SOMEWHERE - INTERVISTA alla regista SOFIA COPPOLA
16/09/2010 -
SOFIA COPPOLA regista di SOMEWHERE, vincitore del LEONE D'ORO alla 67. Mostra del Cinema di Venezia (1-11 Settembre 2010)
"Provo a realizzare film personali" Sofia Coppola
Potresti parlare della frequenza con cui compaiono gli alberghi nei tuoi film?
SOFIA COPPOLA: [ride] "Oh, sì. Anche Versailles era simile a un albergo, in 'Marie Antoinette!'".
Risale all'episodio in New York Stories che hai co-sceneggiato, 'La vita senza Zoe'…
S. COPPOLA: "Vero. Quando stavo scrivendo 'Somewhere', ho pensato: 'Allora eccomi di nuovo in un albergo'. Durante la mia infanzia ci abbiamo passato molto tempo, di qua e di là, spostandoci da un
posto all'altro con mio padre [Francis Ford Coppola] quando stava girando da qualche parte. Da bambina, ho sempre trovato interessante osservare la gente negli alberghi. Diventano il loro mondo interiore".
In generale, in che modo un luogo si relaziona e/o influenza il personaggio che stai scrivendo? In 'Somewhere' potrebbe sembrare che lo Chateau identifichi la sensazione di Johnny intrappolato e incapace di maturare
S. COPPOLA: "Quando comincio a scrivere, di solito parto dal personaggio e poi, subito dopo il protagonista, seguono le location che lo modellano; quale città? Quale albergo? [ride]. Un paio di anni fa stavo lavorando a un‟altra sceneggiatura, una
storia di vampiri. C'era questa star di Hollywood che a un tratto compariva nella storia. Continuava a tornarmi in mente e a pretendere la mia attenzione e ho immaginato che avesse bisogno del suo film. Così per 'Somewhere' ho cominciato proprio dal personaggio di Johnny Marco. Pensavo, 'Vive allo Chateau Marmont', perché sembra che qualunque giovane attore con cui ho parlato abbia una storia che riguarda un certo periodo in cui ha alloggiato allo Chateau. È un compito obbligato; 'Sì, ci sono stato un anno', o 'Sono stato allo Chateau un paio di mesi'. È una specie di rito di
passaggio; tanto legato al successo a Hollywood, mentre fai vedere che resti sempre con i piedi per terra".
Questa forma mentis trova le sue radici probabilmente negli anni Sessanta, Settanta ai tempi d'oro del 'Sunset Strip'…
S. COPPOLA: "Ha avuto da sempre un appeal decadente. Sono andata da bambina, prima della sua incarnazione posteriore. Ricordo che negli anni Novanta circolavano delle storie di attori e rock star che distruggevano le loro stanze. Queste storie sono diventate parti di scene mentre scrivevo la sceneggiatura, collegandole al personaggio di Johnny Marco".
Puoi entrare nei dettagli del titolo?
S. COPPOLA: "È buffo; 'Somewhere' era un titolo provvisorio,
si è incollato da solo. Dal momento che volevo che il film fosse un poema sinfonico di questo tempo, nella vita di questo giovane, questo titolo rifletteva la sua consapevolezza, il suo bisogno di andare da qualche parte, anche se non sa esattamente dove. Il film è ambientato nella Hollywood dei giorni nostri, ma non tratta nello specifico il mondo del cinema e non si vede mai Johnny Marco lavorare come attore, chiunque può immedesimarsi nei temi universali della famiglia e della crisi personale".
Parlando proprio dello scenario, hai girato film in tutto il mondo, ma non avevi mai fatto prima
una 'storia su L.A.' finora. La tua descrizione iniziale del film era 'una storia intima ambientata nella Los Angeles contemporanea'. Hai sentito che era arrivato il momento di esplorare quella città?
S. COPPOLA: "Quando vivevo lì, in California, ho scritto di luoghi lontani, posti distanti. Vivevo a Parigi dopo la nascita di nostra figlia e forse quella distanza o una specie di nostalgia dell'America ha fatto nascere in me il desiderio di guardare la California. Ma ho sempre amato quei film iconici su L.A., come 'Shampoo' e 'American Gigolo', e non ne ho trovato uno recentemente che fosse riuscito a catturare
l'atmosfera e le sensazioni di L.A. oggi. All'inizio con il personaggio, ho pensato alla cultura americana pop contemporanea, la sua fascinazione verso il successo e ciò che comporta".
I film che hai appena citato hanno tutti evidentemente un protagonista maschile che ha quasi tutto, sono spavaldi e poco a poco subiscono una caduta nel corso della storia
S. COPPOLA: "Hai ragione, ma non stavo pensando direttamente a quei personaggi, più all'atmosfera di quei film. Pensavo alle star di successo che sono morte o hanno tentato il suicidio. Ero curiosa, se vivi una vita di festa continua, piena di ragazze e droghe e
tutto, cosa provi. svegliandoti al mattino? Trovi un momento per riflettere quando sei solo con te stesso?".
Tornando a L.A., come è cambiata la città nel 21° secolo secondo te?
S. COPPOLA: "Beh, ho vissuto a L.A. negli anni Novanta ed era… Non voglio dire 'più innocente', ma era il periodo prima che lo US Weekly si affermasse, che dilagassero i tabloid e i party con le celebrità. C'erano sensazioni diverse; lo Chateau Marmont non ammetteva paparazzi e non esistevano i reality show. Mi pare ce ne siano in abbondanza oggi e sembra che la gente faccia il check-in solo per essere
fotografato. Lo Chateau sembrava, in genere, più un mondo privato, adesso invece è diventato il centro proprio di quella parte di cultura pop".
È diventato più che un segreto di Pulcinella; 'È una questione privata'
S. COPPOLA: "Ma voglio che mi facciano una foto".
In termini logistici, dopo il precedente 'Marie Antoinette', questo film era molto più semplice da realizzare. Ma non è difficile girare un film a L.A. oggi?
S. COPPOLA: "Non mi pare; abbiamo lavorato fuori dai riflettori e non avevamo superstar, quindi potevamo spostarci e fare le nostre cose. Dopo 'Marie Antoinette', che aveva tantissimi costumi e oggetti di scena, è
stato liberatorio avere un troupe più piccola e molto simile alla mia esperienza con 'Lost in Translation'. Queste sono state le riprese più piacevoli e con meno stress che ho mai realizzato. Per me, questo è stato un buon esperimento, incentrare un film su due soli personaggi, focalizzato sulle loro storie intime, passando anche molto tempo solo con uno di loro. Non volevo che nessuno degli spettatori guardandolo fosse consapevole del processo di lavorazione per realizzare il film, solo di stare lì insieme al personaggio".
Quindi l'estetica si è rivelata mentre stavi scrivendo la storia?
S. COPPOLA: "Sicuro. Cosa succede quando sei
solo con te stesso allo Chateau, nel momento in cui devi guardarti allo specchio, che è sempre spaventoso per tutti. Ci sono così tante distrazioni nella vita moderna, specialmente nella cultura che circonda lo show business a L.A. Puoi restare distratto per sempre; quand‟è che metti da parte quelle distrazioni e guardi davvero te stesso? L'intenzione era quella di prenderci del tempo per stare da soli con Johnny; la sceneggiatura era molto minimale".
Avevi un piano B se lo Chateau non avesse consentito le riprese? C‟era un albergo di riserva?
S. COPPOLA: "No. Doveva essere lo Chateau, era un elemento essenziale, il
terzo personaggio principale del film. Molte volte non ho un piano B, devo trovare il modo di far funzionare le cose oppure ripensare tutto da capo. Fortunatamente, il proprietario, André Balazas e il direttore, Philip Pavel sono stati molto cortesi ad aprirci le porte".
E non hai dovuto chiedere di rimuovere o abbattere un muro?
S. COPPOLA: "Giusto. Il direttore della fotografia Harris Savides è impressionante perché riesce a girare ovunque. È sempre pronto! Pensavo che per la scena delle gemelle avremmo dovuto trasferirci in una stanza più grande, ma abbiamo risolto spostando le cose e ha funzionato".
Come sei arrivata a coinvolgere
Harris?
S. COPPOLA: "La mia amica Anne Ross, la nostra scenografa, aveva lavorato con lui. Lo avevo incontrato nel corso degli anni e ho sempre ammirato il suo lavoro. Anne ha fatto un po' da intermediaria, mi disse: 'Ti piacerà lavorare con Harris'. Alla fine ci siamo trovati a girare uno spot l'estate prima di 'Somewhere'. Abbiamo lavorato davvero bene insieme; in più stavo scrivendo la sceneggiatura di 'Somewhere' al tempo dello spot e parlare con lui di film e cinema mi ha ispirato a tentare questo stile più minimale, ero entusiasta di lavorare così, in un modo che non conoscevo
prima. Harris ed io amiamo lo stesso tipo di fotografia; lui ha dei riferimenti alla moda perché lavora in quell'ambito. Per questo film ha adottato uno stile minimale e veritiero; non siamo stati intralciati da lunghe fasi preparatorie per le apparecchiature e potevamo essere liberi su come approcciare le riprese. Ho apprezzato il fatto che potevamo girare con la luce naturale. Non sono il tipo che prepara uno storyboard per qualsiasi cosa o pianifica tutto prima, mi piace provare le cose e pensarle sul momento e Harris è aperto a lavorare nello stesso modo".
Eppure il film sembra girato in maniera
classica, non improvvisato; ed è su pellicola 35mm invece che in alta definizione digitale [HD]
S. COPPOLA: "Ho sempre girato in pellicola. Mio padre è il tipo da HD e pensa che sia dolce che mio fratello Roman ed io siamo così sentimentali e la preferiamo. La pellicola ha una qualità che è unica e bella. Spero che potremo continuare a utilizzarla ancora per un po'. Le lenti che abbiamo usato per girare 'Somewhere' sono le stesse che mio padre ha utilizzato per 'Rusty il selvaggio' [1983]. Roman mi disse che le avevamo ancora, Harris voleva provarle e 'Rusty il selvaggio'
è uno dei miei preferiti. Così ho pensato, bene usiamole. Le lenti erano in magazzino e abbiamo dovuto pulirle e restaurarle. Sono lenti Zeiss che hanno una qualità più tenue; l'HD ci ha abituati all'assoluta nitidezza, ma in questo caso volevo ottenere una sensazione più romantica".
Di per sé non c'è una storia d‟amore nel film, piuttosto il grande amore tra un padre e una figlia. Quanto ti assomiglia il personaggio di Cleo?
S. COPPOLA: "Il personaggio di Cleo si ispira a una mia giovane amica di quell'età, figlia di due persone che lavorano nello spettacolo, ma anche ai ricordi del mio
passato avendo un padre potente dal quale le persone si sentivano attratte, dallo stare accanto e avere un padre che si occupa di cose fuori dall'ordinario. Non parla solo di me, ma ci sono cose della mia infanzia. In tutto quello che faccio come sceneggiatrice e regista c'è un collegamento personale. Le tue esperienze di vita di certo influiscono su ciò che scriverai. Dopo 'Lost in Translation' questo è la sola mia altra sceneggiatura originale diventata un film. Sento che quei film sono più personali rispetto agli altri basati su libri o altro, perché li senti attraverso le tue proprie
esperienze e pensieri. Ammiro chi fa film in modo personale, quelli che nascono dal punto di vista unico di chi lo realizza. Perciò io provo a realizzare film personali".
Ma sei ancora disposta a scrivere o dirigere adattamenti?
S. COPPOLA: "Sì, perché gli adattamenti mi divertono. De 'Il Giardino delle Vergini Suicide' ho amato il libro e volevo farne la versione cinematografica. Il divertimento sta nel trovare la maniera di adattarlo. Fa un po' meno paura di una sceneggiatura originale, dove all'inizio non hai punti riferimento. Scrivere sceneggiature originali può portarti a realizzare qualcosa che prima non sapevi nemmeno potesse interessarti".
Con i
tuoi personaggi principali ti relazioni più sul piano dell'empatia piuttosto che esprimere un giudizio o accondiscendere
S. COPPOLA: "Voglio raccontare le loro storie, immaginare com'è per quelle persone trovarsi a una svolta delle loro vite. In 'Somewhere' volevo immedesimarmi nella mente di Johnny. Ho fatto un mare di domande a Stephen, perché questo personaggio era un uomo e gli altri miei film hanno parlato più che altro delle donne. Ma avevo comunque un senso di chi era Johnny dalle persone che conosco. Quello che ho cercato di fare è tentare di mostrare un punto di vista che magari qualcuno non potrebbe
vedere in altro modo. Ho vissuto in un mondo di privilegiati; se ne sei al di fuori potresti pensare che ne saresti soddisfatto in tutto e per tutto, ma non è necessariamente così".
Ogni cinefilo ha il proprio Johnny Marco, sono fedeli ad attori o attrici che però forse non hanno sviluppato tutto il loro potenziale
S. COPPOLA: "Ci sono quelli che ti piacciono, attori per cui hai una specie di fissazione. Ci sono stati giovani attori che poi sono cresciuti e o hanno scelto di farsi una famiglia o hanno preso la strada del tipo anziano nei locali, senza mai evolversi.
Volevo che Johnny si trovasse proprio in un punto della sua vita dove è costretto a guardare sé tesso e scegliere, cosa con la quale tutti noi possiamo confrontarci, dovendo decidere che tipo di persona diventeremo. Quindi Johnny è un mix delle persone che conosco o che ho incontrato o di cui ho sentito qualcosa. Ho parlato con qualcuno convinto che stessi pensando a lui descrivendo Johnny".
Com'erano le conversazioni tra te e Stephen?
S. COPPOLA: "Speravo nella collaborazione di Stephen. Ho sempre pensato che avesse del talento. Lo conosco da un po' e volevo vederlo fare qualcosa che non aveva mai
fatto prima, un lato che non aveva ancora mostrato al pubblico. Quando gli ho spedito lo script, mi disse: 'Lo faccio. Posso relazionarmi totalmente con questo tipo'. Stephen ha la reputazione di essere un dongiovanni, ma ha anche una sorella più piccola dell‟età di Cleo con cui è molto legato".
Hai scritto la sceneggiatura pensando a Stephen?
S. COPPOLA: "Quando stavo lavorando sull'altra sceneggiatura e mi è venuto in mente questo personaggio l'ho visualizzato da subito come Stephen. Mi sono stati suggeriti altri attori successivamente, ma sono tornata alla mia prima scelta, Stephen".
Cosa ti ha colpito in Elle Fanning per la parte
di Cleo?
S. COPPOLA: "Mi trovavo a Los Angeles e il produttore esecutivo Fred Roos mi disse che aveva visto Elle alla proiezione de 'Il Curioso Caso di Benjamin Button', nel quale aveva una piccola parte e credeva che era molto brava, che di persona c'era qualcosa in lei e che quindi l‟avremmo incontrata nel pomeriggio. Pensavo, 'Oh, sarà il Ragazzino Prodigio di Hollywood e probabilmente non quello che ho in mente'. Volevo un bambino che sembrasse reale, in contrasto col mondo dello spettacolo.
Poi abbiamo incontrato Elle e siamo stati catturati. Era proprio dell'età che volevo. Fred voleva farmi incontrare con
tutte le altre giovani attrici lì fuori e l'ho fatto, ma sempre continuando a paragonarle con lei; 'Non è Elle'. È bello guardarla, spicca, ha una scintilla, è piena di vita e ha dato davvero tanto a 'Somewhere'. Ho cercato di non interferire troppo con quello che faceva perché è proprio brava e molto istintiva".
Avete provato insieme con Stephen e lei?
S. COPPOLA: "Abbiamo avuto un breve periodo di prova, con qualche improvvisazione per fargli accumulare un po' di storia insieme. Hanno fatto centro, ero così felice. Sono andata a giocare a bowling con loro e la co-star Chris Pontius. Ho
chiesto a Stephen di andare a prendere Elle a scuola e di portarla da 'Color Me Mine' [lo studio di ceramiche personalizzate] così che avessero del tempo per legare. Stephen è anche andato alla partita di pallavolo di Elle e l'ha incitata dagli spalti e insieme hanno pranzato con Lala Sloatman, che recita nel ruolo della madre di Cleo, la ex-moglie di Johnny. Per la relazione padre/figlia, il loro conoscersi poco a poco, ho pensato anche a Paper Moon, che adoro. Ho chiesto a Stephen di guardarlo".
Cleo viene presentata attraverso una sequenza di pattinaggio sul ghiaccio. Come sei arrivata a
concepire questa scena come un sotterraneo punto di svolta, con la canzone 'Cool' di Gwen Stefani in mente?
S. COPPOLA: "La storia comincia su toni scuri e da sola Cleo la illumina. Volevo che Johnny facesse le solite cose da genitore all'inizio e quindi porta Cleo alle lezioni di pattinaggio. Il suo scivolare sognante sul ghiaccio è la sua purezza, in contrasto con le spogliarelliste che abbiamo visto accompagnarlo nel suo mondo. Volevo che la musica si sentisse veramente sulla pista in quel momento, fosse parte dell‟esperienza. 'Cool' è una canzone dolce ed è credibile che una bambina di undici anni
possa pattinare ascoltandola. Sono così felice di aver avuto quella canzone, mi piace la maniera in cui si sposa con la sequenza; è genuina. Volevo mostrare che è una ragazza in quella fase poco prima dell'adolescenza; il modo di Johnny di comportarsi con le donne, ho pensato che deve essere molto complicato avere una bambina che sta diventando una donna. Ecco cosa racconta questa scena per me".
Ma lo viviamo come un bel momento. I personaggi forse non se ne rendono conto perché presi nel momento, ma noi lo vediamo e tu che stai dietro alle lenti lo vedi di sicuro
S.
COPPOLA: "Sì, lo vedo nella vita vera, osservi questi momenti che possono avvenire nei posti più banali. Sono momenti magici, ma sono reali e avvengono intorno a noi, se li cerchi. Quando ripensi a momenti che ti commuovono, non devono essere per forza episodi drammatici. Possono essere episodi che non sono niente di eccezionali, molto ordinari".
Hai menzionato le donne con cui abbiamo visto Johnny fino a quel punto, le gemelle spogliarelliste. Anche le loro scene sono musicali. La musica che sentiamo era la stessa che sentivano sul set?
S. COPPOLA: "Ancora una volta, volevo fosse una musica credibile e che creasse
la giusta atmosfera, una musica portata da loro, niente di oscuro. E quindi, sì, abbiamo preso uno stereo. la prima canzone è stata 'My Hero' dei 'Foo Fighters', ho pensato fosse divertente perché Johnny si è rotto un braccio e loro stanno ballando come infermierine volontarie per tirarlo su. La seconda, più avanti nel film, con la sfacciata divisa da tennis, era '1 Thing' di Amerie, che coglie lo spirito della situazione.
Ho avuto questa idea del servizio in camera sempre con le gemelle per Johnny. Ho incontrato un mucchio di gemelle, ma le Shannon erano favolose, così entusiastiche, con una
delicatezza caratteristica. Avrebbero illuminato la stanza al loro ingresso.
Siamo dovuti andare alla famosa villa, la 'Playboy Mansion' mentre erano impegnate con le prove per una trasmissione. Lo staff ci disse: 'Stanno girando il reality show[La ragazza della porta accanto], perciò dovete andare lì se volete vederle'. Non era il massimo per me andare allo show, ma… è stato divertente visitare la villa e guardare le ragazze nel loro ambiente".
Non tutti avrebbero mostrato la stessa confidenza per Chris Pontius, che interpreta Sammy, l'amico di Johnny
S. COPPOLA: "Lo conoscevo per la serie Tv Jackass e un amico in comune ha una figlia
all'incirca dell'età di Cleo e spesso se la spassano con Chris. Ci sa fare con in bambini ed è questo che mi ha ispirato l'idea che poteva andare bene nel ruolo dell'amico di Johnny che interagisce con Cleo. La mia intenzione era quella che Sammy fosse un amico di quartiere o un cugino di Johnny. C'è qualcosa di adorabile in Chris ed è divertente; ho pensato che avrebbe potuto improvvisare con Elle. Mi piaceva averli nella stanza sapendo che Chris se ne sarebbe uscito con qualcosa".
Gli hai detto di fare ciò che voleva e poi l'hai seguito con la cinepresa?
S.
COPPOLA: "Abbiamo pianificato qualcosa. Gli ho chiesto di pensare a delle storielle e aspettare il momento in cui stavamo girando per raccontarle, per ottenere delle reazioni spontanee".
Elle sembra inorridita tutte le volte…
S. COPPOLA: "Sì, mi piace quando lui le chiede se la sua insegnante è un‟alcolista, l'espressione del viso! Ma poi abbiamo dovuto fare altre versioni ed Elle la ripeteva senza problemi, sempre naturale pur restando nel personaggio".
Com'è stato lavorare in Italia?
S. COPPOLA: "Lavorare all'estero comporta delle sfide; ognuno ha il suo stile nel fare le cose. Ma preferisco sempre girare nei luoghi reali, piuttosto che ricreare Milano a L.A.
Non avrebbe lo stesso senso se anche i figuranti sono posticci".
Hai coinvolto alcune persone dello spettacolo, come Maurizio Nichetti per la sequenza del Telegatto…
S. COPPOLA: "L'hanno fatta sembrare più autentica, specialmente al pubblico italiano che guarderà il film. Anni fa sono stata con la mia famiglia ai Telegatti. La televisione italiana è molto peculiare e molto diversa dalla nostra, sopra le righe. Trovarsi in quel contesto straniero crea un legame ancora più forte tra Johnny e Cleo".
Riguardo la post-produzione questa è stata la terza collaborazione consecutiva con la montatrice Sarah Flack. Hai approcciato il lavoro in maniera diversa rispetto ai
film precedenti?
S. COPPOLA: "Prima, provavamo a disporre le scene secondo successioni molto differenti. Somewhere sembrava non voler cambiare il proprio ordine. Alla fine abbiamo mantenuto le cose nel modo in cui l‟abbiamo girato. È stato un adattamento alla storia e alla semplicità con cui abbiamo deciso di raccontarla. Non abbiamo fatto una buona polizza assicurativa".
In termini di prestazioni attoriali, ci sono state molte riprese tra le quali scegliere?
S. COPPOLA: "Beh, non si va avanti con le riprese finché non senti di avere quella giusta. C'era parecchio materiale con Elle e Stephen che potevamo usare".
Mentre si guarda il film, non c'è
nessun melodramma indotto artificialmente, come una battaglia per la custodia o un giro al Pronto Soccorso…
S. COPPOLA: "Mi avevano suggerito qualcosa di simile, ma penso che nella vita reale queste cose non capitano sempre. Non diventi più consapevole attraverso qualcosa di grande e drammatico; possono essere i dettagli che noti. Passare del tempo con la figlia in modo più consapevole rispetto a prima, determina dei cambiamenti in Johnny e credo che il film si concluda con una nota di speranza".
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