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    L'INTERVISTA

    L'amore ritrovato

    10/09/2004 - Press Conference & Dintorni

    L’amore ritrovato (Regia: Carlo Mazzacurati)

    Carlo MAZZACURATI, Stefano ACCORSI, Maya SANSA, Marco MESSERI, Doriana LEONDEFF (sceneggiatrice), Claudio PIERSANTI (sceneggiatore), Donatella BOTTI (produttore)

    UN DEBITO PIU’ CON LA PITTURA CHE CON LA FOTOGRAFIA PER UNA STORIA D’AMORE, O, PER MEGLIO DIRE, “UN’EDUCAZIONE SENTIMENTALE”, IN GRADO DI TRASFIGURARE I DUE PROTAGONISTI. STORIA DOVE TEMPI E LUOGHI SONO ASSOLUTAMENTE SECONDARI RISPETTO ALL’UNIVERSALITA’ DEI SENTIMENTI, CO-PROTAGONISTA UN TRENO CHIAMATO DESTINO

    Il regista Carlo Mazzacurati (…Vesna va veloce, La lingua del Santo…) sostiene che per la realizzazione di questo film, ispirato al romanzo di Carlo Cassola Una relazione, poi rivisitato e corretto con l’apporto di diversi cambiamenti e personalizzazioni, si è lasciato guidare dal “desiderio di autenticità. A qualsiasi costo volevo che in ogni istante si respirasse un’aria vera. Che fossero momenti di gioia e di dolore, ho fatto di tutto perché fossi io il primo a crederci e a commuovermi”. Ma da sotto le spoglie di questo ‘verismo’ occhieggia una vena che viene spontaneo riallacciare alla corrente neo-realistica della gloriosa cinematografia di marca italiana, confermata dallo stesso Mazzacurati, il quale tiene anche però a precisare che “le radici non si perdono, ma si va avanti”, ad esempio ricercando un tocco personale di impronta stilistica che avvalori i particolari aspetti contenutistici di un film in cui protagonisti sono i sentimenti: “Il paesaggio periferico e urbano in cui è ambientata questa storia è la Toscana degli anni Trenta. Più che l’iconografia fotografica, mi ha influenzato la pittura della scuola romana di quegli anni: i volti, le tonalità di alcuni pittori, mi hanno aiutato a creare un’atmosfera senza tempo che ho creduto più adatta per dare l’intima profondità di questa vicenda privata… Ho fatto dunque una scelta pittorica piuttosto che riferirmi alla fotografia, il che mi ha permesso di operare una trasfigurazione un po’ più onirica, anche se la vera forza del film sono i sentimenti”. Quanti film conta la cinematografia in genere, appuntati cronologicamente sull’epoca degli Anni Trenta? Un tema alquanto usurato soprattutto dalla TV in una sorta di sottogenere d’epoca. Mazzacurati ha dovuto fare i conti con questa pesante eredità prima di poter affrontare L’amore ritrovato, ed è ben riuscito ad evitare i cliché di tanta fiction di bassa qualità: “Si è trattato di depurare il film dal contesto - ha rivelato - e far risaltare la storia d’amore. Il treno è anche il simbolo vivente di quella storia, di questo viaggio … il treno come paesaggio che diventa il destino, incarnato dal bigliettaio Franchino (Marco Messeri) che compare in tutto il film”. Il contesto non è d’altra parte assente o trascurato, anzi, è estremamente curato anche se marginale rispetto ai due protagonisti, e questa è stata una scelta precisa, funzionale proprio alla loro centralità in seno alla storia, che evidentemente sarebbe stata rovinata se ambientata nella contemporaneità. Mazzacurati dice di aver “sempre pensato che tra il 1934 e il 1936 (periodo in cui si ambienta L’amore ritrovato), sia esistita un’Italia periferica e provinciale, minuta che ha continuato a vivere, malgrado tutto”, lo sfondo ideale e quasi obbligato perché “L’idea ossessiva che c’è nel dibattere con il nostro presente, così gravido di modernità non si adattava, avrebbe finito con lo schiacciare l’essenza dei due protagonisti. Sarebbe stato un altro film. In fondo, è la storia di un’epoca ma è anche attuale: ho raccontato una storia d’amore tra un uomo e una donna che può essere senza tempo e dunque pure attuale”. E a questo proposito lo sceneggiatore Claudio Piersanti aggiunge: “Non abbiamo avuto molti dubbi su questo. Abbiamo voluto creare un ingrandimento della storia fra queste due persone. Il rumore di fondo del libro di Cassola ci avrebbe distratto e deviato… Se si vuole avere un’idea di come sarebbe stata questa storia ambientata nel tempo contemporaneo, basta pensare all’alienazione dei cellulari! Mantenere la storia in termini più astratti e quasi senza tempo, ci sembrava potesse darle molto più valore”. E’ Maya Sansa a rimarcare il concetto: “Le passioni sono eterne, senza tempo, sono forti, ti coinvolgono e ne rimaniamo molto toccati emotivamente sempre, al di là delle epoche… Ci siamo preoccupati anche dell’abbigliamento che nel film ha una sua modernità ed infrange le regole dell’epoca perché possa essere funzionale allo sviluppo narrativo e rendere la storia moderna e facile per un pubblico di oggi, privilegiando una modernità ed un discorso più di anima che estetico e filosofico e tutto al servizio di una storia d’amore vera pur nelle sue tante contraddizioni”. “Per quanto marginale, c’è un elemento d’epoca particolarmente importante per la relazione tra i due: le conseguenze di essere scoperti in una relazione clandestina, piuttosto pesanti anche per le famiglie di riferimento, e questo ha aggiunto emozione alla storia”, sottolinea Stefano Accorsi prima di arrivare a parlare dei personaggi, il perno del film: “Era importante capire chi fossero e a quale punto della loro vita si trovassero. Nel pieno della loro storia d’amore, sono completamente dentro questa storia, le passioni sono vissute in modo immediato e non tutto è stato come da copione, la consapevolezza dell’importanza che certe scene avrebbero acquisito, l’abbiamo guadagnata strada facendo”. Lo ribadisce Mazzacurati: “La scena in cui i due protagonisti si scontrano con la stessa intensità e violenza con cui si amano, non era prevista così, si è scivolati in quei termini quasi a dare corpo ad un disegno inconscio”. Ed è ancora l’interprete Accorsi a delineare una sorta di consuntivo, questa volta specificatamente sul suo personaggio: “All’inizio Giovanni può sembrare un uomo superficiale e maschilista ma non bisogna dimenticare che è figlio della sua epoca. Sono perciò molto significativi il suo percorso e la sua graduale evoluzione attraverso l’amore, la guerra, i problemi della vita quotidiana: quello che mi convince e mi commuove di lui è la sua consapevolezza finale di dover vivere solo quello che può vivere. Ho capito come le sue scelte che a prima vista mi lasciavano perplesso in realtà rappresentano la giusta conclusione della sua maturazione e della sua crescita: è affascinante andare a vedere anche quello che una persona non può fare e che si accetti per quello che è… Da spettatore, invece, romanticamente, in un primo tempo mi dispiaceva l’assenza di un esplicito lieto fine e non capivo come un uomo potesse titubare di fronte ad una storia d’amore così forte e coinvolgente…”. Come sottolinea Mazzacurati, “alla fine il personaggio di Stefano è un personaggio trasformato dalla guerra, ma anche dai sentimenti per questa donna”. Che tipo di donna? La parola va ovviamente all’interprete Maya Sansa: “Maria è una ragazza molto più forte della vita; da adolescente per ingenuità ha frequentato ragazzi ‘perbene’ che la volevano solo per divertirsi ed hanno abusato un po’ della sua arrendevolezza e lei così ha perso la dignità e il suo diritto di essere sposa: ha una famiglia disastrata, non è serena, è un po’ chiusa e delusa ma è riuscita a trovare la forza in un lavoro che la aiuta ad andare avanti con dignità e compostezza. A un certo punto incontra Giovanni, un amico del passato che rappresenta un ricordo più forte degli altri perché era stato l’unico ad essere gentile con lei e la storia d’amore che nasce con lui le darà forza per risvegliare la propria femminilità… Mazzacurati voleva che il messaggio del film fosse che una storia d’amore - male o ben che vada a finire - ti arricchisce e ti nutre comunque per il futuro e così lei alla fine del suo amore con Giovanni troverà il coraggio per andare avanti ed avrà certamente una vita migliore”.

    (a cura di PATRIZIA FERRETTI)


     
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