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    L'INTERVISTA

    PICCOLE CREPE, GROSSI GUAI - INTERVISTA al regista PIERRE SALVADORI

    02/10/2014 - PICCOLE CREPE, GROSSI GUAI - INTERVISTA al regista PIERRE SALVADORI

    COM’E’ NATA L’IDEA DI PICCOLE CREPE, GROSSI GUAI?

    "Era tanto che avevo in mente un progetto di un film con un personaggio al limite. Una donna pazza d’inquietudine. Pazza nel vero senso del termine. Per aiutare un cieco Mathilde gli legge quotidianamente il giornale. Ma la fatica e la fragilità la sommergono, fino a che non riesce più a sopportare le cattive notizie. Mi sono spesso chiesto come ci si possa immunizzare da tutto questo. Come si possono sapere cose del genere e riuscire a vivere senza farsi prendere dal panico? Mathilde, infatti, non ce la fa più".

    PER COSTRUIRE I SUOI FILM, PARTE DA UN SOGGETTO O DA DEI PERSONAGGI?

    "Tendo a diffidare dei soggetti, dei temi, ma non dei personaggi. Per PICCOLE CREPE, GROSSI GUAI, sono partito da Mathilde e il resto è nato in maniera naturale. Quando familiarizzi con i personaggi, quando cominciano a piacerti, sono come degli amanti: Attirano la storia, le scenografie e i ruoli secondari. Tutto nasce da loro".

    IL PERSONAGGIO FA NASCERE IL SOGGETTO?

    "Sì. Attraverso Mathilde, arriviamo in questo piccolo mondo. In questo microcosmo un po’ scassato. In questo cortile, che per effetto di una lente d’ingrandimento, può essere percepito come un concentrato dell’epoca e, soprattutto, della paura diffusa. Poi arriviamo ai personaggi secondari e alle soluzioni spesso assurde e quasi comiche che essi oppongono a queste paure: Lev, è talmente perso che diventa mistico e poi violento. Maillard è ossessivo, è spaventato all’idea che un intruso possa occupare abusivamente l’edificio; poi c’è Colette e la sua libreria esoterica, dove Stéphane cerca l’oblio a qualsiasi prezzo. Mentre scrivevo la sceneggiatura avevo tutto il tempo in testa quella espressione che si usa quando si parla delle commedie italiane degli anni sessanta: l’idea che cogliessero la loro epoca in delitto flagrante".

    E PER ANTOINE?

    "Antoine è un personaggio che ritroviamo spesso nei miei film, da Apprentis a Beautiful Lies. Il tipo di personaggio che ha la tentazione di rinunciare, il desiderio di un rapporto col mondo meno doloroso. Cerca di procurarsi questa tranquillità attraverso un oppiaceo, una droga che lo tranquillizza. Vuole ritirarsi dal mondo, dormire. Pensa di potersi allontanare dal resto del mondo ma non ne è capace. E’ sensibile, comprensivo; e Mathilde lo colpisce".

    RIPENSO AI SUOI FILM, «APRES VOUS…», «BEAUTIFUL LIES», ALL’IDEA DEI PERSONAGGI CHE AIUTANO GLI ALTRI. LA QUESTIONE DELLA BONTA’ DEI SUOI PERSONAGGI E’ MOLTO IMPORTANTE NEI SUOI FILM.

    "Sì, in quelle commedie, i miei personaggi sono spesso al servizio degli altri, provano compassione, empatia, e spesso si prendono carico del dolore di qualcun altro. A volte è perché provano una colpa, o per la paura di restare soli! Sono abbastanza ambigui e possono essere addirittura crudeli. Anche aiutando il loro prossimo, lo tradiscono. La loro bontà non è sempre gratuita. Sono comportamenti che mi sembrano più pertinenti e soprattutto sono quello che in queste commedie permette di evitare la leziosaggine. Effettivamente, in « PICCOLE CREPE, GROSSI GUAI », il personaggio di Antoine è buono, comprensivo, dolce e senza secondi fini. Non giudica mai Mathilde. Non ha più la forza di creare un legame con gli altri attraverso la musica e allora sceglie di farlo in maniera diversa. E’ nella sua natura: La bontà, la gratitudine, ciò che chiamiamo, a volte con un po’ di disprezzo, ‘gentilezza’; sono qualità che trascendono l’esistenza e che donano ai personaggi una dimensione meravigliosa, poetica. Opponendosi all’interesse personale danno un’altra idea del mondo e delle cose. Sono dei personaggi che mi toccano molto nella vita come nel cinema".

    MATHILDE E’ PIU’ AMBIVALENTE…

    "Sì. Lei colpisce Antoine per il suo bell’aspetto, lui si fida immediatamente di lei e il giorno dopo, lei gli lancia una pera dal sesto piano! Amo il personaggio di Mathilde. Questo costante andirivieni tra la sua gentilezza e il suo nervosismo, il suo panico e la sua coscienza. Dopo aver creato grande agitazione nella sua casa d’infanzia, aver terrorizzato la madre e i bambini, sul binario della stazione, dice ad Antoine: «Dio mio Antoine, ha visto cosa ho fatto… Le persone sono desiderose di calma e di tranquillità, mentre io gli urlo addosso». Amo questo tipo di paradossi, quel misto di benevolenza e di angoscia. Sono queste contraddizioni che conferiscono umanità al personaggio e che creano la commedia".

    'PICCOLE CREPE, GROSSI GUAI' PROBABILMENTE E’ IL SUO FILM PIU’ CUPO. COME MAI?

    I miei personaggi sono sempre stati un tantino dolorosi, nervosi, ansiosi. Credo di aver sempre raccontato delle storie un po’ tristi. Il genere della commedia dissimula e protegge. PICCOLE CREPE, GROSSI GUAI doveva essere molto più cupo! Non c’era alcun elemento della commedia nel film, all’inizio. Ma poi mi viene sempre voglia di iniettare comicità e vitalità nel film. Sento come la necessità di riprenderne il controllo. Questa dualità è permanente, sia nei miei personaggi che nei miei film.

    'DANS LA COUR' E’ IL SUO FILM PIU’ INTIMO?

    "Tutti i miei personaggi sono sempre simili a me, ma forse in questo film questa cosa si avverte ancora di più. Non portano maschere i miei personaggi. Non ci sono mai assassini né penitenze, e nessun avventuriero. Qualche volta, guardando Gustave Kervern mi dicevo che avevo esagerato un po’ troppo con la somiglianza con me stesso. La nostra barba e la nostra corporatura sono identiche! Prima prendevo degli attori come Guillaume Depardieu per interpretare dei personaggi che mi somigliavano! Bello, biondo, slanciato. Ora probabilmente ho un’altra idea di me stesso!"

    C’E’ QUALCOSA D’INELUTTABILE NELLA SCOMPARSA DI ANTOINE. SI HA LA SENSAZIONE CHE LA SUA MORTE SIA NECESSARIA PER AIUTARE MATHILDE A VIVERE…

    "Mathilde finisce per diventare completamente cieca, resa insensibile dal suo stesso panico. Anestetizzata. Dovrà succedere qualcosa di terribile affinché reagisca e torni con i piedi per terra. Solo dopo la morte di Antoine dirà: «Ho capito che avevo ridotto il mondo a un mormorio… Ho capito che, nonostante le mie angosce e le mie paure, dovevo fare di tutto per riaprire me stessa agli altri».
    Sono cose di cui abbiamo parlato sin dall’inizio quando abbiamo cominciato a scrivere la sceneggiatura assieme a David Colombo-Léotard. Dal momento in cui Antoine smette di fare musica, rinuncia alla sua vita. Incontra Mathilde, l’aiuta, ma il suo destino è tracciato. Tutto il film ruota attorno a come lui scomparirà e a ciò che questo evento significherà per Mathilde. Come questa morte la salverà dall’indifferenza. E’ la dimensione tragica del film. Alla fine della serie The Wire, c’è un dialogo magnifico, che mi ha molto colpito. Un personaggio cita una frase di Kafka: "Tu puoi sottrarti alle sofferenze del mondo, sei libero di farlo. Ma probabilmente questo tuo sottrarti sarà il solo dolore che potrai evitare». Questa frase mi è rimasta impressa. Mi ha segnato. Di fronte alla paura che evochiamo sempre, era come una risposta che mi era stata offerta. Per il finale del film, come per tutto il resto".

    I PERSONAGGI SECONDARI CREANO LA COMMEDIA E L’ELEMENTO FANTASTICO, COME MAILLARD CHE LA NOTTE ABBAIA NEL CORTILE …


    "Sì, Lev e Maillard conferiscono un po’ di leggerezza, e di Commedia. Il cinema ha una tale forza, la capacità d’identificazione o di empatia che offre agli spettatori è tale che bisogna fare attenzione alla maniera in cui si suscitano le emozioni. Si fa presto a risultare osceni. E’ una specie di obbligo per me: ho bisogno di allontanarmi, discretamente, da una forma di verismo o di naturalismo che può infastidirmi molto al cinema".

    IL FILM E’ QUASI UN’UDIENZA A PORTE CHIUSE …

    "Sì. Dall’inizio c’era l’idea di creare un universo un po’ confinato e ripiegato su se stesso. Un po’ come una sorta di pop-up, quei libri per bambini le cui immagini balzano fuori quando li apri: nella città c’è questo edificio, e in questo edificio c’è il cortile, nel cortile c’è la portineria, nella portineria c’è il modellino e nel modellino ci sono i pupazzetti. E’ anche uno stratagemma perfetto per una commedia visiva e strampalata, come quando il cane mangia la città o quando Maillard urla come un lupo alla finestra".

    AVEVA IN MENTE CATHERINE DENEUVE E GUSTAVE KERVERN SIN DALL’INIZIO?

    "Avevo voglia di lavorare assieme a Catherine Deneuve da molto tempo. Ho scritto il film per lei. Con il tempo certi attori diventano quasi dei personaggi. Il pubblico ha un’idea di loro piuttosto precisa e ci si può giocare con quell’idea. Per quanto riguarda Catherine, si ha l’impressione che si possa contare su di lei, che sia coraggiosa, che abbia buon senso. Mi sono detto che se lei avesse interpretato Mathilde, questo ruolo sarebbe stato ancora più sorprendente perché non immagineremmo mai che lei possa diventare pazza. E poi, durante tutta la prima parte del film pensavo anche alla sua rapidità. Al suo senso della commedia: «Mi piacciono le persone non troppo sicure di se stesse, almeno si applicano», per me era il genere di frase che avrebbe detto meravigliosamente. Lei recita in maniera veloce, proprio come Katherine Hepburn! E poi ha quella sua voce incredibile che rappresenta un’arma preziosa per i dialoghi. Di fatto riesce a modulare talmente i dialoghi che sembra quasi che canti. E’ molto stimolante. Questo a volte ti permette di essere più letterario, perché con lei non te ne accorgi neanche. Si può 'rischiare' con il testo, perché non si percepirà. Riesce a nascondere tutto ciò che può sembrare artificiale e dona ai personaggi grande leggibilità, mantenendo una certa opacità e una dose di mistero".

    E GUSTAVE KERVERN?

    "Per il ruolo di Antoine ho pensato a Gustave dopo aver scritto la sceneggiatura. Abbiamo fatto dei provini. Ma credo che sapessi già di volere lui nella mia mente. Lo incrociai una sera quando ancora non lo conoscevo. Era buffo. Stava mettendo tutti in imbarazzo! Vedevo che aveva una certa dolcezza, e pazienza. Che sarebbe stato il personaggio ideale per incarnare tutto questo. All’epoca lo avevo già visto negli sketch di Groland. Sapevo che aveva anche una certa comicità e che la sua capacità di esprimere lo stupore, l’incomprensione, avrebbe creato un contrappunto comico alla follia di Mathilde. Inoltre, è un attore molto fisico, sa come tenersi in equilibrio, come essere giusto, senza dire niente, senza imbarazzarsi di se stesso. Certi attori non sanno cosa fare delle loro mani, non riescono a mantenere l’equilibrio. Lui è una statua, è impassibile! Credo che possegga quella che chiamiamo una ‘certa presenza’. Sul set dicevo sempre che era la mia ancora".

    CI PUO’ PARLARE DEGLI ALTRI RUOLI?

    "Pio Marmaï è un attore che ha un’energia e una forza incredibili. Si capisce che possiede una grande fragilità e molta dolcezza, in quel suo corpo potente. E’ ciò che lo rende così sconvolgente. E’ anche dotato di un grande senso comico perché non ha mai paura di abbandonarsi. E’ un attore sorprendente e in grado di ispirare. Con lui si ha sempre voglia di prolungare la scena. Avevo visto Nicolas Bouchaud nel suo spettacolo La loi du marcheur. Lui è davvero buffo, molto fisico e anche un po’ inquietante. Nei suoi spettacoli può essere celebrale e poi due secondi dopo mettersi a danzare. Ha il senso dell’improvvisazione e il gusto per il gioco. All'improvviso, ti spinge ad andare un po’ più lontano. Si capisce che ha sempre voglia di un altro ciak. Perché ama recitare ma anche perché non vuole mai abbandonare il testo quando pensa che si possa ottenere qualcosa in più. Gli attori come lui sono degli alleati. Abbiamo impiegato parecchio tempo a trovare il marito giusto per Catherine. Non è facile, anche perché lei ne ha avuti parecchi di mariti! Féodor Atkine ha un approccio ai ruoli abbastanza inconsueto, raro in Francia. S’interessa al passato dei personaggi. Lui «costruisce» il loro passato. Catherine, nel film, dice di suo marito «E’ un vecchio staliniano, sapete… Hanno l’abitudine di rinchiudere gli avversari!». E’ una frecciatina che mi ha richiesto molto lavoro! Ma una volta che ha fatto suo un personaggio, tutto diventa semplice. E’ un attore comico abile e agile. E poi è anche bello, ed io volevo assolutamente che il marito di Catherine fosse bello. Mi piace molto lavorare assieme a Michèle Moretti. Il naturalismo non le interessa. Non si accontenta di essere brava. Molti attori hanno paura di fare troppo, eppure è così che prendono davvero dei rischi. Michèle è sempre sull’orlo della rottura, ha un mix di follia e di candore che rende i suoi personaggi intriganti, poetici e interessanti".

    LA REDAZIONE


     
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