I ‘RECUPERATI’ di ‘CelluloidPortraits’ - RECENSIONE - VINCITORE di 1 Premio OSCAR ai 'MIGLIORI EFFETTI SPECIALI' (MARK WILLIAMS ARDINGTON, SARA BENNETT, PAUL NORRIS e ANDREW WHITEHURST) - Dal 30 LUGLIO
Cast: Domhnall Gleeson (Caleb) Oscar Isaac (Nathan) Alicia Vikander (Ava) Sonoya Mizuno (Kyoko) Corey Johnson (Jay) Claire Selby (Lily) Symara A. Templeman (Jasmine) Gana Bayarsaikhan (Jade) Tiffany Pisani (Katya) Elina Alminas (Amber) Chelsea Li (Ragazza d'ufficio) (Non accreditata) Ramzan Miah (Segretaria) (Non accreditata) Caitlin Morton (Impiegata) (Non accreditata) Deborah Rosan (Manager) (Non accreditata) Johanna Thea (Impiegata) (Non accreditata) Cast completo
Evie Wray (Segretaria) (Non accreditata)
Musica: Ben Salisbury e Geoff Barrow
Costumi: Sammy Sheldon
Scenografia: Mark Digby
Fotografia: Rob Hardy
Montaggio: Mark Day
Effetti Speciali: Richard Conway (supervisore effetti speciali); Andrew Whitehurst e John Lockwood (supervisori effetti visivi)
Makeup: Sian Grigg (capo dipartimento makeup e acconciature)
Casting: Francine Maisler
Scheda film aggiornata al:
01 Maggio 2024
Sinossi:
IN BREVE:
Caleb, un programmatore 24enne della più grande società internet del mondo, vince una competizione il cui premio è trascorrere una settimana in un rifugio di montagna che appartiene a Nathan, il solitario CEO della società . Ma quando arriva in questo luogo remoto, Caleb scopre che dovrà partecipare a uno strano e affascinante esperimento nel quale dovrà interagire con la prima vera intelligenza artificiale del mondo, contenuta nel corpo di una bellissima ragazza robot.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Correva l’anno 2015 quando lo scrittore e sceneggiatore Alex Garland esordiva alla regia con l’apprezzato Ex Machina. Dopo i kilometri di celluloide che la fantascienza si è già lasciata alle spalle, chiunque si riallacci al genere, corre seri rischi: di ripetersi, di eccedere nell’azione, o di calcare di nuovo la mano sul pericolo di prevaricazione della ‘macchina’ ai danni del genere umano. Ma già all’epoca, Garland non era certo uno sprovveduto, e dalla sua aveva pure una solida formazione di scrittura, il che è decisamente una buona partenza: tra i suoi pregressi letterari (già citati nella scheda del successivo film Men) merita una menzione speciale la sceneggiatura di Non lasciarmi di Mark Romanek.
Così, facendo tesoro delle fonti più illuminate, Garland offre un affresco del tutto personale sul genere, intessuto con le acquisizioni più contemporanee della nostra sudditanza ai motori di ricerca e alla tecnologia in generale, in grado di invadere
i nostri microcosmi: Tra le fonti più illuminate cui Garland ha indubbiamente fatto ricorso e omaggio, citiamo solo alcune tra le più eclatanti: da Stanley Kubrick per le ambientazioni inevitabilmente metafisiche - ma al bianco e l’azzurrino coniuga interni con cromie neutre se non proprio calde - all’inevitabile Blade Runner, sulla scia del test di Turing per gli interrogativi più scottanti - ma invertiti di segno in un test reciproco in cui anche la ‘machina’, il robot interroga l’umano. E ancora, A.I. Intelligenza artificiale di Steven Spielberg - costeggiando per certi versi anche La pelle che abito di Pedro Almodovar, in punta di identità e riconoscimento - per la pseudo pelle che si sbuccia come un frutto lasciando trasparire l’entità meccanica della specie, e così via. Ma è solo la strada percorsa per arrivare a una nuova scultura, più tornita, all’ombra di forme artistiche interattive con il cinema: il teatro,
Tutto ha inizio con un concorso - che poi scopriremo essere solo una trappola per un reclutamento calcolato - per il giovane programmatore informatico, il Caleb dell’irlandese Domhnall Gleeson, in cui si aggiudica il primo premio. GiÃ
questa sequenza, senza sonoro, a parte la musica sovrastante, in un mix di stupore e applausi dei colleghi, cui fa seguito la partenza verso una location imprecisata, sede di un Centro di ricerca, dà il là ad un tocco stilistico che odora di grande cinema. Quando poi il pilota dell’elicottero lo lascia nel bel mezzo di una vasta radura verdeggiante, con la sola indicazione di seguire il fiume, e Caleb/Gleeson scopre, parecchio oltre, una sorta di grigio e asettico bunker a cui non ha idea di come accedere, la storia entra nel vivo, sull’onda del contrapposto tra ambientazione zen (norvegese) e il blocco cementizio dello stesso Centro di ricerca: una voce ‘artificiale’, fornendogli una carta telematica gli indica la via, e lì, dopo l’iniziale spaesamento, incontrerà il suo capo, un personaggio ‘palestrato’ dedito ad allenamenti sostenuti, con qualcosa di sinistro che filtra dalla sua amabile cordialità e umorismo preconfezionato. La
dichiarato il mito di Prometeo (colui che riflette prima) a cui aderisce come un guanto la fascinosa ed eterea Ava (Alicia Wikander), che avrà cura, arguzia ed abilità sufficienti per nascondere nel modo più elegante e, sinuoso, la sua vera identità : un’anima meccanica ultra cosciente che in nome dell’amicizia con Caleb/Gleeson - per la quale necessitano per l’appunto conoscenza e condivisione reciproche - riesce, con una gentilezza che non esclude la determinazione, non solo a provare e a manifestare sentimenti, formulare opinioni ed interrogativi etici imbarazzanti per il nostro umano, a regola titolare del test, ma a fingere di provare sentimenti e pensieri altri, al punto da raggirarlo proprio mentre cerca di scavarle dentro, pensando di esserle superiore: ‘più umano dell’umano’, appunto, come Blade Runner docet. Un processo di interazione questo, tra umano ed ‘essere computerizzato’, che richiede diverse sessioni, scandite numericamente come capitoli della stessa storia. Una storia basata
e dominata dalla parola, quale respiro di una dialettica che riflette, a step, sulla filosofia esistenziale oltre i confini prettamente umani, così come siamo comunemente abituati a pensarli. Anzi, paradossalmente, a finire sotto la lente è proprio l’umano e non il contrario.
fianco tematica del film, che si concentra sul condizionamento interinale dei motori di ricerca adoperato sull’uomo ancor più che sulla ‘machina’ stessa. Una situazione che attiva dinamiche di un’apertura totale della mente umana: una finestra aperta sul mondo, pronta a far entrare quell’aria inquinante nella convinzione che sia pulita. L’uomo è così diventato alla stregua di un libro aperto con pagine ancora da scrivere, ma non come autore libero, piuttosto vincolato ed ancorato alle sue stesse preferenze. L’interrelazione ‘creata’ tra Caleb/Gleeson ed Ava/Wikander volge a dimostrare proprio questo.
Paradossalmente è il titolo stesso del film a tradire lo sconcertante finale: Ex Machina non lascia adito a dubbi sul destino ‘auto ricreato’ della ‘machina’. E che dire dell’aderenza fisionomica della nuova Ava, con la stessa interprete Alicia Wikander? Con questa sofisticata sottigliezza, Alex Garland offre la sua più spiazzante risposta ad ogni enigma e postulato su confronto e rapporto tra mecca ed