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    L'INTERVISTA

    AMABILI RESTI - INTERVISTA al regista e co-sceneggiatore PETER JACKSON e all'attrice SAOIRSE RONAN (A cura dell'inviato ERMINIO FISCHETTI)

    30/11/2009 - Giovedì 26 novembre è stato presentato a Roma, nell’elegante cornice dell’Hotel St. Regis, AMABILI RESTI, la pellicola tratta dal bestseller internazionale di Alice Sebold (pubblicato in Italia da Edizioni e/o), la cui attesissima uscita è prevista in Italia per il 5 febbraio 2010 in concomitanza con la stagione dei premi americani. A rappresentare il film, il suo regista, il grande PETER JACKSON, vincitore di tre Oscar grazie al terzo capitolo della trilogia de Il signore degli anelli, e la sua giovanissima protagonista, la quindicenne SAOIRSE RONAN, che dopo la nomination all’Oscar come 'Miglior Attrice Non Protagonista' per Espiazione si rivela interprete di straordinaria sensibilità e ingegno nelle vesti di un’adolescente che osserva dalla’aldilà le sofferenze della sua famiglia dopo essere stata brutalmente uccisa da un vicino di casa, che ha fatto sparire il suo corpo.

    La prima domanda che sorge spontanea è il rapporto fra questo film e 'Creature del cielo'.

    PETER JACKSON: "Béh, quello era un film di quindici anni fa. Capisco perché la gente tenda a confrontarli sempre. Quello era basato su una storia vera, su un omicidio vero avvenuto molti decenni addietro in Nuova Zelanda. Un caso che sconvolse l’opinione pubblica, specie per quello che si leggeva nei diari delle due ragazzine, su cui quel film si basava. Qui invece ci basiamo su un romanzo e c’è l’attrattiva di raccontare la vita dopo la morte. In entrambe le storie si tratta della vita di giovanissime adolescenti, la cui esistenza cambia per sempre attraverso fatti di violenza".

    Qual’era l’attrattiva maggiore che l’ha spinta ad adattare il romanzo di Alice Sebold?

    P. JACKSON: "C’è un grande interesse per l’aldilà. Interesse che paradossalmente riguarda le fasce più giovani. Amabili resti ci è sembrato interessante perché affronta temi difficili. Non si tratta di una persona che muore di vecchiaia. Susie viene assassinata. La scrittrice ha usato un modo potente per dirlo ed è sicuramente il parlare di quello che succede dopo la morte, che è uno dei misteri che unisce tutti gli esseri umani. In verità, io non so nulla di quello che accade dopo la morte. Certo anch’io mi sono trovato a perdere una o due persone care. La mia mente razionalista mi spinge a credere che avviene qualcosa di specifico, ma nessuno può saperlo, magari c’è qualche fattore legato all’energia che si trasforma. Ma, un momento, bisogna tener presente che ci troviamo in un film e il cinema è per prima cosa intrattenimento. Guardo i film per sfuggire dal quotidiano. Potevo fare un film deprimente, invece, ho voluto dare un’impronta positiva alla pellicola. Sarebbe stato facile fare un film deprimente, ma in ogni caso io ho trovato tutto nel romanzo. Non abbiamo pensato al film in modo specifico per i giovani, ma, allo stesso tempo, non volevamo spaventare gli adolescenti. Penso che sia molto importante per qualsiasi film che gli elementi fantastici sembrino veri. Per due ore di intrattenimento il pubblico deve crederci. Ritengo che tra il regista e il pubblico ci sia un patto nel quale per due ore si crede in tutto quello che viene raccontato".

    Ci racconti delle scelte delle location. Perché non girarlo interamente in Nuova Zelanda?

    P. JACKSON: "Per prima cosa, il romanzo è ambientato in Pennsylvania e non potavamo non girare lì perché la storia viveva proprio di quei luoghi. Alice è cresciuta in quello Stato, erano luoghi della sua infanzia che conosceva molto bene. Per il resto questo è un film neozelandese, interamente prodotto, realizzato dalla mia casa di produzione. Non è un film americano. Io sono uno straniero a Hollywood, non mi sento uno di loro, non vado alle loro feste, lì l’industria ha la tendenza a volere i film in un certo modo".

    (A Saoirse Ronan) Quali sono state le difficoltà di un ruolo così complicato?

    SAOIRSE RONAN: "Susie è stata per me molto importante perché mi ha dato la possibilità di maturare. Lei è una ragazza molto matura, cambia moltissimo fino a diventare una giovane donna che deve affrontare questo terribile shock. Devo ringraziare Peter per questo perché le sue indicazioni sono state fondamentali. Inoltre mi sono immedesimata molto nel periodo storico in cui vive Susie, che è molto diverso dal nostro. Ascoltavo la musica di quegli anni, leggevo le riviste che venivano pubblicate all’epoca. Per me è stato molto appassionante".

    Come è avvenuta la scelta di due interpreti come Stanley Tucci e Susan Sarandon?

    P. JACKSON: "I ruoli rivestiti da Stanley e Susan sono importantissimi e vengono descritti meravigliosamente nel libro di Sebold. Volevamo che Mr. Harvey fosse blando, patetico, privo di colore, che non avesse nulla che lo rendesse fico. Le sue caratteristiche gli consentono di farla franca. È uno che non si nota. Per entrambi i ruoli abbiamo pensato a questi due grandi attori già da quando io e mia moglie stavamo scrivendo la sceneggiatura. Loro sono stati la nostra prima scelta e hanno accettato, non ci siamo dovuti preoccupare di farne altre perché loro avevano detto di si, fortunatamente! Per Stanley è stato difficile da parte sua. All’inizio abbiamo parlato un po’ su Skype perché lui era negli Usa e io in Nuova Zelanda e mi disse che non si sentiva a sua agio nel ruolo. Lui ha tre figli, è un padre fantastico, quel ruolo era difficile per lui perché i suoi occhi devono riflettere quello che pensa e non dice. Inoltre, Stanley ha un aspetto molto italiano ed è stato necessario improntargli un cambiamento fisico perché doveva indossare lenti azzurre, una parrucca e dei baffi e lui quando si guardava allo specchio si vedeva come il signor Harvey. Questo gli ha consentito di allontanarsi da lui in un certo senso. Per quanto riguarda Susan, che dire, lei è straordinaria, è come nel film. Spesso si rimane delusi quando si incontra un attore dal vivo, ma lei invece è assolutamente come appare in pubblico: è divertente, assolutamente deliziosa".

    Il film possiede una grande cura per i suoni e per la colonna sonora, fatta di molti pezzi degli anni Settanta. Che importanza hanno questi due ruoli nel film?

    P. JACKSON: "Credo che l’effetto del suono sia molto importante in un film. Amabili resti è pieno di questi effetti e di musica. Spesso questa componente viene ignorata. Invece è un’arma segreta, la chiave di una storia. E per me quella fondamentale a tal proposito è quella in cui Lindsay si introduce nella casa di Mr. Harvey per trovare una prova della sua colpevolezza. Per quanto riguarda la colonna sonora, volevo creare uno score alla Martin Scorsese e in questo lui è un maestro perché la musica interagisce perfettamente con le scene che si vedono sullo schermo. Avevo in mente dei brani specifici degli anni Settanta da utilizzare. Così, mia moglie ha pensato a Brian Eno. Lui non è un compositore per il cinema, però ha capito subito quello di cui avevamo bisogno".

    Come ha scelto Soairse Ronan?

    P. JACKSON: "Non è stato facile scegliere l’attrice protagonista perché durante il casting fatto negli Usa le attrici che avevamo visionato erano tutte troppo moderne, avevano una recitazione molto moderna alla Disney Channel per intenderci. Era strano per noi vederle recitare perché non sembravano appartenere a quel momento storico. Eravamo indecisi fra un paio, ma anche quelle non ci convincevano. Poi ci è stata proposta Saorsie, questa giovane irlandese. All’epoca Espiazione non era ancora uscito, ma il regista Joe Wright è stato così gentile da mandarci due scene del film in cui c’era lei e avevamo subito compreso la portata del suo talento. Poi, abbiamo chiesto a Saorsie di recitarci qualche scena e così suo padre ha preso la sua telecamerina e ha filmato, tra l’altro molto bene, sua figlia mentre diventava Susie e poi ce le ha mandate. L’impatto che stavamo vedendo straordinario e ci siamo subito convinti".

    Appare chiaro che il suo lavoro per certi versi è ispirato a Hitchcock.

    P. JACKSON: "Paragone impegnativo! Naturalmente alcune scene sono ispirate a lui, specie quella in cui Lindsay vaga per la casa del signor Harvey. Lì bisognava creare una tensione estrema che sembrasse naturale (per quella scena ho utilizzato una macchina da presa piccolissima che era molto economica). Ma soprattutto io come lui voglio intrattenere in una forma che valga il denaro speso dalla gente per andare a vedere il film. Non voglio fregare nessuno io, non mi piace. Non a caso, lui diceva: 'I film di alcuni sono fette di vita, i miei film sono fette di torta'".

    Tolkien diceva che i suoi libri predicavano la verità …

    P. JACKSON: "Nei film gli elementi fantastici devono sembrare veri. Questo si chiede al pubblico. Per due ore di intrattenimento crediamoci come se fosse un contratto fra pubblico e regista".


     
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