LA SORGENTE DELL'AMORE - INTERVISTA al regista RADU MIHAILEANU (II. PARTE)
06/03/2012 -
Il regista di TRAIN DE VIE e IL CONCERTO, RADU MIHAILEANU, ci parla diffusamente della sua nuova pellicola, LA SORGENTE DELL'AMORE (II. PARTE):
I luoghi hanno una loro identità: l'hammam, lo uadi e la stanzetta dove le donne si rifugiano per leggere e scrivere lettere d'amore...
RADU MIHAILEANU: "In questo tipo di comunità, le donne si ritrovano in luoghi dove possono parlare lontano dalle orecchie degli uomini. È in questi posti che si scambiano molte confidenze e scherzano tra loro. Sono luoghi che hanno una forte identità: l'hammam, dove gli uomini non hanno il diritto di entrare
finché ci sono loro, lo uadi, dove le donne fanno il bucato e altri spazi privati dove si rifugiano, per esempio, per leggere di nascosto. Abbiamo quindi creato questo luogo segreto dove leggono libri o scrivono lettere. Ed è anche lì che Leila dice a Esméralda che deve assolutamente imparare a leggere e a scrivere perché solo in questo modo potrà riuscire a liberarsi".
La lingua ha una musicalità straordinaria
R. MIHAILEANU: "Ho sempre amato la sensualità della lingua araba. Abbiamo girato il film in darija, il dialetto marocchino, che ha una splendida musicalità. Nella tradizione orientale, le cose non vengono dette in modo diretto: non bisogna mai umiliare il prossimo affinché nessuno si senta mai sconfitto. Di conseguenza, molti scambi avvengono attraverso il canto, la poesia e la danza. Per questo ho volto esprimere alcuni concetti attraverso il canto e la danza delle donne, che dovevano essere luminosi e gioiosi malgrado i messaggi, spesso in forma metaforica, fossero caustici. In un primo tempo, ho dovuto ascoltare la lingua con estrema attenzione, come avevo fatto con il russo per Il concerto, o l'amarico e l'ebraico per Vai e vivrai, e ho anche dovuto cogliere le intonazioni e gli accenti all'interno delle frasi. Successivamente, per tre mesi, ho organizzato delle sessioni di coaching per gli attori che non parlavano lo darija, affinché i loro fraseggi avessero la stessa melodia e lo stesso ritmo di quelli dei marocchini. Gli attori hanno lavorato talmente bene che durante la post-sicronizzazione non abbiamo dovuto correggere quasi niente".
Come sei riuscito a dirigere gli attori senza capire la lingua?
R. MIHAILEANU: "Per la prima volta in vita mia, ho girato un intero film in una lingua straniera che non conoscevo e che non conosceva neanche la maggior parte degli attori principali che lo ha interpretato! Ma mi succedeva persino di correggere le intonazioni degli attori marocchini e loro rimanevano sorpresi dalla giustezza delle mie osservazioni! In effetti, sono riuscito ad assorbire profondamente la melodia dello darija e questo mi è servito molto per mettere a punto i canti che dovevano avere una dimensione tragicomica".
Come hai orchestrato le sequenze musicali?
R. MIHAILEANU: "Ho iniziato andando a vedere e a filmare feste, matrimoni e nascite e anche visionando documentari su canti e balli tradizionali. Ci siamo molto ispirati alla realtà. In seguito, ho scritto io stesso i testi delle canzoni, ispirandomi a poesie arabe e berbere, per mettermi in testa la metrica di quel tipo di poesia e comprenderne le metafore. Perché, ancora una volta, in questa lingua non bisogna esprimersi in modo diretto, ma sempre in modo obliquo e allusivo".
E la musica?
R. MIHAILEANU: "È stato Armand Amar, che conosce a fondo questa cultura e che ha persino organizzato uno spettacolo con alcuni artisti marocchini a Parigi, ad aver composto la musica. Come in Vai e vivrai è riuscito a fondere tonalità musicali diverse, dalla sinfonia agli strumenti tradizionali, come l'ûd, che mescola forza e nostalgia tragica, il duduk, che aveva già utilizzato, e il kamancha, violino iraniano dalle sonorità rugose che mi piacciono molto. Ha anche utilizzato due meravigliose voci di donne arabe come leitmotiv che punteggia il film. Questo "meticciato" sonoro crea un'impressione di racconto, pur regalando all'insieme quella immediatezza e quella casualità che cercavo".
Si passa costantemente dalla commedia alla tragedia…
R. MIHAILEANU: "È il riflesso della mia vita e della vita in generale, che è tutto tranne che monocromatica! Mi capita di mettermi a scherzare o di essere assalito dalla voglia di ridere quando perdo un amore o una persona cara. È un modo per dire a me stesso che sono vivo e che non sono completamente distrutto. All'epoca di 'Train de vie', ho conosciuto molti ex deportati che mi hanno raccontato di essere riusciti a sopravvivere nei campi di concentramento grazie al senso dell'umorismo che li aveva fatti sentire sempre degli esseri umani e che li aveva confortati quando avevano dubitato della loro spiritualità, mentre era in atto il tentativo di ridurli a una condizione animale. In modo analogo, per La sorgente dell’amore ho capito che quelle donne che ho incontrato nei villaggi, che si facevano picchiare e a volte violentare, erano dotate di un umorismo graffiante. Come la donna malmenata che sostiene di essere caduta dalle scale quando in casa sua non c'è una scala e spiega 'Sì, ma è quello che dicono le donne nelle soap opera messicane!'. L’umorismo è sempre espressione di forza di carattere, mai di debolezza".
Come hai selezionato il cast?
R. MIHAILEANU: "Contrariamente alle mie abitudini, ho scritto il ruolo di Leila con in mente Leila Bekhti. L'avevo vista in Mauvaise foi di Roschdy Zem e l'avevo trovata incredibile, nonostante la sua fragilità e malgrado fosse un'esordiente. Le ho fatto leggere il trattamento quasi subito, prima ancora di ultimare la sceneggiatura: è stato un incontro ancora più straordinario e mi ha consigliato di leggere alcuni libri, tra cui uno molto bello sul ruolo della donna nel Corano. Mi ha confessato che non si era mai dedicata tanto a un ruolo e un mese prima di iniziare le riprese abbiamo passato in rassegna tutte le sfumature del suo personaggio. Mi ha enormemente spalleggiato su un set tutt'altro che semplice e mi ha colpito per il suo talento, il suo spessore umano, la sua volontà, la sua forza di carattere. È una grande!".
E le altri attrici?
R. MIHAILEANU: "Ho scelto Hafsia Herzi molto presto. Ha una gioia di vivere e un'energia tipiche di una giovane donna ansiosa che la situazione evolva e di cui avevo bisogno per il personaggio di Esméralda. Ha anche grande talento. Erano anni che avevo voglia di lavorare con Hiam Abbass, ma avevo pensato a lei per un altro ruolo. È stata lei a propormi di interpretare un personaggio più ambiguo e ha avuto ragione. Quanto a Biyouna, è stata una sorpresa fantastica! All'inizio mi chiedevo se avrebbe retto dei lunghi monologhi, visto che è soprattutto una cantante più che un'attrice, ma fin dai primi provini mi sono reso conto che aveva tutto quello che stavo cercando: una naturale autorevolezza, il senso dell'umorismo, la voce e l'ironia! È una grande attrice, «Biyou» buca lo schermo! Un altro incontro meraviglioso è stato quello con Sabrina Ouazani. L'avevo vista soprattutto in film cupi, al punto che mi domandavo se fosse in grado di essere luminosa e spensierata. E nella realtà, la sua caratteristica è proprio la leggerezza. È l'incarnazione dell'allegria".
Parliamo dei ruoli maschili
R. MIHAILEANU: "Avevo visto Saleh Bakri in La banda, dove interpretava un ruolo più monocromatico e lineare. Ma ha la dolcezza e la capacità di indignarsi del personaggio di Sami. È un essere umano eccezionale. Un altro incontro meraviglioso è stato quello con Mohamed Majd, che aveva interpretato Le Grand voyage di Ismaël Ferroukhi: è un attore marocchino immenso, ha un volto magnifico che non ha quasi bisogno di parlare per esprimere le emozioni, la macchina da presa lo adora. Il suo personaggio è un saggio che ama Leila e Sami di un amore infinito, che si rende conto degli squilibri nella comunità e cerca di restaurare la pace".
Quali sono state le tue priorità nelle scelte registiche?
R. MIHAILEANU: "Fin dall'inizio del progetto sapevo che questo film mi avrebbe scosso dopo l'esperienza de Il concerto che aveva una regia di ampio respiro che si avvicinava a una produzione americana. Era necessario che dessi un taglio a quell'impostazione e mi interrogassi sulla verità del soggetto. Ho capito che dovevo stare vicino ai personaggi, un po' come in un documentario, pur dando al film una dimensione di racconto e quindi operando un leggero scarto rispetto alla realtà. Per questo ho utilizzato una piccola macchina da presa molto leggera e ho girato quasi tutto il film a mano. Per impormi una disciplina non ho preso alcuna attrezzatura da ripresa: né carrello, né dolly, né niente. Avevo solo una Steadycam che mi obbligava a non fare movimenti rettilinei. Con quel dispositivo, andavo a cercare i personaggi in modo più 'accidentale', più 'imprevisto' e soprattutto non lineare, infondendo così la vita al film. Abbiamo anche lavorato molto sulle prospettive e sulle profondità di campo: volevo che ci fossero spesso degli ostacoli in campo e delle code che 'intaccassero' i personaggi per accentuare l'aspetto grezzo, accidentale, non frontale. Per esempio, quando Leila piange in ginocchio, l'albero accanto a cui si trova le nasconde una parte del volto".
Quali tonalità di colore hai privilegiato?
R. MIHAILEANU: "Volevamo rendere sia l'intensità dei colori del paese sia il senso di aridità. Abbiamo quindi girato con una luce violenta, al limite della sovraesposizione, e abbiamo cercato di catturare l'ocra della terra, della montagna e delle case. Al tempo stesso, abbiamo cercato di filmare la tonalità ramata dei volti che esprime sensualità, stando attenti a creare un contrasto sullo sfondo dei paesaggi prevalentemente ocra. Abbiamo anche scelto di truccare pochissimo gli attori, per riscoprire la bellezza delle rughe, la saggezza della pelle ormai dimenticata in Occidente".
Quindi avete girato sempre in ambienti reali?
R. MIHAILEANU: "Sì, anche se ci siamo resi conto che il villaggio dove eravamo, per quanto magnifico nella sua natura, era un po' monocromatico e non esprimeva del tutto l'universo del racconto. Con il permesso degli abitanti, abbiamo ritoccato qua e là il colore e la patina di alcuni elementi, come i cancelli e le finestre, ispirandoci alla pittura orientalista e ad altri villaggi del mondo arabo-musulmano. Abbiamo fatto la stessa cosa con i costumi, le acconciature e i gioielli. Abbiamo fuso diverse tradizioni, stando sempre attenti a mantenere una coerenza culturale e cromatica".
Il film ha delle risonanze sorprendenti con le rivolte che stanno attualmente scuotendo il mondo arabo
R. MIHAILEANU: "Nel corso di numerosi viaggi nei paesi del Maghreb, mi sono reso conto che le donne hanno sempre più accesso all'istruzione e quindi in futuro arriveranno per forza di cose ad occupare posizioni amministrative e di responsabilità nelle imprese. Di conseguenza, grazie ai loro diplomi, svolgeranno un ruolo sempre più preponderante all'interno delle élite delle società arabe. Peraltro, avendo letto dei libri sul dialogo tra tecnologia moderna e civiltà araba, mi pare inevitabile che a un certo punto le donne rivendichino un numero crescente di diritti e una minore rigidità nella loro condizione. E tutto questo non è in contraddizione con i precetti del Corano.
Ho quindi capito che quando le rivoluzioni arabe fossero avvenute, cosa inevitabile a breve o medio termine, avrebbero sicuramente visto la partecipazione delle donne, poiché è senza dubbio giunto il momento per le donne di guidare delle vere rivoluzioni non violente, essendo ormai l'uomo incapace di non violenza e di lucidità. È la scommessa che ho fatto lavorando su questo film. Oggi seguo con grande interesse queste straordinarie rivoluzioni della 'primavera araba', ma è essenziale capire quali rivoluzioni coinvolgano le donne e quali non le coinvolgano e porsi la domanda: queste rivoluzioni arrivano a toccare l'intimità, la sfera domestica, e la scuola, la sfera educativa? Quando queste due rivoluzioni, a casa e sui banchi di scuola, saranno compiute si arriverà alla vera parità democratica tra uomini e donne e a una vera opportunità di democrazia. È quanto sta in ogni caso avvenendo in Tunisia e ci dà grandi speranze".
LA REDAZIONE
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