GEMMA BOVERY - INTERVISTA alla regista ANNE FONTAINE
11/01/2015 -
GEMMA BOVERY - INTERVISTA alla regista ANNE FONTAINE
Come ha scoperto la graphic novel di Posy Simmonds?
"Conoscevo Posy Simmonds per via di 'Tamara Drewe - Tradimenti all'inglese', e il solo fatto che il libro fosse intitolato Gemma Bovery mi intrigava molto: il gioco di parole su un archetipo letterario femminile mi sembrava promettente e divertente. Quando ho letto la graphic novel, i personaggi mi hanno intrigata e toccata nel profondo: ho percepito chiaramente il loro potenziale comico e la loro
profondità umana, e sono stata sedotta dal tono dell’autrice, tra commedia feroce e formidabile ironia. Sono rimasta anche
colpita dal curioso incontro tra un panettiere e quella giovane e moderna inglese che cambia la vita del protagonista nel momento in cui lo stesso pensava che la sua libido fosse sotto controllo e si considerava in “pensione” dal punto di vista sessuale ed
emotivo! Ed eccolo perdere il controllo riguardo alla correlazione tra un personaggio immaginario, Emma Bovary, e la reale Gemma Bovery. Questo lato feticista mi è parso molto intrigante per una
sceneggiatura. Ho cercato di essere fedele al libro, pur prendendomi delle libertà: nel libro di Posy Simmonds, il narratore, Joubert, interviene piuttosto indirettamente nella storia, mentre nel film gli
ho dato una parte più importante e più spazio di manovra".
Ha scritto la sceneggiatura con Pascal Bonitzer e Posy Simmonds.
"Quello che mi ha colpito del tono narrativo di Posy Simmonds è il senso dell’umorismo: il panettiere depresso ha un che di Woody Allen francese; la fantasia e la sua stravaganza suscitano del divertimento. Quando ho incontrato Pascal, mi sono resa conto che il suo senso dell’umorismo era intriso di tristezza quando faceva parlare un personaggio: per me, questi due aspetti sono inscindibili. Il personaggio di Joubert vive indirettamente un amore in crescendo per una ragazza di un’impetuosa sensualità, ma che non lo vede come un uomo desiderabile, ma solo come un panettiere… Ho pensato che il tono e lo spirito fossero essenziali per esprimere l’umorismo di questa discrepanza. Non appena abbiamo iniziato a scrivere, Pascal ed io abbiamo subito sviluppato un’empatia nei confronti del tema, e abbiamo coinvolto Posy per la stesura dei dialoghi in inglese. Si è trattato di una collaborazione preziosa, perché da un certo punto di vista è stato come se la stessimo 'tradendo', e, quando discutevamo dei cambi, lei accoglieva sempre favorevolmente le nostre proposte. È stato dunque interessante poter avere un riscontro riguardo alle situazioni che sviluppavamo, basandoci su avvenimenti della storia originale, ma che non necessariamente combaciavano con la graphic novel. Per esempio, ci siamo resi conto che la narrazione del film sarebbe dovuta essere più immediata e diretta rispetto a quella del romanzo,
dalla natura più letteraria".
Come sono stati sviluppati i personaggi?
"Volevamo che il panettiere vivesse la storia in primo piano, e che tutto l’intrigo si svolgesse attraverso il suo sguardo, al contrario del libro, che moltiplica i punti di vista, il che sarebbe stato fonte di confusione nel film. Gemma Bovery rimane piuttosto fedele al personaggio del libro; si tratta di un incrocio tra una 'Madame Bovary' contemporanea e un’inglese del giorno d’oggi, incerta e scostante, che non sa come affrontare la sua vita affettiva e il magnetismo che esercita sugli uomini. In compenso, mentre nella graphic novel poteva risultare antipatica, abbiamo cercato, con Pascal, di renderla dolce e generosa: certo, manipola gli uomini, ma quasi senza rendersene conto. Stando così le cose, nel film, è meno calcolatrice e si aspetta molto dall’amore, come Madame Bovary.
Nel libro, Charlie è un personaggio blando, senza carisma. Ho trovato interessante che non fosse troppo sopra le righe, ma che avesse comunque dello charme. Per quanto riguarda Patrick, nella graphic novel è un seduttore compulsivo: ho scelto di farne un
personaggio più strano, più tormentato, più velenoso e, più ambiguo all’interno della storia".
Il panettiere si considera un deus ex machina, che si diverte a manovrare le corde…
"Sì, perché è un narratore, a metà tra un regista e uno scrittore, che interviene nella realtà. Al mercato di fronte alla panetteria, confida allo spettatore di essere come 'un regista che ha appena esclamato Azione!'. Vede il giovane proprietario terriero, che lui stesso ha presentato a Gemma, andarle incontro: immagina allora i dialoghi tra i due a voce alta, e le sue 'creature' ripetono quello che lui ha appena detto, come se fosse un demiurgo. È estremamente coinvolto nelle vicende intime di questi personaggi, è come se le vivesse in prima persona, ed è chiaro che ha dei seri problemi".
Il che non gli impedisce di soffrire; anzi.
"Che sia mentre sta osservando la casa di fronte attraverso la sua finestra, o al mercato, o quando esamina la relazione che ha provocato lui stesso tra il proprietario terriero e Gemma, il panettiere costruisce un meccanismo che teme poiché è conscio di creare delle dinamiche che fanno soffrire i personaggi coinvolti. Forse riusciamo ad intuire che Joubert ha vissuto un passato amoroso tormentato, ma che, nel momento in cui ha rilevato la panetteria, si è inquadrato in una routine strutturata e si è in qualche modo stabilizzato. Ma, improvvisamente, l’arrivo di Gemma spezza questo equilibrio. È una sorta di folgorazione, e a poco a poco, a causa del nome altamente evocativo di Gemma, la relazione diventa un feticcio. La sua passione è doppia: si focalizza sulla proiezione di questo destino parallelo che lui immagina – e che Gemma fa suo – e sul turbamento erotico suscitato in lui da questa donna irresistibile. Quando dice che dieci anni di tranquillità sessuale sono stati spazzati via di colpo da un 'gesto insignificante', rivela la sua ipersensibilità. E, come spesso accade, gli amori platonici fanno soffrire; sono ancora più irrisolvibili perché non si confrontano con la realtà".
Per questo, il 'regista' che è Martin non può evitare l’ineluttabile…
"C’è una forte ironia nel modo in cui Gemma, a sua insaputa, ripercorre i passi di Emma Bovary… Questo la dice lunga sull’inevitabilità e la crudeltà del destino. E nonostante le sapienti
macchinazioni di Joubert, la situazione scappa di mano un po’ a tutti.
D’altronde, quando afferma che 'la vita imita l’arte', Joubert si ritrova nella posizione di chi non ha altra scelta che lasciare che le cose accadano senza che le possa controllare. Le correlazioni tra
l’immaginario, il destino e la realtà mi affascinano, e creano un effetto sorpresa: questo è ciò che, a mio avviso, allontana il film dalle classiche commedie romantiche".
Si potrebbe credere che il personaggio di Martin sia stato costruito su misura per Fabrice Luchini…
"Eppure è stato ideato da un’inglese! Quando ho letto la graphic novel, mi sono immaginata subito Fabrice Luchini, non solo in quanto interprete, ma anche in quanto persona con Flaubert nel
sangue. Considerando che lo conosco bene, e che l’ho sentito molto spesso parlare sentitamente di Madame Bovary, ho avuto la sensazione che quel ruolo non spettasse che a lui. Ho quindi scritto
la sceneggiatura essendo persuasa del fatto che gli potesse piacere il personaggio, e perché fosse toccato nel profondo, come me, da questo personaggio ossessionato dalla letteratura, che conduce una vita tranquilla come panettiere finché un incontro fantastico gli stravolge la vita. Avere a disposizione un attore come Fabrice è stato fantastico, perché possiede una grande fantasia, ma è anche un grande estimatore delle parole, cosa che si ricollega al tema del film. Sono stata molto fortunata ad avere un interprete del genere nel film, perché solo Fabrice avrebbe potuto far passare questa ossessione per Madame Bovary per qualcosa di totalmente naturale. Il processo di incarnazione del protagonista, e anche la sua follia, si concretizza nel momento in cui pronuncia,
nella sua maniera inconfondibile, “Gemma Bovery”. Il fatto che si trattasse di un personaggio che osserva la vita degli altri da una finestra è molto importante, perché lo mette nella condizione di
essere uno spettatore che vive una storia dall’esterno. Un personaggio con le stesse funzioni di un regista e, quindi, molto simile a me".
Abbiamo visto raramente Luchini al cinema sotto questa particolare luce.
"Volevo renderlo bello, volevo che si notassero i suoi occhi verdi penetranti e luminosi. Dal momento che interpreta un personaggio che sembra avere una vita sessuale piuttosto vaga, ho pensato che sarebbe stato interessante dotarlo di un certo carisma fisico. Il fatto che oggi abbia un aspetto più maturo ha giocato a nostro favore: il passare del tempo ha reso il suo viso più intenso e sobrio".
Come l’ha diretto?
"Con lui sperimento, sempre in modo giocoso. Cerchiamo delle tonalità, ci spingiamo troppo in là in un senso, facciamo altre prove, per poi tornare sui nostri passi: bisogna trovare il tono esatto quando ci si interroga sulla direzione da prendere. Non cerco mai di dargli una direzione molto definita: giriamo una decina di volte una scena, e poi gli dico 'adesso dimenticati quello che ti ho detto, e fai come credi'. Quello che conta di più, però, è la fiducia assoluta che regna tra noi".
Ha pensato a Gemma Arterton dopo aver visto 'Tamara Drewe'?
"Avevo visto Gemma in 'Tamara Drewe - Tradimenti all'inglese' e, in un certo senso, mi ero convinta che non sarebbe stata interessata ad interpretare un altro personaggio creato da Posy Simmonds. Ho quindi incontrato alcune attrici inglesi con un obiettivo in testa, quello di trovarne una che fosse sexy e parlasse il francese. Nessuna di quelle che ho incontrato, però, mi ha convinta. Finalmente, ho visto Gemma, e quando ha aperto la porta e mi ha letto un piccolo testo in francese che aveva scritto di suo pugno, ho compreso di avere per le mani una bomba atomica: Gemma emana un’energia che non può fare a meno di conquistarti. La sua è una bellezza calda e generosa, che non tiene a distanza: le sue esitazioni sono imputabili alla sua giovane età e alla sua freschezza, e non alla volontà di manipolare il prossimo. Non ho nemmeno avuto bisogno di farle fare delle prove: ha trascorso tre mesi in Francia per immergersi nella cultura locale, prima di lavorare sul personaggio. Per evitare che si irrigidisse nel recitare in francese, un rischio per gli attori che imparano una lingua straniera, le ho chiesto di spostarsi costantemente e di essere al centro dell’azione. Gemma si è presentata sul set estremamente preparata, sostenendo anche di sentirsi molto vicina al suo personaggio".
E per quanto riguarda gli altri ruoli, invece?
"Partendo dalla coppia Fabrice-Gemma, ho scelto il resto degli attori che gravitano intorno a loro. I personaggi secondari servono ad introdurre l’idea di questi due inglesi che considerano la Francia
come un’oasi di verde, e lo sguardo a volte diffidente dei francesi sugli inglesi. Anche se questo non è il tema principale della pellicola, arricchisce lo spartito principale. Sono stata molto contenta di assegnare a Elsa Zylberstein la parte di una donna borderline, con strane fobie e una concezione insolita del gusto e del cibo. Ho scritto molte delle sue battute insieme a lei, e sono rimasta colpita dalla sua capacità di essere divertente senza scadere nel ridicolo. Elsa incarna perfettamente lo spirito di Posy Simmonds, nelle cui opere i personaggi sono al limite dell’eccesso, pur restando accattivanti.
Isabelle Candelier, che ho amato nei lavori di Bruno Podalydès, interpreta un ruolo all’apparenza ingrato, ma in realtà molto divertente ed efficace: da’ vita ad una donna un po’ burbera, coi piedi per terra, a volte esasperata, a volte indulgente nei confronti di un marito introverso, con cui forma una coppia ben assortita. La famiglia viene completata da Kacey Mottet-Klein che è stato
formidabile in Gainsbourg e nei film di Ursula Meier, e che colpisce per la sua unicità. Per Hervé, il giovane proprietario terriero, figlio di papà un po’ debole e incarnante una specie di giocattolino sessuale, ho scelto Niels Schneider dopo averlo scoperto nei film di Xavier Dolan, perché pensavo avesse un visino da angelo. Nel ruolo di sua madre, troviamo Edith Scob, che adoro da sempre, e conferisce una dimensione di straniamento comico, quasi irreale, al film. E Pascale Arbillot ci ha fatto il piacere di partecipare…Per quanto riguarda i membri inglesi del cast, ho scovato Mel Raido, che interpreta Patrick, in una serie britannica: ho apprezzato subito il suo aspetto arcigno e velenoso, che suscita una certa tensione. Ho scelto invece Jason Flemyng, che avevo notato in diversi film, perché incarna perfettamente la gentilezza e la generosità, e perché ha l’aria da bravo ragazzo. Non conoscevo invece Pip Torrens, la cui incarnazione del borghese reazionario ha riempito di gioia Fabrice Luchini durante le riprese".
Il film è intriso di una sensualità straordinaria.
"Credo che l’erotismo, pur in modo indiretto, dovesse trovarsi nei paesaggi e nell’atmosfera della Normandia, ma anche nel mestiere di Martin: come dice lui stesso, lavorare il pane gli procura una
grande calma; è la sua forma di 'yoga'. Quando inizia Gemma a questa attività, e lei è fisicamente vicina a lui, dal suo respiro e dai suoi gesti traspare una forma di erotismo molto forte. L’idea di
questa attività artigianale che si contrappone ad un’intellettualità così spiccata mi piaceva molto. Il pane ha riconciliato Martin con la natura, dopo una carriera intellettuale poco brillante. Dal
momento che i due personaggi non intrattengono una relazione sessuale diretta, era necessario far percepire questa sensualità in modo velato e mascherato".
La luce è calda e carezzevole. In che modo ha lavorato con il direttore della fotografia Christophe Beaucarne?
"Questo è il terzo film che giro con lui, dopo 'Coco avant Chanel - L'amore prima del mito' e 'Two Mothers'. Si tratta dunque di un collaboratore fidato per me. Abbiamo optato per una luce calda e
avvolgente, senza cadere in una scelta troppo accademica. Volevamo un’illuminazione naturale ma sublimata, in modo che la rappresentazione fosse veritiera, ma reinterpretata in rapporto alle
emozioni specifiche di ogni scena. Stando così le cose, si è deciso di girare nel momento dell’anno in cui la campagna della Normandia è più bella: abbiamo ritenuto fondamentale conferire un aspetto solare ad un film dal tema un po’ cupo".
Le inquadrature sono di un’ampiezza formidabile.
"Abbiamo girato in Scope, ma abbiamo usato frequentemente anche la camera a mano, che dona un’impressione di fluidità e sensualità, senza grandi movimenti dell’apparecchio. In realtà ho pensato il film attraverso gli occhi di Luchini: anche quando non è inquadrato, si ha il sentore della presenza di qualcuno. Ed è proprio questo, a mio avviso, che crea un certo mistero e della tensione. D’altronde, la cinepresa deve fare degli andirivieni piuttosto agili dalle visioni oniriche di Martin (come l’allucinazione nella cattedrale o la scena di ballo d’altri tempi) e la realtà. Questo serve a farci capire che siamo sempre dentro la sua testa".
Questa è la tua seconda collaborazione con Bruno Coulais, dopo Il mio migliore incubo!
"Ho pensato potesse essere interessante alternare una melodia inglese, propria di Gemma, alla colonna sonora vera e propria. Io e Bruno ci siamo messi alla ricerca di una voce femminile pura e
aggraziata, e siamo stati sedotti da quella del gruppo Moriarty. Dal canto suo, Bruno ha composto la musica a monte per trovare un tono particolare, a volte stimolante, a volte ironico, senza essere
romantico o psicologico. Quello che mi è piaciuto della musica, è il fatto che avanza senza essere né figurativa, né ridondante in rapporto all’azione. Lavorare con Bruno è stato un vero piacere; sa
essere flessibile senza rinunciare al proprio universo di riferimento".
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