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    L'INTERVISTA

    La terra dell'abbondanza

    10/09/2004 - Press Conference & Dintorni

    Land of Plenty- La terra del'abbondanza (Regia: Wim WENDERS)

    Wim WENDERS, John DIEHL, Michelle WILLIAMS, Michael MEREDITH

    UNO SGUARDO INNOCENTE E FRESCO SULL’AMERICA DEL POST 11 SETTEMBRE GENERA AFFETTO PER QUESTA TERRA CHE RESTA DELL’ABBONDANZA, E SOPRATTUTTO DELLA SPERANZA… MALGRADO TUTTO

    Insignito proprio al Lido di Venezia l’8 settembre, con il Premio Robert Bresson 2004 assegnatogli dalla “Rivista del Cinematografo” con il Patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura e del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Wim Wenders (Al di là delle nuvole, Buena Vista Social Club…) commenta il giorno successivo in conferenza stampa la sua nuova, intelligente, e carica di una morale altamente incisiva, fatica cinematografica, Land of Plenty/La terra dell’abbondanza, viaggio verso l’America e i suoi abitanti all’ombra del post 11 settembre, improntato sull’onda di un’innocente freschezza: “L’innocenza non è un qualche cosa che si può acquisire. E’ soprattutto uno stato mentale, un’attitudine, la capacità di eliminare i pregiudizi. E se il film ha questa nota di innocenza, questo è dovuto probabilmente al fatto che uno dei due protagonisti è una donna molto giovane e ha anche a che fare con il fatto che la troupe che ha lavorato al film insieme a me era composta da persone molto giovani e per molti di questi era il primo film. Per il direttore della fotografia questo è stato il suo primo lungometraggio, così come per Thom che ha elaborato la colonna sonora, mentre per il montatore si tratta del secondo lungometraggio, ma ha solo 24 anni. Quindi tutta la troupe era composta da persone molto giovani e questo è stato molto utile anche per me, perché mi sono permesso di poter guardare l’America senza pregiudizi. Non è la prima volta che ho fatto questo viaggio nell’America, che ho viaggiato per le strade d’America, ma in questa situazione era molto importante per me non avere idee preconcette: non volevo fare una tesi sull’America ma volevo mettere in luce il clima e l’atmosfera che sento essere in America oggi. E ho scelto due protagonisti contrapposti, Paul e Lana, perché volevo che in ambedue si potesse raggiungere di mostrare il Paese in un modo che scarta da giudizi preconcetti. Non volevo cadere in questa trappola. Sarebbe troppo facile: oggi nel mondo gli americani sono i cattivi, i brutti, e non voglio veramente esporre l’America in questo modo, perché mi piace moltissimo questo Paese, mi piace quello che rappresenta. Anche se in una certa qual misura, quanto rappresenta oggi è espresso in modo perverso, mi piace ancora, e volevo appunto esporre questa mia sensazione e ho pensato di aver trovato due personaggi fantastici per esporre questa sensazione: Lana così giovane, vissuta in Africa e in Palestina, e Paul, che vede tutto il mondo ma è totalmente cieco, nella sua osservazione del mondo”.
    Forse è la prima volta che vediamo protagonista in un lungometraggio il razzismo contro gli americani di origine araba, in quanto conseguenza della politica americana dopo l’11 settembre. Ed è ancora Wenders a considerare: “Si tratta certamente di narrativa, di fiction, ma il personaggio Paul, interpretato da John Diehl, il modo in cui egli sospetta l’unico arabo che incontra nelle strade di Los Angeles è sicuramente un elemento ironico e non penso che dovrebbe essere considerato in nessun modo come un elemento di giudizio e non dovrebbe nemmeno essere generalizzato. Fa parte della nostra storia, non è un’osservazione della realtà quotidiana delle strade americane”.
    Quanto al modo di affrontare la situazione da parte della giovane Lana (Michelle Williams), diametralmente opposto a Paul (John Diehl), visto come la speranza per i giovani di poter cambiare le cose, la giovane interprete dichiara onestamente di non avere facili risposte: “Temo di non avere risposte ma soltanto domande, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di essere forti… E’ soltanto ponendosi delle domande e cercando delle risposte che cerchiamo di sopravvivere… Forse se si sopravvive si diventa più forti”.
    L’opinione pubblica si chiede comunque, se dopo l’11 settembre Wim Wenders è deluso dall’America e se pensa che il sogno americano sia finito, per quanto il film sembra più una tale celebrazione dell’America, da far immaginare il regista quasi intossicato, ubriaco di questo Paese e del suo paesaggio, fino a farsi inquadrare in una visione per così dire ‘patriottica’ dell’America: “Dire che il sogno americano è finito non significa dire che l’America non piaccia, anzi, nel mio caso significa che mi piace tantissimo, e non penso che il sogno americano, che è stato innanzitutto un prodotto della cinematografia negli ultimi trent’anni, abbia aiutato molto gli americani ad affrontare la realtà dei nostri tempi. Se nutro rabbia ed aggressività nei confronti del modo nel quale l’America viene rappresentata in questi giorni, ancora una volta questa rabbia, quest’ira, non ostacola il mio amore per l’America, anzi…”. E comunque sembra che Wenders sia il cineasta in grado di descrivere l’America come nessun altro, in modo tale da far supporre che forse il suo occhio tedesco riesca a vedere qualcosa che gli altri non riescono a percepire con la stessa prospettiva: “Non so se vedo l’America attraverso il mio occhio tedesco o europeo. Da giovane ho visitato l’America e per alcuni anni ho vissuto l’illusione di poter diventare un regista americano, e alla fine, dolorosamente, ho dovuto riconoscere che questa possibilità non era presente in me stesso e che non avrei avuto questa risoluzione. Quando ho accettato quest’idea, alla fine ho provato sollievo, e ho pensato che potevo restare tedesco di cuore, europeo di mente e pur nonostante, lavorare in America, e che le cose andavano bene assieme, e questo mi ha dato una prospettiva che forse altri non hanno. E lo stesso vale per gli Americani che lavorano in altri Paesi nel mondo. Molte volte ci vuole l’occhio di uno straniero o l’opinione di uno straniero per riconoscere qualche cosa di molto profondo in un Paese…
    Per quanto riguarda il concetto cristiano, almeno per quanto concerne il personaggio di Lana, per me, visto che sono cristiano, volevo presentare un parere in questo film, e cioè che mi oppongo naturalmente al cristianesimo fondamentalista che viene rappresentato dall’amministrazione attuale, perché in quanto cristiano, appunto, ritengo che non ci sia modo che questo possa portare ad una guerra o ad accettare una guerra di aggressione. In realtà questo dovrebbe portare a capire di più i poveri e comunque una politica che toglie ai poveri per dare ai ricchi non fa parte del mio libro del cristianesimo e volevo dare a Lana quest’idea per vedere qual’è il grande divario che esiste fra il fondamentalismo e la cristianità”.
    Alcune scene nel film rivestono poi una portata simbolica ad effetto diffusore su una più vasta gamma di significati, ad esempio la scena in cui Paul viene scambiato per un tecnico televisivo dalla signora a letto con il televisore bloccato su un unico canale: “Questa potrebbe essere la scena più polemica del film - ammette Wenders - la più cruciale per il personaggio di Paul, perché questa rappresenta veramente l’apice della sua missione: finalmente entra nel Quartier Generale di questa organizzazione di criminali e che cosa succede? Vede soltanto una signora o signorina, che guarda la televisione che quando si sveglia non so chi pensa che sia lui, ma l’aspetto che ha, il modo strano in cui è vestito, glielo potrebbe far considerare un ingegnere, finalmente qualcuno che le può risolvere il problema della televisione, perché riesce a ricevere soltanto un canale. E veramente penso che sia la scena più polemica del film”.
    Nell’ambito di questo clima per così dire ibrido, un misto di paranoia e di patriottismo, ci si chiede se si sia creato un divario tra l’esperienza personale degli attori e quella del regista. Risponde John Diehl per primo: “Posso dire che dopo l’11 settembre sono rimasto come tutti gli altri profondamente scioccato, incredulo, a proposito di quello che era successo. Ci sono voluti alcuni giorni perché potessi realizzare lentamente quello che era successo e superare lo shock. Quello che è successo nel Paese è stata una reazione fantastica: si poteva sentire questa reazione, che era quasi tangibile. E’ stato veramente commovente il modo nel quale gli Americani e il resto del mondo si sono uniti, c’è stata una reazione di unità spontanea, persino Bush visitava le moschee, e incontrava i musulmani, quindi abbiamo pensato di avere la possibilità che questa tragedia riuscisse a far sbocciare un nuovo fiore di comprensione. Sfortunatamente, tristemente, tragicamente, tutto ciò è mutato. Perché in realtà gli Americani pensano o bianco o nero ed è quello che succede soprattutto nella parte centrale del Paese. Il mio parere poteva essere diverso da quello del mio personaggio: Paul è entrato in una situazione di combattimento, fa parte della sua formazione, e so che è successo ad alcuni, c’è una reazione pro attiva, invece nel mio caso è subentrata la depressione. Ora non sono più sicuro di voler restare in America, ma è difficile rispondere, dare una spiegazione del mio parere personale. Potrei andare avanti per molto a cercare di descriverlo, per far capire il senso di tragedia che ho vissuto. Ma per quanto riguarda il personaggio, posso dire che invece sceglie la strada pro attiva, vuole lo scontro e non è in grado di gestire la situazione con l’11 settembre… Personalmente sono uno cui piace molto ascoltare ed essere in grado di poter cambiare, per capire il flusso dell’evoluzione, invece Paul, il mio personaggio agisce in modo completamente opposto, ma pensa di essere un buono e approda nella direzione sbagliata, ma ha questa capacità meravigliosa di prendere una cosa come la tragedia della guerra del Vietnam e capovolgerla completamente per farla diventare una speranza, una nuova possibilità, per far diventare l’America quello che dovrebbe essere o si suppone che sia, la terra della libertà, con tutto quanto ne consegue”.
    Resta come punto di domanda, ma non per molto, almeno finché il film non sarà distribuito in America, cosa penseranno gli Americani del fatto che un regista tedesco ponga uno specchio davanti alla loro società, ma Wenders può prematuramente dedurre, vista la reazione di sconvolgimento avuta dai pochi americani che hanno già visto la pellicola a Venezia, che il film sembra aver raggiunto il suo obiettivo.

    (a cura di PATRIZIA FERRETTI)


     
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