha, e costituisce un caso assai curioso. Era un uomo completamente formato dal regime, che andò in Francia a studiare il cinema. Quando ritornò in Portogallo continuò ad avere contatti col regime, ma, potendo contare su una fortuna personale e influenzato dai nuovi produttori della Nouvelle Vague, decise di assumere in Portogallo il ruolo che era stato di Braunberger in Francia. Ha fatto fare a Paulo Rocha e a me il nostro primo film senza nessun condizionamento perchè tutto questo fu fatto solo con i suoi soldi e senza nessun aiuto economico da parte dello stato. Decise di rischiare e quindi è stato molto importante. E via via che investiva i suoi soldi nei film di giovani registi portoghesi o francesi (nel 1962 ha prodotto Vacances Portugaises di Pierre Kast ed è stato coproduttore di La peau douce (La calda amante, 1964, ndr.) che Truffaut ha girato a Lisbona) si allontanava sempre più dal potere e il potere si allontanava da lui fino a diventare non esattamente un aperto oppositore del regime ma almeno ad entrare in completo dissenso con questo potere da cui era partito. Lui stesso poi ha fatto il suo film, O Cerco (1969), che passò a Cannes, un film abbastanza interessante sulla società portoghese dell'epoca di Marcelo Caetano. Ora è diventato soprattutto un fornitore di servizi allo stato, non vuole più produrre dei film e cerca solo di guadagnare dei soldi".

    E Paulo Branco?

    Lopes: "Paulo Branco viene molto dopo. Cunha Telles si era praticamente rovinato con i suoi film e c'era questa nuova generazione di cineasti che stava emergendo dopo di noi. Branco era studente a Parigi e lì aveva cominciato a lavorare grazie all'aiuto di alcuni amici in una sala cinematografica, il cinema Repubblica, con Frèderic Mitterand, diventando un cinefilo folle. Aveva molto talento nello sfruttare le sale cinematografiche e era molto interessato a tutto quanto di nuovo c'era intorno a lui. Quindi passò alla produzione, ritornò in Portogallo e cominciò il suo sodalizio con De Oliveira e da allora, sono più o meno quindici anni, lavorano sempre insieme. Ha lavorato molto anche con molti giovani cineasti francesi. E' un personaggio abbastanza straordinario perchè ha un carattere avventuriero leggendario…".

    In Portogallo è stato anche accusato di essere troppo esterofilo…

    Lopes: "…Si, è vero. Però ha capito per tempo che la sorte del cinema di ogni singolo paese ormai passa attraverso l'Europa. E' per questa intuizione che è diventato il più grande produttore portoghese. Anche se ora ci sono altri validi produttori portoghesi come Tino Navarro o Joachim Pinto che sceglie sempre di produrre autori particolari come Monteiro o altri registi di questo tipo".

    Wenders una volta ha detto che il cinema tedesco della sua generazione era nato contro il cinema e la cultura dei padri. E' successo così anche in Portogallo?

    Lopes: "No. Quando noi abbiamo cominciato eravamo contro i padri perchè in quel momento il cinema portoghese era talmente mediocre che quel cinema non poteva far parte della nostra 'famiglia'. Quei cineasti erano dei barbari che lavoravano con il potere e l'unico percorso possibile che conoscevamo era appunto andare contro di loro. In questi film il solo padre che noi riconoscevamo, l'unico esempio morale e forse estetico era quello di De Oliveira, ma lui aveva smesso di girare. Fino alla fine degli anni Cinquanta, quando decise di ricominciare, prima con un cortometraggio, O Pintor e a Cidade (Il pittore e la città, 1956, ndr.) e poi con un altro film, uno dei suoi più grandi secondo me, A Caça (La caccia), che è veramente tutto un programma per il cinema portoghese, e, più generalmente, iberico. Bisogna vederlo questo film, sono trenta minuti di una forza, di una violenza straordinari. In quel momento ci siamo detti, 'ora possiamo veramente cominciare a fare del vero cinema portoghese'. Allora abbiamo chiesto a De Oliveira di unirsi a noi per lavorare insieme. E' stato molto diverso dalla Germania della generazione di Wenders che rifiutava i padri compromessi con il nazismo. In quel momento la nostra situazione era terribile, molto peggiore di quanto non fosse in Germania negli stessi anni".

    Vorrei parlare del suo cinema. Come è nato il progetto di Belarmino (1968-1972)?

    Lopes: "Conoscevo molto bene alcuni boxeur. Non ci sono stati riferimenti letterari ai libri di Jack London. Belarmino lo conoscevo molto bene perchè amavo la boxe e a Lisbona conducevo una vita notturna abbastanza intensa, e in un certo modo ho assistito alla sua rovina. Ho capito subito che lui era in parte il riflesso della nostra immagine, quella del Portogallo. Tutti dicevano che Belarmino, se avesse avuto un po' più di fortuna, sarebbe stato un grande campione. E io dicevo a me stesso, 'se avrò un po' di fortuna diventerò un buon cineasta. Ma in questo paese' - mi chiedevo - 'come si fa a diventare un grande campione o un grande cineasta?'. Quindi con questo film realizzavo una specie di metafora del Portogallo. Oggi non è così ma all'epoca ero il meno letterario di tutti i miei colleghi, ero molto pratico e soprattutto avevo il gusto del lavoro materiale sul cinema per il fatto di aver lavorato molto come montatore, per cui mi confrontavo ogni giorno con le immagini e i suoni. Un giorno è venuto Belarmino da me e gli ho proposto di fare un film insieme. Praticamente era una cosa da niente, avevo firmato questo contratto con Cunha Telles in un caffè su un foglio di carta, ma da quel momento siamo partiti. Abbiamo trovato una cinepresa insonorizzata e poi ho cercato la collaborazione di alcuni amici giornalisti, soprattutto uno che scriveva di sport. Quindi ho cominciato a registrare immagini e suoni, e devo dire che lui era molto spontaneo, credeva sempre di essere in un match di boxe. Allora abbiamo girato questo film come un match di boxe, poi l'ho riscritto e mi sono detto, 'voglio capire quello che è vero e quello che non è vero'. Quindi è un film sulla menzogna e sulla verità. Non era un film-verità, principalmente era un film sulla menzogna. Belarmino mentiva con un grande senso dell'umorismo, lui non poteva dire che aveva fame, che non aveva da mangiare, che non aveva soldi, che non poteva uscire dal Portogallo, che la sua vita era finita e ciò era molto emozionante, commovente. Ho capito che questo film poteva essere fatto in modo non melodrammatico perchè lui aveva un grande senso dell'umorismo. Lui si divertiva a giocare alla John Garfield, a recitare questo personaggio perchè il suo attore preferito era proprio John Garfield a causa di Body and soul (Anima e corpo, di Robert Rossen, 1947, ndr.), ma non era un film sul clichè abituale del boxeur all'americana. All'epoca avevo visto due o tre film che mi avevano influenzato: c'era l'esperienza del Free Cinema inglese, avevo visto Shadows di Cassavetes, quindi avevo appreso la libertà nel girare. C'era il cinema di Jean Rouch con le sue invenzioni, utili per quello che volevo proporre a Belarmino. E poi per questo gioco di costruzione c'era un altro film molto importante per me che era Salvatore Giuliano di Francesco Rosi. Quindi ho capito che si poteva creare un punto di vista dialettico fra le varie visioni del problema. E' stato un lavoro affascinante per il modo in cui è stato girato il film ma soprattutto a livello di immagini e di montaggio. Ancora oggi rimango incantato di fronte a queste immagini".

    Belarmino era un personaggio senza padre. Costituiva una specie di metafora anche per voi cineasti portoghesi?

    Lopes: "Belarmino, è vero, era un personaggio senza padre, ma credeva sempre di poter vincere, quindi fondamentalmente non era pessimista. E il film finisce con Belarmino che si perde nella folla dopo una notte passata in un locale notturno con una prostituta dicendo a sè stesso: "Ora so che diventerò un campione", mentre intorno a lui c'è una Lisbona molto viva. Quindi il film in effetti era abbastanza metaforico".

    E Crônica de Bons Malandros (1981/'84)?

    Lopes: "L'ho fatto un po' come divertimento, come se fosse un filmetto. All'epoca la situazione del cinema portoghese era talmente bloccata che si facevano solo film militanti o non militanti. Per cui ho deciso di fare un film sui fumetti ed è stato il mio più grande successo commerciale e ancora oggi fa parte dei dieci film portoghesi che hanno totalizzato più spettatori".

    E Uma Abelha na Chuva (L'ape sotto la pioggia, 1968/'72, ndr.)?

    Lopes: "E' forse il mio film più elaborato con A Linha do Horizonte e c'è stata molta collaborazione. E' stato fatto per caso ed era tratto dal libro di un grande scrittore portoghese, Carlos de Oliveira. Anche la sua poesia mi piace molto e ne ero affascinato perchè scrive una poesia sull'arte, sulla materialità delle cose e sulla morte di questa materialità e veniva da una regione dove c'erano il mare e le dune di sabbia, delle cose che si trasformano continuamente e che poi spariscono. Era un film che ho realizzato pagandolo interamente con il compenso ricevuto per alcuni lavori pubblicitari che avevo fatto prima. Volevo fare una specie di esperimento: raccontare una storia con le immagini e un'altra con il sonoro, come fare una musica di contrappunto".

    E qual'era allora per lei il rapporto fra il linguaggio assertivo della pubblicità e quello più ambiguo del cinema?

    Lopes: "La pubblicità mi ha insegnato delle cose, soprattutto l'importanza del suono. E' così che ho scoperto che la banda sonora è di una importanza capitale e che se c'era un fuori campo nell'immagine, ci doveva essere anche un fuori campo nel suono. In quel momento mi sono accorto di non aver mai lavorato bene con il suono. Di solito ancora oggi facciamo un suono pleonastico come succede nel cinema americano in cui nell'80% dei casi è usato come per convincere lo spettatore di quello che vede. Magari l'inquadratura è sbagliata, gli attori sono pessimi ma il suono ripete quello che si vede rafforzando così nello spettatore l'impressione di verosimiglianza e 'nascondendo' gli altri difetti. Però mi ha sempre affascinato. Comunque c'è Ejsenstejn che ha scritto delle cose molto importanti sull'asincronismo e dal mio punto di vista è stato il primo che ha capito il problema".

    Lei ha fatto molti documentari, per esempio Nacionalidade Português (Nazionalità: portoghese, 1972, ndr.)…

    Lopes: "Mi è piaciuto molto farlo nel 1968 in Francia ed era una specie di memoria. Era un film di trenta minuti sugli immigrati portoghesi in Francia, a Parigi e a Tolosa. All'epoca l'emigrazione portoghese era una cosa epica. C'erano un milione di portoghesi a Parigi, che era diventata la seconda città del Portogallo, e vivevano in condizioni pessime. Erano emigrati soprattutto a causa della povertà, ma a partire dal 1965 erano emigrati anche per cause politiche, per non andare in Angola, in Mozambico, o in Guinea. Nel 1967-'68 era una cosa veramente straordinaria. C'era un film francese di Christian de Challonge su questi immigrati ma non ci sono film portoghesi perchè era una cosa sconvolgente. Più di un milione di persone avevano lasciato il Portogallo ed erano partite. E' una cosa i cui segni si vedono ancora oggi nell'interno del paese dove ci sono degli interi villaggi completamente vuoti, abbandonati. Anche in questo documentario si vedevano le case chiuse, inchiodate come se ci fosse passata la peste. Sono delle immagini straordinarie".

    E com'è nato il progetto de A Linha do Horizonte?

    Lopes: "Conoscevo bene Tabucchi da molto tempo. Penso di conoscerlo dalla prima volta che venne in Portogallo perchè ha fatto la sua tesi sul surrealismo portoghese. Ero molto amico di un grande poeta surrealista portoghese, Alexandre 'O Neill, che è morto. E' stato lui che mi ha detto un giorno: "Vieni che c'è un italiano molto interessante e abbastanza matto che si interessa al surrealismo portoghese". E' così che l'ho conosciuto. Da allora Antonio venne ogni anno in Portogallo, si interessò alla vita portoghese e cominciò a scrivere dei libri. C'è un suo libro che amo molto, Donna di Porto Pim, e che mi interessava molto. Questo era il libro che volevo, ma Tabucchi aveva già venduto i diritti ad uno spagnolo. Un giorno Tabucchi è venuto a casa mia dicendomi che aveva pubblicato un nuovo libro, Il filo dell'orizzonte, e che se lo avessi voluto me lo avrebbe dato per farne un film. Lui insiste che è un thriller realista mentre io penso che sia un thriller metafisico. E' questo lato surreale, che fra l'altro mi ricorda Borges, che mi è piaciuto molto, ma aveva ragione a dire che questo libro è difficile e inganna molto i cineasti perchè quando ci si comincia a lavorare ci si rende conto che ci sono dei buchi narrativi e che se ci si casca dentro non si ritorna più indietro. Sotto questo punto di vista è stato un lavoro duro, complesso e nello stesso tempo molto affascinante. Io pensavo continuamente, 'come uscirò da questo problema? Uscirò vivo da questi buchi?'. Ed è per questo che ho cambiato sceneggiatore. Avevo iniziato a lavorare con Sergio Vecchio, e poi ho continuato con un altro sceneggiatore che ha rifatto tutto perchè la prima versione era buona anche se lunga, ma non riuscivo a convincere il produttore francese perchè era troppo fedele al libro e intuivo che se fossi stato troppo fedele al libro avrei fatto un film banale. Allora a questo punto ho preferito rischiare. Per cui il film che ho fatto è più chiuso, più oscuro ma è più personale. E' la mia visione del libro".

    Io l'ho trovato un po' claustrofobico. Sono molto pochi gli esterni della città…

    Lopes: "…La città non si vede ma si sente attraverso i suoni. Non si vede mai un gabbiano in cielo ma si sentono continuamente. Ci sono le grida abbastanza angoscianti dei gabbiani ma non si vedono mai, salvo un momento in cui i personaggi sono vicino al mare. Ma bisogna dire che anche il libro è claustrofobico. Il suo finale è aperto ma le vicende del libro girano sempre intorno allo stesso luogo. E quindi ho deciso di portare questo elemento stilistico al limite estremo".

    Ha dei nuovi progetti in lavorazione?

    Lopes: "Si. Ho fatto un piccolo film che è stato selezionato per la Quinzaine des realisateurs al Festival di Cannes. Poi c'è un progetto abbastanza interessante, un film che voglio fare entro la fine dell'anno, un film su mia madre e il suo villaggio. Ora mia madre ha ottantacinque anni e sente la morte molto vicina anche se è una donna molto vivace. Sente la morte e sa che la sua vita volge al termine. Intorno a lei ha molti nipoti e possiede dei piccoli pezzi di terra che noi non conosciamo ma che per lei sono un piccolo capitale. Ha fatto una specie di pranzo con figli e nipoti e ognuno di noi racconta una storia. E poi sto lavorando su un libro, Il delfino, di José Cardoso Pires. E' ancora una grande metafora su quello che sono i portoghesi, su quello che siamo, su come ci comportiamo. Ho comprato i diritti di questo libro ma non so se sarò capace di trasformarlo in film perchè è un libro ricco e complesso. E il progetto deve essere ancora costruito finanziariamente".

    Che cosa pensa dei nuovi registi portoghesi come Teresa Villaverde, Joachim Pinto, Pedro Costa...

    Lopes: "Teresa ha molta forza, ha un enorme talento per la scrittura ed è forse quella che scrive meglio. Ha delle buone idee a livello di racconto ed ha sempre degli spunti originali. Ha studiato in Cecoslovacchia e quindi ha subito delle influenze dal cinema dei paesi dell'est. Questa ragazza è cresciuta con una grande idea del romanzo e riesce a scrivere delle storie molto forti. Tres Irmaos fra l'altro è l'ultimo film che ho coprodotto prima di andarmene dalla televisione. Pedro Costa è invece molto visionario a livello di immagine ma è molto oscuro perchè il piano narrativo non gli interessa, ma a livello visivo riesce a creare delle immagini molto forti, molto violente. E' assolutamente un grande visionario. Di Joachim Pinto amo molto la sensibilità e la semplicità ma non credo che voglia continuare a fare il regista. Ana Luìsa Guimarâes è invece una regista molto diversa, è una donna molto intelligente ma è completamente indirizzata verso il cinema americano che è il suo modello di riferimento, e quando parlo di modello intendo registi come Nicholas Ray e quindi è un buon modello. Nel suo primo film, Nuvem (1991) c'erano delle cose molto belle e si avvicinava a They live by night di Ray. E' un po' come Joachim Leitao che è molto amico di Wenders, ed è un tipo molto energico che è capace di fare un film dietro l'altro e fa dei film molto diversi l'uno dall'altro passando disinvoltamente dalla commedia al film noir ed è anche lui uno che ama molto il cinema americano. E' anche molto versatile e nel mio A Linha do Horizonte recita anche come attore e fa la parte del commissario. Una volta ho avuto con lui una discussione sul cinema americano e io gli ho detto: "Io amo l'origine del cinema americano, Howard Hawks, mentre tu ami John Carpenter che non è l'originale". Spesso i nuovi cineasti sono delle persone che hanno visto i film, i classici americani, soprattutto in videocassetta. Vedo spesso Leitao con delle videocassette in mano e lui mi dice sempre che sono film classici americani che non ha mai visto sullo schermo. Questo fa una grossa differenza dal mio punto di vista. Questi giovani si scambiano le videocassette come noi ci scambiavamo le figurine dei calciatori. Sono delle persone, come Quentin Tarantino negli USA, che si sono formate nei club video e non nei cineclub".

    Volevo sapere quale è stata la funzione di Pessoa nella cultura portoghese e anche nel cinema, e che ruolo continua ad avere oggi in Portogallo.

    Lopes: "Pessoa è un caso abbastanza speciale. E' un punto di riferimento costante. Ci scambiamo le frasi di Pessoa come se fossero state inventate da lui e facessero parte del linguaggio comune. Ci siamo appropriati di lui e lui in un certo senso si è appropriato di noi. Quindi nei film portoghesi si trovano spesso riferimenti alla sua opera sia direttamente che indirettamente. Prima non era così. Gli intellettuali non erano così citati prima del 25 aprile nel cinema portoghese e anche se si trovavano nei film li si ritraeva come gli intellettuali dei film neorealisti, cioè dei tipi di sinistra abbastanza schematici, oppure in modo comico, come qualcuno che non aveva nessun rapporto con la realtà. Con Pessoa è tutta un'altra cosa, entra anche nelle conversazioni di persone che non lo conoscono neppure. Pessoa fa parte dell'immaginario portoghese, forse anche un po' troppo. Bisognerebbe forse dimenticarlo un po' perchè lo si ritrova dappertutto. Soprattutto noi cineasti dovremmo un po' dimenticarlo perchè è molto affascinante ma rischia di diventare un'ossessione".

    Ho avuto l'impressione che nel suo film ci siano dei punti di contatto con l'opera di un grande scrittore latino-americano come Jorge Luis Borges che è di origini portoghesi. C'è davvero questo legame?

    Lopes: "Ho sempre avuto dei legami con Borges ma non questa volta. Però siccome nessun cineasta è innocente ho fatto riferimento ad alcuni film precedenti, uno di Orson Welles, Mister Arkadin, in cui c'è qualcuno che fa investigare il suo passato, e La strategia del ragno di Bernardo Bertolucci che è comunque basato su un piccolo romanzo di Borges".

    Lei ha lavorato molto per la televisione portoghese ed ha anche diretto per diversi anni il secondo canale della RTP. Volevo sapere qual'è stata l'importanza della televisione nello sviluppo del cinema portoghese.

    Lopes: "Il secondo canale della televisione ha avuto una grande importanza per il cinema portoghese. Il primo film che io ho coordinato e finanziato con la RTP, la televisione pubblica portoghese, Cerromaior di Luis Filipe Rocha (1980), e quasi tutti i migliori film portoghesi degli anni Ottanta, tutti i film di Manoel de Oliveira, sono stati coprodotti con la RTP. Ma da due anni, con l'introduzione delle televisioni commerciali private, è praticamente finita la possibilità di coprodurre da parte della RTP. Questo significa che per i registi portoghesi non è un buon momento. Se non ci fosse una legge che obbliga il servizio pubblico a produrre film portoghesi credo che il cinema portoghese sarebbe ridotto a tre o quattro film all'anno e questo è terribile. Ma la situazione in cui ci troviamo in questo momento, per completare questo quadro negativo, è che l'88% delle sale cinematografiche portoghesi sono nelle mani del cinema americano e concretamente della United International che è un conglomerato di majors, cosa proibita negli Stati Uniti ma permessa in tutta Europa. Probabilmente l'Italia cinematografica non sarebbe nello stato in cui è senza questa presenza. Anche la distribuzione è nella stessa situazione ed è per questo che quasi non vediamo film italiani, pochissimi film francesi e di altri paesi che non siano gli Stati Uniti. Ci sono solo due distributori indipendenti e adesso finalmente è arrivato un film straordinario come quello di Nanni Moretti (Caro diario, ndr.) che ha avuto e continua ad avere un enorme successo. Questo significa che c'è un altro spazio per cose che non siano film americani. Nel caso delle prime visioni dei film portoghesi noi dobbiamo batterci per obbligare gli esercenti ad adempiere alle leggi minime del paese e anche così quando un film portoghese viene presentato al pubblico, ha successo e raggiunge la quarta, quinta settimana di programmazione, e questo succede con frequenza, la famosa UIP si incontra con i distributori e decidono che a partire da una certa data i film portoghesi, francesi, o spagnoli devono essere smontati per far posto ai film americani. Questa situazione è drammatica e nel caso di un piccolo paese è anche più mostruosa ma è la stessa situazione di tutta l'Europa".

    Qual'è stata l'influenza del cinema italiano sul suo cinema?

    Lopes: "L'Italia è un grande esempio per il cinema europeo che nei suoi momenti migliori si è nutrito della grande vitalità del cinema italiano. Io sono solito dire che il cinema italiano portava al cinema europeo il sangue per completare la mente del cinema francese. Perchè il cinema è una forma di emozione e di affetto, e questo si sta perdendo nel cinema moderno. Nel cinema moderno assistiamo all'affermazione del cinema asiatico, della Cina, dell'Australia, del Giappone ma quello che è in causa è la sopravvivenza del cinema europeo. E sono convinto che non ci sarà un grande cinema europeo senza un grande contributo del cinema italiano. Molti di noi si sono formati vedendo il cinema italiano. Io non potrei filmare certe cose se non avessi visto i film di Antonioni, di Rossellini, di Visconti, di Fellini, di Dino Risi, di Comencini e di tanti altri registi italiani".


     
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