RECENSIONE - Nel nuovo action drama ambientato in un prossimo futuro di Alex Garland (Ex Machina, Annientamento, Men) anche Kirsten Dunst (Marie Antoinette) e Cailee Spaeny (Priscilla) - Dal 18 Aprile
"Ho applicato anche a questo film la mia logica di sempre. Se c'è qualcosa, una qualsiasi, che mi interessa o, peggio, mi preoccupa, la rielaboro attraverso la scrittura. Sento la necessità di rifletterci su, di argomentare, ma anche di dare vita a un dialogo. Perciò, cerco di non essere didascalico, ma di creare una corrispondenza biunivoca fra chi i film li guarda e chi invece li fa... Il punto di partenza è stato che abbiamo preso spunto in termini di suono, immagini, azione, sequenza di eventi, comportamento, ogni sorta di cose del genere, non tanto dal cinema, quanto da filmati di notizie, documentari e anche da esperienze vissute. Quindi, il supervisore militare era un veterano. Molte delle persone che lavoravano al film erano veterani, e hanno avuto molta – non so quale sia la parola giusta – libertà , incoraggiamento… è stato chiesto loro di mettere in scena questi momenti nel modo più accurato possibile, e dimenticare il modo in cui il film normalmente li presenterebbe, e seguire ciò che ritenevano corretto per la loro esperienza, piuttosto che per il modo in cui il cinema normalmente fa queste cose... Il contesto è la divisione, la polarizzazione, la politica populista, sai, questo genere di cose, esiste assolutamente nel mio paese. Esiste in tutta Europa. In gradi diversi, ma a volte davvero estremi in Europa. Inoltre, in Medio Oriente, in Asia e in Sud America. Questo non è un fenomeno per questo paese"
Il regista e sceneggiatore Alex Garland
Cast: Kirsten Dunst (Lee) Wagner Moura (Joel) Stephen McKinley Henderson (Sammy) Cailee Spaeny (Jessie) Jesse Plemons (Militante ultranazionalista) Nick Offerman (Presidente) Sonoya Mizuno (Anya) Karl Glusman (Osservatore) Jefferson White (Dave) Nelson Lee (Tony) James Yaegashi (Caporale) Evan Lai (Bohai) Jin Ha (Cecchino) Juani Feliz (Joy Butler) Vince Pisani (Concierge)
Musica: Geoff Barrow, Ben Salisbury
Costumi: Meghan Kasperlik
Scenografia: Caty Maxey
Fotografia: Rob Hardy
Montaggio: Jake Roberts
Effetti Speciali: J.D. Schwalm (supervisore)
Makeup: Ashley Levy (direzione)
Casting: Francine Maisler
Scheda film aggiornata al:
17 Maggio 2024
Sinossi:
In breve:
La storia è ambientata in un futuro prossimo, nel quale gli Stati Uniti stanno combattendo una logorante guerra civile a causa della polarizzazione tra fazioni avverse. Le ostilità , dai social si sono trasferite nella realtà , portando a un vero e proprio conflitto armato.
Mentre due candidati lottano per sedersi sulla sedia presidenziale della Casa Bianca, le forze armate attaccano i civili e i giornalisti vengono fucilati a Capitol Hill. In questo clima bellico, una fotoreporter (Kirsten Dunst) attraversa le zone di guerra e tramite i sui occhi osserviamo questa terribile realtà .
Short Synopsis:
An adrenaline-fueled thrill ride through a near-future fractured America balanced on the razor's edge.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
La potenza espressiva di Alex Garland genera capolavori
E adesso, uno sguardo sull’oggi. Magari si trattasse di fantascienza! Di un futuro distopico ancora addivenire! Questa volta Alex Garland (Ex Machina, Annientamento, Men) mette il dito in un pericolo reale, magari pure imminente, plausibile: un’autentica piaga che ha imputridito la vera democrazia. E lo fa documentandone ogni pustola, attraverso scatti fotografici, muti e potenti, celebrati da un reticolo di fermo immagine: scatti torniti dalle intense ombre del bianco e nero, catturati sul campo dai suoi reporter. Un film (doc) nel film (fiction), per il trionfo della verità nel caos.
Già i primi fotogrammi tradiscono il genere di storia che andrà in onda di lì
a poco e come verrà raccontata da questo straordinario story-teller per il grande schermo. La visione prismatica, inizialmente fuori fuoco raggiunge il Presidente degli Stati Uniti (Nick Offerman) che prepara il suo, consapevolmente mendace, discorso, all’insegna del tanto fumo e niente arrosto. Le sue sono parole di circostanza, nel tentativo di fuorviare la tragica realtà dei fatti che il montaggio del film innesca visivamente con immagini forti come spine nel fianco. Spine che sembrano davvero pungere quel Presidente, mentre fa le prove del suo discorso allo specchio, avvinto da palpabile disagio. I reportage televisivi danno il loro contributo, con quel pizzico di retorica che tende sempre e comunque ad osannare il Paese e che non si fanno mai mancare: “non resta che eliminare le ultime sacche di resistenza, Dio benedica l’Americaâ€. Ma qualora in Civil War si cercasse il racconto lineare, se non proprio didascalico, si rimarrebbe delusi. Sul tavolo
ci sono innumerevoli tessere da collocare, prima che il puzzle acquisti senso e definizione, ma c’è un’unica tecnica che lo rende potente ad ogni passo della sua stessa messa a punto: un motivo firma che radica e poggia su un montaggio superbo e potente, così come il sonoro, altisonante da togliere i timpani nella soggettiva dei personaggi sul campo, o totalmente silente con la musica che domina prendendo il suo posto. E proprio su questo registro, il palinsesto musicale (Geoff Barrow e Ben Salisbury) si direbbe scrivere persino la sceneggiatura migliore, spesso per contrapposto a situazioni o stato dei personaggi. Una selezione sopra le righe che avvalora la portata di questo grande film.
E si entra così subito nel vivo, in una guerriglia di strada violenta e con la navigata fotoreporter Lee: una Kirsten Dunst a dir poco perfetta, capace di sfumare nel non detto ogni metabolizzazione di dolore per cui
è addestrata, nel non farsi domande ma ad eseguire, malgrado tutto. Percorso che condivide con il collega Joel (Wagner Moura), prima che proprio in quella circostanza, non faccia la conoscenza della novellina Jessie, più impulsiva e meno professionale, incurante com’è anche delle più elementari precauzioni da prendere sul campo: appena vista nel Priscilla di Sofia Coppola, Cailee Spaeny conferma qui talento e versatilità interpretative pronti ad un decollo da vera star. Lee/Dunst e Joel/Moura in Hotel, hanno un programma ardito per il giorno seguente e, loro malgrado, ne parlano con il veterano di una importante testata antagonista che conoscono bene: è il Sammy di Stephen McKinley Henderson. La sorpresa del giorno seguente per Lee/Dunst è trovare nell’auto sia la giovane Jessie/Spaeny che il vecchio Sammy/Henderson. Il viaggio alla volta di Washington nell’intento di intervistare il Presidente, pur nella caotica situazione in corso, con guerriglie e cecchini giustizieri ad ogni angolo
pronti a terminare civili e giornalisti a seconda dei casi, sembra un miraggio fantascientifico, ma la determinazione ha la meglio. E mentre, strada facendo, ‘miglia’ di distanza alla mano, ci si imbatte in ogni genere di rischio e pericolo - la varietà non manca, comunque sempre ben lontana, anzi, opposta, alla cifra hollywoodiana di genere - ci si ritrova a interrogarsi sull’impegno civile, sulla sua importanza, ma anche e soprattutto sull’etica. La prossimità dei fotoreporter sul campo sulle svariate scene di guerra è davvero a stretto giro di posta, mentre il loro lavoro esige, volenti o nolenti, un’esecuzione operativa veloce e neutrale, senza chiedersi se è giusto o sbagliato e se si può fare qualcosa per arginare morte e devastazione. Le riflessioni e gli interrogativi incalzano fino alla domanda delle domande, la più emblematica e riflettente il nocciolo del problema: “Se mi sparassero, scatteresti la foto?â€, chiede Jessie/Spaeny a Lee/Dunst
ad un certo punto.
Così, mentre si avvicendano gli scatti a colori di Lee/Dunst, la tallona con la temerarietà e la febbre della gioventù Jessie/Spaeny, con i suoi in bianco e nero, sempre più rari e preziosi, eseguiti con la macchina fotografica (la FE2) ereditata dal padre, che vive in una fattoria nel Missouri cercando di far finta che sia tutto normale, tanto quanto i genitori di Lee, in Colorado. Scatti celebrati con il clic che annulla ogni altro suono, pronto a tornare assordante con spari ed esplosioni in varie circostanze, intermittenti. O magari passaggi forti – anche troppo! – come la sequenza che vede un uomo di colore intrappolato entro uno pneumatico, cui viene dato fuoco da vivo di lì a poco, o quella con i torturati appesi alle corde dell’autolavaggio in attesa di essere uccisi, variabile più, variabile meno. Come si fa a prodigarsi per scatti come questo?
E come si fa a farlo con il sangue freddo necessario? Come si fa a non farsi domande?
A farsi strada in questi scenari di guerra è però l’interazione umana, nella reciproca protezione di ciascun membro del piccolo ‘gruppo press’. ‘Press’ la parola stampata sui loro giubbotti e che troneggia persino come etichetta sull’auto. Una solidarietà che vede prontezza nel dare l’uno la vita per l’altro, all’occorrenza, facendo spazio ai giovani. Ognuno di loro ha il suo tempo per il proprio momento di rottura, anche se ogni più flebile fragilità sul campo, o leggerezza, può sortire fatale. In una tra le svariate scene a rischio vita, con il concorso dei colleghi coreani, Jessie/Spaney è sotto tiro di uno spietato militare ultranazionalista (Jesse Plemons): evitando spoiler su quel che succede in quella circostanza, mi limito ad indicare nella conclusione della ‘terribile tenzone’, la sequenza con la caduta di Jessie/Spaney nella fossa comune
dei cadaveri, come una tra le riprese espressioniste e cinematograficamente più spiazzanti nella tragica bellezza. Ecco, questo è il cifrario di Alex Garland che va oltre le auto dichiarate fonti di riferimento, come il classico di Francis Ford Coppola Apocalypse Now (1979): elicotteri che sovrastano rumorosamente gli scenari naturali nell’intorno di una base militare, uno tra gli esempi fondanti.
Il finale poi, con l’ultima ‘foto-trofeo’ scattata sui titoli di coda, in un bianco e nero in progress che, dalla dissolvenza in bianco riacquista lentamente i toni di chiaroscuro, come nella normale fase di sviluppo di una foto in bianco e nero, è la sofisticata chicca stilistica di commiato da questa storia mozzafiato. Una finestra aperta sul dolore da documentare, come già le pagine di Susan Sontag in Davanti al dolore degli altri (2003), con cui si torna a chiederci: fin dove ci si deve spingere con le immagini per rappresentare la
fino ad abbracciare l’intero fotogramma, costeggiano una valenza pittorica espressionista tra le più suggestive.
Perle di sceneggiatura
Presidente (Nick Offerman): Cittadini americani, il popolo dell'Alleanza della Florida e le forze occidentali di Texas e California saranno di nuovo benvenute in questi Stati Uniti, non appena il loro governo secessionista e illegale verrà deposto.
Soldato: Qualcuno ci vuole uccidere e noi vogliamo uccidere loro.