INCONTRO DEGLI STUDENTI DEL DIPARTIMENTO DI STORIA DELLE ARTI DELL'UNIVERSITA' DI PISA COL REGISTA FABIO CARPI (A cura di MARCELLO CELLA)
05/08/2007 -
PISA, Dipartimento di Storia delle Arti dell'Università di Pisa 23 Marzo 1996:
INCONTRO col regista FABIO CARPI:
(A cura di MARCELLO CELLA)
Ci può parlare del lavoro di scrittura per Barbablù, Barbablù? La sceneggiatura, la scaletta…
Carpi: "…La scaletta corre spesso il rischio di essere troppo drastica, nel senso che si dice tutto perchè tutto deve essere chiaro. Poi ci si accorge scrivendo che a volte l'ellissi è molto più efficace e quindi si cerca magari di riassorbire due o tre inquadrature in una sola immagine. Nel caso di Barbablù, Barbablù la scaletta è stata rispettata quasi integralmente, mentre per quanto riguarda i
tagli questi sono stati operati soprattutto in fase di montaggio perchè il film era un po' troppo lungo, perchè durava quasi due ore, mentre io volevo che durasse un'ora e quaranta".
Ma i tagli sono sempre indolori?
Carpi: "Il taglio per me avviene in modo sempre pacifico. In genere io sono molto contento quando riesco a tagliare perchè è molto difficile. Siccome io stesso partecipo sempre al montaggio dei miei film, sono io che decido cosa tagliare, cosa tenere, se fare un'inversione. Ed è difficile fare il montaggio quando si ha appena finito di girare. Siccome io sono molto rapido nel montaggio, lo faccio subito. Non è che finisco di girare, mi prendo un mese di riposo e poi faccio il montaggio. Finisco di girare e tre o quattro giorni dopo inizio a montare. Il montaggio lo faccio in otto, dieci giorni, con tempi molto rapidi. E qual'è il rischio? Che uno è ancora talmente legato alla propria materia che non riesce a vedere le cose superflue, le cose che potrebbero cadere, questo è il rischio maggiore quando si lavora con tempi molto rapidi e quando è la stessa persona che ha scritto, girato e montato il film. E' chiaro invece che se uno è più distaccato può vedere nel film le parti che possono cadere. Infatti in genere qualche taglio viene rifatto prima del missaggio, cioè la fase conclusiva, quando si mettono assieme il visivo, i dialoghi, i rumori, la musica, le colonne dei suoni, e si passa all'assemblaggio di tutti questi elementi dopodichè diventa difficile tagliare per motivi tecnici, altrimenti si sente lo stacco nel suono, il rumore, ed è fastidioso. Quindi prima di fare il missaggio, in genere opero i tagli conclusivi, cioè gli alleggerimenti conclusivi. Nel caso di Barbablù, Barbablù sono cadute molte cose che avevo girato, credo un quarto d'ora sicuramente".
Anche per le interviste che si vedono nel film ha tagliato qualche cosa?
Carpi: "No, in quel caso erano stati fatti dei tagli preventivi. In sceneggiatura, per esempio, c'era una scena in cui la moglie di Barbablù gli lavava i capelli e poi glieli asciugava con un phono, e c'era un lungo dialogo fra i due, ecco questo nel film è caduto integralmente. La scena in cui lui è vicino alla moglie e c'è la piccola equipe televisiva che gira e sentono di sotto i figli che fanno festa non iniziava così diretta e aveva un prologo, si vedeva lui che mangiava e c'era una conversazione precedente, anche questa è caduta. Così tante altre cose. Poi c'era, nell'ante finale, una scena che mi piaceva molto e anche lì ho dovuto tagliare proprio perchè ho sentito che il film ormai stava concludendosi. C'era una scena fra i due fratelli, il fratello 'buono', Federico, e il fratello avvocato, più o meno colluso con la camorra, Gastone; era un crepuscolo nel giardino della villa, scendevano dove c'era la darsena, uno dei due faceva rimbalzare i sassi nell'acqua e c'era questa scena in cui per la prima volta avveniva una lunga confidenza fra i due fratelli, dove l'avvocato faceva capire la situazione difficile in cui lui si trovava e quasi lasciava presumere che forse sarebbe finito molto male, cioè ammazzato in pratica, e l'altro fratello, Federico, dopo la morte del figlio diceva "non sono mai stato capace di aiutare nessuno, neanche mio figlio", e desideravano chiaramente di potersi aiutare. Era una scena di confidenza fra i due fratelli, recitata splendidamente dai due attori, ma ormai il film correva verso la fine e l'ho sacrificata. Ci sono delle scene che piacciono ma che possono disturbare l'equilibrio quando ci si accorge che il film ormai deve concludersi. Se questa scena fosse arrivata prima, ma nel mio caso non era possibile, l'avrei potuta tenere, ma a quel livello del film era pericolosa. Questo per esempio l'ho tolta proprio con molto dispiacere ma come ultimo taglio".
Usa molte indicazioni tecniche quando scrive un film?
Carpi: "No…beh, vi leggo una scena perchè così è più chiaro. Grosso modo, anche se non c'è scritto, l'uso del carrello è implicito nella descrizione della scena. (Legge, ndr.) "Si sta calando nella fossa la bara del figlio". Questo non è vero, non si sta calando nulla, ma c'è il becchino che spala la terra sopra la fossa, anche perchè, e si è visto tante volte al cinema anche in maniera eloquente, calando una bara nella fossa con varie prospettive, dall'alto, dal basso, sarebbe stato quasi inevitabile ripetere cose già fatte. Quindi questa è stata una pigrizia di scrittura, chiamiamola, che al momento della realizzazione è stata modificata in un modo nuovo. Poi però direi che il movimento di macchina è sottinteso perchè si legge "Il vecchio Barbablù, come una larva, sostenuto dal braccio di Adele…Federico è a capo basso, Teresa è da sola, Emma si nasconde il volto dietro un gran paio di occhiali neri" ed è esattamente quello che si vede nel film. "A qualche metro di distanza il regista con la sua piccola troupe televisiva visibilmente scosso". Mi sembrava fuori posto e addirittura offensivo che la televisione, quantunque abbia brutalità di questo tipo, si intromettesse anche nella scena del funerale. "D'un tratto Bella scoppia a piangere", esattamente come fa. "Federico la stringe protettivamente a sè'…Attorno a un lungo sentiero si snoda il corteo funebre. Federico guarda verso il campo e vede venire avanti nel vialetto…", invece il vialetto era localizzato in maniera diversa e quindi il vialetto non c'era e si vedono in alto, "…due file di persone vestite di scuro" ecc. ecc.. "Bella prende in mano la vanga e con notevole sforzo getta nella fossa…", invece la fossa nel film non c'è e accarezza questo cumulo di terra che copre la fossa. Quindi grossomodo direi che le varianti sono in gran parte dovute all'identificazione del cimitero. Quando uno scrive deve immaginarsi il cimitero in maniera un pochino astratta. Poi chiaramente quando uno fa i sopralluoghi la cosa necessariamente cambia un po'. Noi abbiamo fatto i sopralluoghi nella zona del lago di Como per trovare quel cimitero che mi andasse bene, io l'avevo preparato come un cimitero di carattere, come posso dire…, troppo tradizionale, con tante tombe, cioè lo volevo con un grande spazio e una grande estensione, e ho trovato invece questo piccolo cimiterino situato in alto a una collina e quindi ho tolto la troupe televisiva, ho tolto la bara che stava nella fossa, per il resto però grossomodo la costruzione della sequenza e anche il comportamento dei vari personaggi è rimasto quello previsto in scrittura. Descrivendo la scena in questo modo è difficile immaginare una serie di piani staccati, viene quasi istintivo il fatto di riunire i vari momenti con un'unica immagine, con la macchina da presa che scorre da un punto all'altro dello spazio scenico. Questo mi sembra un modo corretto per capire gli elementi concreti della costruzione della sceneggiatura".
Io avevo un'altra curiosità su Barbablù, Barbablù, cioè l'arrivo dei due camorristi a cercare il fratello Gastone. Mi sembrava un po' forzata…
Carpi: "E' vero. In un film così poco convenzionale introdurre due personaggi della camorra significa introdurre un elemento pesantemente cronachistico e forse si poteva trovare lo stesso un modo diverso per mettere il figlio Gastone in una situazione di difficoltà, di difficoltà e magari anche equivoca, ma senza ricorrere ad una presenza così concreta. Questa è un'obiezione che mi sembra legittima".
Io nel film, a proposito del rapporto fra scrittura e immagine ho notato due elementi, cioè uno sviluppo 'orizzontale 'che poi è anche 'circolare' che viene portato avanti dagli sguardi dei personaggi, quasi trascinato da certi dettagli, come quello del pianoforte, che ritornano più volte nel film, oppure lo sguardo del personaggio alla finestra che vede la ragazza tornare dal parco. E poi secondo me c'è anche un tipo di sviluppo 'verticale' che si appoggia soprattutto alla profondità dell'immagine, al suo spessore. Per esempio, ad un certo punto del film c'è un'immagine stratificata in questo modo: in primo piano c'è il pianoforte, in secondo piano c'è la macchina da presa della troupe, e su un terzo piano ancora c'è il quadro della madre. Quindi c'è anche un tipo di sviluppo in profondità e questo, volevo sapere, se e come lo racconta con la sceneggiatura, cioè se una inquadratura del genere è prevista o no…
Carpi: "…No, non può essere prevista in sceneggiatura perchè finchè uno non ha fatto i sopralluoghi, non ha scelto l'ambiente, non si trova nell'ambiente dove si gira la scena, anche se io avevo previsto che ci fosse il quadro della madre, anche se prevedevo che ci sarebbe stato il pianoforte, la disposizione di questi elementi è impossibile che sia prevista finchè la scena non la prepari concretamente. Su un piano astratto, no. Anche perchè devo dire che queste cose vengono da me elaborate in una maniera puramente istintiva, non c'è una precisa ricetta per cui voglio coprire questa scena su tre piani. La faccio così perchè la sento giusta così. La sua critica positiva è una critica a posteriori, ma, almeno nel mio caso, non c'è una ricerca preordinata di un linguaggio, io mi esprimo nell'unico linguaggio che mi è congeniale, cioè fare il cinema in un certo modo per me è come camminare con un certo passo, è quello che mi corrisponde, non c'è nulla di forzato. Infatti sul piano del racconto penso che, a parte una certa evoluzione sul piano, se vuoi, di una maggiore accessibilità dal primo film all'ultimo, dei miei film si possa dire che il linguaggio è sempre molto simile. Ogni autore ha un suo modo di cambiare, di respirare, non è che uno si impone quel respiro o quel passo. Quindi io costruisco le scene nel modo in cui sono abituato a costruirle, non so se sono brutte…Per esempio, in Quartetto Basileus ci sono delle situazioni e delle inquadrature analoghe ad altre disseminate nei miei film, ma anche l'inquadratura non è mai una inquadratura sciatta, non è mai un'inquadratura, diciamo, naturalistica. Se ci sono sette persone insieme tu le vedi tutte quante insieme. C'è sempre un tentativo di struttura, di rendere l'immagine un pochino più astratta di quanto non sia nella realtà quotidiana. E questo disporre i personaggi su vari piani e in condizioni di luce diverse, cosa che può ricreare delle zone strutturate anche fotograficamente a livelli diversi, contribuisce appunto a rendere meno scontata l'immagine, a sollevarla da terra. Però tutto fa parte di un'abitudine che è in me senza bisogno di dichiararla. E' come il modo in cui uno scrittore struttura la frase, il periodo, è come chiedere a Flaubert perchè usa tre aggettivi. E' perchè lui nella sua aggettivazione non ha che abbia deciso che usare tre aggettivi è meglio di due, però l'aggettivazione di Flaubert è generalmente una aggettivazione di tre aggettivi. Il modo in cui un autore si crea un linguaggio in qualche modo lo sceglie, ma in larga misura ne è scelto, cioè il linguaggio si impone, sia che si intenda il linguaggio narrativo, il linguaggio cinematografico, o il linguaggio pittorico. Non è che un pittore decide 'io voglio usare solo i verdi' perchè così o perchè cosà, è perchè la sua natura lo porta a privilegiare certi colori rispetto ad altri, o certe luci rispetto ad altre".
Che differenza c'è nel rapporto fra parola e immagine nel cinema d'azione e in un tipo di cinema più autoriale come il suo?
Carpi: "Nel cinema d'azione, ma non inteso in senso volgare, parlo di azione in senso estremamente positivo perchè il cinema d'azione è un cinema importantissimo che spesso è bellissimo, la cosa più importante è evidentemente la velocità del racconto e il montaggio, l'inquadratura è meno significativa, cioè è importante ma non è così determinante. In un cinema in cui invece l'azione è interiorizzata, cioè non è una azione esterna ma avviene nell'interiorità dei personaggi, e il montaggio ha una funzione subordinata, l'inquadratura e la parola, che forse non si equivalgono, ma sicuramente si completano, diventano gli elementi determinanti perchè l'inquadratura deve esprimere l'intensità della parola. Se io cerco con la parola di dare una densità maggiore di quella che è la parola utilitaristica del linguaggio quotidiano, lo stesso sforzo si deve fare anche sull'immagine. In questo senso quando la sceneggiatura è scritta in un certo modo, per come io le scrivo, suggerisce l'immagine e l'immagine diventa necessariamente quella. Questa stessa sceneggiatura fatta da un altro regista sarebbe totalmente un altro film perchè non leggerebbe le parole come io le ho scritte, ma le leggerebbe soltanto come indicazione di fatti e ne risulterebbero dei film estremamente poveri e di pochissima comunicazione emotiva".
Quindi nella sceneggiatura è presente un'atmosfera che poi si traduce in immagini al momento della ripresa…
Carpi: "…Certo, però deve essere in qualche modo suggerita, non è che questa atmosfera possa essere ricreata dopo. Per me è importante questo fatto: ci sono registi che esplicano la propria creatività prevalentemente nell'invenzione sul set, cioè che creano il film quando lo girano, per i quali la sceneggiatura è solo, non dico una serie di appunti, ma un mezzo provvisorio per creare un'opera che se ne distacca non totalmente ma in maniera rilevante, cioè la loro creatività avviene sul set. Per questi registi in genere il montaggio è molto importante perchè non avendo alle spalle una sceneggiatura da rispettare ma solo un'ipotesi di lavoro, accumulando materiali sul set mentre girano, poi rifanno il film nel montaggio. Per me non so a che punto sia il vantaggio del montaggio, comunque per me l'elemento portante della creatività avviene nell'atto della scrittura, ma non perchè voglia fare del teatro filmato, anche se so che questa scrittura deve essere rapportata all'immagine del film, però è già implicita. Sul set io non invento niente, o, meglio, invento poco, non cambio, cioè cerco di restituire quello che ho visto perchè io scrivendo vedo il film, lo vedo come se lo avessi realizzato, anche se non posso chiaramente dire 'adesso c'è un primo piano, adesso c'è un carrello, adesso c'è una panoramica, adesso c'è un campo lungo', però il film è già da me visualizzato mentre lo scrivo. Quindi l'atto creativo più importante per me avviene nella fase della scrittura. Dopo si tratta di una traduzione, di restituire quello che ho già fatto con un lavoro, ma la creatività massima avviene nella scrittura. Il che non vuol dire sottovalutare tutte le altre fasi del lavoro".
Come costruisce i suoi personaggi? Partendo da personaggi reali o inventandoli completamente?
Carpi: "Nel caso di Barbablù, Barbablù il personaggio protagonista è nato, sia pure in maniera indiretta, dalla realtà. Gli altri sono di fantasia, sono completamente inventati, sono personaggi completamente romanzeschi, cioè non avevano dei modelli nella vita reale, anche se probabilmente qualche personaggio l'avrò costruito da delle reminiscenze reali. Nulla si inventa dal nulla, tutto quello che si inventa ha una radice nella propria esperienza, nella propria memoria, nelle proprie letture. Quello che è il proprio patrimonio culturale è il proprio patrimonio vitale, cioè non è che la fantasia crei qualcosa dal nulla. Però non sono dei modelli precisi, questo si. E anche per il protagonista di Barbablù, Barbablù, l'anziano psicanalista, la molla di partenza è stato il ritratto a Musatti, ma non è che io poi mi sia attenuto fedelmente nè al carattere di Musatti, infatti come si può notare dal ritratto cinematografico che gli ho fatto è un personaggio molto più gioviale e comunicativo che non Barbablù, molto più estroverso, e anche a livello familiare si sente un altro tipo di presenza, era essenzialmente un latino, mentre Gielgud ha costruito un personaggio nordico molto più furbo, molto più corazzato. Quindi la partenza è la realtà, ma poi il personaggio è stato costruito in parte dalla mia immaginazione, e in grandissima parte dall'attore, perchè bisogna anche dire che i personaggi che uno scrive vengono poi, non falsati, ma integrati da quella che è la personalità dell'attore. Se al posto di Gielgud avessi avuto Bernhard Minetti, attore tedesco, sicuramente il personaggio avrebbe avuto delle sfumature diverse, pur restando fondamentalmente lo stesso. Cioè non sarebbe stato tradito, ma avrebbe avuto una connotazione diversa".
Ma i personaggi di Barbablù, Barbablù, hanno subito delle trasformazioni durante la scrittura o sono rimasti sostanzialmente gli stessi nelle loro caratteristiche principali, come il lavoro che fanno, il carattere, ecc.?
Carpi: "No. Per la parte femminile ho immaginato subito un mestiere da attrice, l'architetto/imprenditore anche, Gastone non vi saprei dire se è nato subito come un avvocato, ma comunque come un Don Giovanni spregiudicato. Il nipote è nato subito come giovane poeta con vocazioni suicide e anche l'altra nipotina è nata con le caratteristiche che vedete nel film".
Quanto è autobiografico l'inserimento della troupe televisiva in Barbablù, Barbablù?
Carpi: "Nel senso che io ho fatto veramente il ritratto a Musatti e questo è direttamente autobiografico, cioè avendo fatto il ritratto a Musatti mi divertiva il fatto di inserire in questo film un'èquipe televisiva che faceva il ritratto al protagonista. Poi mi piaceva introdurre nel film due sguardi diversi, quello della macchina da presa e della televisione sul protagonista che confessava le miserie della sua vita, e lo sguardo duro dell'attore del film che a sua volta guarda la macchina da presa e la televisione, e cercare questo gioco di sguardi e di specchi".
Si aggiunge molto nel passaggio dalla sceneggiatura alle riprese?
Carpi: "Tutto, tutto. La sceneggiatura non è un'opera letteraria. Infatti spesso è il motivo per cui uno sceneggiatore, come diceva Zavattini (io fra l'altro ho fatto due soli documentari, il ritratto di Musatti e quello di Zavattini) che è stato il primo ad intuirlo, "quello della sceneggiatore è un mestiere zoppo", perchè ha qualche cosa che non esiste, o, meglio, che non ha una sua forma conclusa, anche se alcune sceneggiature sono interessanti anche da leggere, però non hanno un carattere autonomo. Quindi una sceneggiatura, anche quando è precisa, con tutti gli sviluppi narrativi, come nel mio caso, diventa però qualcosa di vitale nella mente di chi lo scrive. Nel momento in cui realizzi il film tutto questo materiale inerte diventa materiale vivente per mezzo della forma che gli permette di venire fuori".
Potrebbe farci qualche esempio pratico di come qualche scena dei suoi film è cambiata radicalmente in fase di realizzazione filmica?
Carpi: "Si, in Barbablù, Barbablù …(sfoglia il copione, ndr.). Questa è un'altra variante importante perchè pur restando lo stesso dialogo è cambiata radicalmente la scena…E' una scena che vede protagonisti i due fratelli. Quando l'ho scritto si svolgeva in un garage, in una rimessa intorno ad una automobile. Ma quando poi ho fatto i sopralluoghi, nella villa sul lago il garage non c'era, però c'era una darsena bellissima. Allora ho spostato la scena dal garage alla darsena dando un potenziamento alla scena che non avrebbe sicuramente avuto se fosse stata ambientata più banalmente vicino ad un'automobile. La darsena accresce perfino il valore della scena, però il dialogo è lo stesso. Queste sono varianti che ci sono spesso in una sceneggiatura prima della realizzazione".
E per quanto riguarda le indicazioni tecniche, in fase di scrittura lei ne fa uso o no?
Carpi: "Quando ci sono delle indicazioni tecniche che per me sono difficili da mettere nella sceneggiatura prima di aver verificato i luoghi in cui girerò il film preferisco aspettare di aver visto gli ambienti…Per esempio, nella scena del ballo in Barbablù, Barbablù c'è il passaggio da un disco all'altro. Questo passaggio nella sceneggiatura è espresso in questi termini, "finita la canzone Teresa mette su un altro disco ed esplodono le note travolgenti di un mambo". Invece, prima di iniziare le riprese ho aggiunto a penna sul copione "carrello interno finestra per passare da una canzone all'altra". E' chiaro che non conoscendo l'ambiente in cui avrei girato, io non potevo immaginare che c'erano queste porte finestre con questa parete intermedia per cui passando dall'interno all'esterno con il carrello facevo sentire il clic della prima musica che cessava e mandavo a sorpresa la seconda musica. Questa è un'indicazione che a mio parere è molto difficile da definire in fase di scrittura e che invece va integrata nella realizzazione. La scena poi continua così (legge, ndr.), "il giradischi si accende e Teresa mette su un vecchio settantotto giri". Invece nel film noi entriamo già con la musica, non si vede lei che tira fuori il disco. "'Guardate cosa ho trovato!'. Nel salone risuonano le note di una vecchia canzone francese. Subito si formano due coppie, Federico con Emma e Bella con Gastone. Teresa, che è rimasta senza cavaliere si guarda intorno smarrita 'E io?'. Poi sparisce nella vicina sala da pranzo, sulla soglia della quale riappare dopo un attimo" - e fin qui è tutto identico - "trascinando Dominici che subito costringe a ballare con lei. Bella si stringe romanticamente a Gastone. Dominici è così malfermo sulle gambe che deve guidarlo Teresa. Federico ed Emma si tengono ad una certa distanza ma non si lasciano con gli occhi". Anche questo è identico. "Sulla soglia del salone compaiono Edo e Rinaldo, fissano le coppie allacciate nel ballo e sembrano tutti e due appartenere ad un altro pianeta. Finita la canzone Teresa mette su un altro disco". Ecco, qua c'è una variante costruttiva che mi è stata suggerita dall'attrice, e anche questo può accadere perchè un attore, e non soltanto un attore, uno dei componenti dell'èquipe può suggerire una idea utile. Susannah York quando si trova sola perchè Dominici abbandona il ballo perchè è malfermo sulle gambe, e non dimentichiamo che pensava di essere incinta, di aspettare un bambino, mi ha detto: "Io vorrei prendere un cuscino tenendolo in braccio e cullandolo come se fosse un bambino", che è un'idea, a mio parere, molto suggestiva e infatti questo ha fatto senza essere previsto in sceneggiatura. Poi c'è questo carrello esterno che non era previsto. "Si tratta di un mambo e questa volta si formano solo due coppie, quella, compostissima, di Federico ed Emma e quella, scatenata, di Bella e Gastone. Vicino al giradischi Teresa accompagna il ritmo della musica…", e qua c'è un'altra aggiunta, cioè Susannah York che butta con violenza il cuscino addosso a Dominici. "Sempre sulla soglia del salone Edo e Rinaldo abbassano gli occhi come se si vergognassero della spettacolo cui stanno assistendo. Gastone e Bella non conoscono limiti nella loro sfrenata esibizione, quando la musica si interrompe di colpo e accanto al giradischi appare come una furia vendicatrice Adele con gli occhi scintillanti di sdegno. 'Vergognatevi, ma dove avete il cuore? Vostro padre sta morendo, ha appena avuto un attacco'. 'No, no, non è possibile'. 'Ho già chiamato il dottor Airoldi. Sarà qui fra poco. Intanto gli ho fatto una iniezione'. 'Possiamo salire?'. 'No, voi no'", perchè si rivolge ai ragazzini. Quindi il dialogo direi che è identico. C'è questo carrello in più che non era previsto e poi c'è l'invenzione di Susannah York di ballare con il cuscino e dopo di tirarlo a Dominici. Comunque così è stata girata. La tensione fra i personaggi, il modo diverso di comportarsi dei ragazzini estranei alla situazione, la sensualità della coppia Gastone-Bella, l'incanto quasi romantico di Federico ed Emma erano invece già indicati nella sceneggiatura".
A proposito del protagonista del film. La sensazione che ho avuto da questo film ieri, e ripensandoci mi sembra sempre più forte, è che il protagonista sembra quasi non esistere. Nel senso che, visto anche quel gioco di sguardi di cui parlava prima, cioè da quello televisivo a quello della macchina da presa del filmaker, mi sembra quasi, senza cercare di forzare, che la scelta delle inquadrature sia proprio una scelta che nasce sui luoghi, non sulla sceneggiatura, cioè non viene indicata, anche se quel tipo di scrittura a volte lo indica implicitamente. Per cui mi sembra che il protagonista non esista quasi, come non esiste una soggettiva di queste figure che non riescono mai a diventare dei personaggi e vengono lasciate abbozzate. Mi sembra che la macchina da presa indichi questo. Per esempio, nella scena del ballo si muove da fuori come se fosse il punto di vista di chi guarda. Oppure nella scena dei due fratelli, quando parlano su quel motoscafo, ecco, non è che noi li vediamo o li seguiamo; da un punto di vista fuori campo si sentono le voci. Questo sembra un momento emblematico perchè c'è la poesia, il mito poetico di Kleist e quindi anche l'unione della vita con la morte, e nella ricerca di Kleist la morte è un amico. In realtà sembra che i personaggi principali siano l'amore, l'eros e il tanatos. C'è sempre l'avvocato che vuole cercare un amplesso da qualche parte. Intanto muore il padre, oppure si parla di Kleist e intanto la macchina da presa stringe sul motoscafo, scandisce i versi di Kleist, e, alla fine, Kleist dice 'ti amo', ma lo dice alla morte. Però intanto la macchina da presa ha stretto e sembra che il fratello lo dica alla sorella e questo spiega quello che all'inizio si accennava come un rapporto incestuoso. Quindi la sensazione che ho io è che, per esempio, non ci sia una soggettiva sintagmatica di un personaggio, nemmeno del protagonista Barbablù. Semmai esiste uno sguardo poetico che è della macchina da presa attraverso rimandi, giochi di specchi…
Carpi: "…Il discorso è un po' complesso, ma certamente non c'è una soggettiva del protagonista che esiste in quanto oggetto dell'intervista, ha pochi rapporti con i familiari. Però c'è ad un certo punto la partita a scacchi con il figlio e poi quel lungo dialogo nella scena con il pianoforte, il ritratto della madre ecc., e lì mi pare che il protagonista veda il figlio come il figlio vede il padre, cioè qui c'è un rapporto fra i due. Altre volte è vero che la macchina da presa in qualche modo isola i personaggi e li distacca anche un po' dalla realtà. Però c'è un'altra scena che ricordo in questo momento, quella, verso la fine, del dialogo fra Susannah York, cioè della figlia che piange per motivi suoi, e il padre che equivoca e che pensa che pianga per lui; lì c'è uno stretto rapporto, seppure basato su un equivoco, su un'incomprensione, fra il padre e la figlia. E qui la macchina da presa è un terzo sguardo in quanto riprende il dialogo fra i due. Amore e morte certo sono presenze importanti che abitano profondamente questa villa".
La scena del ballo mi sembra una danza di morte…
Carpi: "…Non a caso, infatti, nella scena che precede il ballo Gielgud dice: "Sono i miei figli che stanno festeggiando la mia morte". Quindi lui, seppure con sarcasmo, sente che c'è questa strana allegria sotto mentre lui sta morendo. Mi pare di poter condividere quello che dici perchè senza dubbio nel film Eros e Tanatos sono gli elementi portanti. Da parte di Gastone c'è questa specie di ossessione erotica che è anche un po' l'istinto della morte, cioè non è soltanto un tratto connotativo del personaggio nel senso di un'esagerata esuberanza, ma è proprio una risposta alla morte o un rifiuto della morte, tant'è che se la prende con quella povera americana che gli sta a fianco dicendole "ma cosa vuoi capire tu di queste cose con il tuo puritanesimo", ecc.. Qui ci sono senz'altro questi elementi che stanno in sottofondo a tutto il film. Per quello che riguarda lo sguardo direi che qualche volta c'è la macchina da presa che in qualche modo si sovrappone agli sguardi dei personaggi".
Infatti intendevo soggettiva non nel senso ovvio, ma, molte volte anche se non sempre, la macchina da presa è messa in una posizione tale da non sembrare una vera e propria soggettiva da dialogo, è più una semisoggettiva, sembra anche uscire fuori. Per esempio, quando la moglie arriva e gli altri personaggi guardano lei, la macchina da presa non mi sembra posizionata sull'asse…cioè non la sento come il loro sguardo, è messa più obliquamente, sembra non avere a che fare con lo sguardo dei personaggi…
Carpi: "…Cioè quando la moglie arriva e interrompe il ballo, dici?…".
…Si, non mi sembra che gli altri personaggi la guardino dalla posizione della macchina da presa. Invece poi si vedono i personaggi o in coppia o isolati, e questo è un discorso che fa la macchina…
Carpi: "…Si, c'è la macchina da presa che isola i personaggi, in quanto se ci fosse stato un controcampo tradizionale, cioè, da una parte arriva Adele sulla porta e dall'altra parte, in controcampo, tutti gli altri personaggi insieme, sarebbe stato un controcampo, diciamo, realistico. Invece isolandoli si cerca di esprimere le reazioni diverse di questi vari personaggi alla notizia che il padre sta morendo, cioè sono isolati proprio per evidenziare la diversa reazione emotiva delle due coppie, dei nipotini e di Dominici. Certo uno poteva anche scegliere di fare un campo riassuntivo. A me non è sembrato il modo più giusto per dare il massimo di emotività e di chiarezza alle reazioni di tutti i personaggi, anche perchè con un campo collettivo non potevo mostrare le reazioni dei volti, perchè con un campo collettivo sei a una certa distanza, invece isolandoli con dei primi piani, con dei piani ravvicinati, puoi farlo, molto poco con i campi medi o i campi d'insieme. Nel film ci sono o campi lunghi o piani ravvicinati, il campo medio invece non mi appartiene molto come scelta di inquadrature".
Mi sembra che non ci sia la soggettiva che costruisce lo sviluppo narrativo, e che già dall'inizio si intenda osservare i personaggi, ce li abbiamo davanti tutti…
Carpi: "…Certo, certo. Mi è stato già detto che osservo i personaggi come un entomologo. Non a caso nel mio primo film la professione del protagonista era quella di un uomo che stava con la lente di ingrandimento sopra l'insetto, sopra le farfalle. Si, c'è questo voler vedere i personaggi come al microscopio, questo mostrare i personaggi isolandoli nei loro difetti e nelle loro debolezze".
Lei sembra dare molto più importanza ai personaggi che alla storia…
Carpi: "…Infatti nei film che io ho fatto mi interessano le relazioni che si creano fra i personaggi, quindi il loro carattere più dei fatti in sè che non sono dei fatti molto singolari, rientrano tutti anzi in una certa normalità. C'è una villa, c'è un vecchio che sta morendo, ci sono i familiari che aspettano la sua morte e raggiungono gradualmente un massimo di esasperazione. Uno per uno se ne vanno tutti perchè non sopportano più la situazione e resta ad assistere il vecchio solo la nipote…Il film si può raccontare in tre parole, è una storia normale, ma il film acquista un suo carattere nel momento in cui si esaminano il carattere dei personaggi e le relazioni che intercorrono fra loro. E' una sorta di microcosmo".
Due domande. Volevo sapere la motivazione di una scelta così forte nel film di ieri come il non far mai incontrare Barbablù con tutti i figli insieme, ma sempre uno per uno. La seconda cosa è quali differenze di metodo ci sono quando lei scrive una storia per un romanzo o per una sceneggiatura.
Carpi: "Mi pare che nel film ci sia una battuta estremamente esplicativa e non mi pare di averla tagliata in montaggio, cioè nella prima scena con la moglie Barbablù diceva più o meno: "Sono arrivati tutti? Li incontrerò uno per volta perchè alla mia età non si possono avere reazioni emotive troppo intense". E' come se si fosse già preparato a vederli separatamente. In più non dimentichiamo che lui vive isolato in un suo appartamento all'interno di questa villa, in un piano della villa, non partecipa alla vita familiare, mangia da solo, sta nel suo studio e non scende a pranzo con gli altri. Mi pare che sia normale che lui non voglia in qualche modo essere sopraffatto dalla famiglia, dato il suo temperamento, e mi pare anche estremamente naturale che non partecipi alla vita, è un grande isolato, come del resto nel caso del protagonista del secondo film che io ho fatto, che voi non credo conosciate, L'età della pace; anche lì si raccontava la storia di un signore molto avanti con gli anni che viveva isolato dal resto della famiglia nelle sue stanze, e i familiari aspettavano la sua morte per allargarsi un po' nei loro appartamenti. L'unico contatto che aveva era con la nipotina, in questo caso una bambina di cinque o sei anni, aveva delle scene con il figlio, aveva delle scene con la domestica, aveva delle scene con la figlia, ma non aveva mai delle scene con tutti intorno a lui, proprio per dare quel senso di isolamento che molte volte coincide con l'estrema vecchiaia. Quindi è un isolamento anche ricercato. Uno viene segregato ma sceglie anche istintivamente la segregazione con una specie di fatalità cui tende ad assoggettarsi. Per quello che riguarda sceneggiatura o romanzo io non ho particolari preferenze, a parte il fatto che in questi ultimi anni ho scritto prevalentemente per il cinema, però non ho mai avuto esitazioni nel mettermi a scrivere una cosa pensando di farne un film o un libro. Soprattutto negli ultimi anni la chiarezza è estrema, cioè se voglio fare un film scrivo un film, che fra l'altro ha un contatto molto più forte con la realtà e con la storia intesa in senso tradizionale, un film ha una vicenda con un inizio, una fine e dei personaggi. Un romanzo, se così vogliamo definire certe cose che ho scritto e pubblicato, ha invece per me uno sviluppo diverso, sia le cose che ho scritto recentemente che quelle che ho scritto molti anni fa hanno una libertà estrema, cioè nascono senza un progetto preciso, non c'è una vicenda chiusa, sono dei libri molto aperti e in qualche modo non si basano sulla scrittura narrativa progressiva come può essere quella di un film, ma possono andare da più parti, contraddirsi e prendere strade qualora perfino opposte e anche metanarrative, cioè non strettamente narrative nel senso tradizionale. Quindi il romanzo implica una libertà assoluta, il cinema invece, sia pure con ampi margini di libertà, impone una struttura narrativa precisa e dei personaggi autonomi. Per il romanzo si può dire paradossalmente che non abbia in realtà personaggi. Un film senza personaggi è molto difficile da realizzare. Quindi senza dubbio la libertà più assoluta è data dalla parola rispetto a quello che è il lavoro cinematografico con tutte le sue implicazioni, nel senso di dover sottostare a delle regole. Questo poi dipende dai momenti. C'è un momento in cui uno pensa al cinema in un certo modo e alla letteratura in un altro. Ripercorrendo a ritroso tutta la mia esperienza, ci sono altri momenti in cui invece la narrativa seguiva delle strade più tradizionali, mentre il mio primo film, Corpo d'amore, aveva quasi la stessa libertà di un romanzo, nel senso di una struttura ben poco tradizionale, infatti era un film totalmente controcorrente. Oggi cerco di fare un cinema non più commestibile, ma ad ogni modo più accettabile, mentre le ultime cose che ho scritto e che non ho ancora pubblicato sono molto più radicali e anche molto più ostiche".
Per quanto riguarda la scelta delle musiche come procede, nel senso che le indica già nel copione o la ricerca musicale avviene successivamente?
Carpi: "Fondamentalmente è più facile che già indichi delle musiche che conosco. Però mi è anche capitato, in Quartetto Basileus, che, quando ho indicato già in sceneggiatura le musiche del quartetto, ho ascoltato anche molti quartetti che non conoscevo bene, nel senso che li avevo già ascoltati, ma siccome non ho una grande memoria musicale li ho riascoltati…".
…La musica che usa è però quasi sempre preesistente…
Carpi: "…Non sempre. Ho fatto, credo, due film in cui c'era un musicista che ha composto il commento, e che sono, non a caso, uno I cani di Gerusalemme, in cui, essendo il film di ambientazione medievale, l'inserimento della musica era inevitabile, seppure in maniera marginale, solo sei o sette minuti, e l'ha fatta il musicista, e Le ambizioni sbagliate, in cui, trattandosi di musiche che avevo scritto io, mi sono permesso il lusso di far intervenire un musicista".
Ho notato che parlando della sceneggiatura lei si rifà a due categorie di segno opposto che non sono però in contraddizione. Lei dice che quando il film è scritto è come se idealmente fosse fatto, e questo è il fatto positivo per quanto riguarda il momento della scrittura, mentre le fasi successive, ripresa e montaggio, sono realizzazioni incompiute, perchè l'atto fondamentale avviene nella scrittura. Poi lei ha anche detto che una sua sceneggiautra nelle mani di un altro sarebbe un altro film, e che la sceneggiatura non è un'opera letteraria e il film è tutt'altra cosa rispetto al testo scritto. Allora io ho provato a darmi una risposta a tutto questo. La sceneggiatura per lei è uno strumento di lavoro personale, un momento di scrittura iniziale e un momento che si arricchisce con l'immagine sullo schermo. In virtù della forza del lavoro di scrittura …
Carpi: "…So già esattamente quello che voglio quando arrivo sul set. Il film scrivendolo l'ho visualizzato nel dettaglio, non nel dettaglio di posizioni di macchina, ma nel dettaglio dell'espressività che voglio dare a una scena e ad una inquadratura. In questo senso se si considera la sceneggiatura come una specie di espressività potenziale e si dà alla sceneggiatura un'altra interpretazione, può dar vita ad un film completamente diverso. Tutto questo naturalmente vale solo per me, perchè la sceneggiatura in sè, ha ragione Zavattini, non ha valore autonomo di opera letteraria. Ci sono registi straordinari, alcuni dei più grandi registi della storia del cinema, che creano il film nel momento in cui lo girano. In questi casi la sceneggiatura ha un'importanza modesta e il film viene creato con le immagini, e la creatività, l'invenzione avvengono nel momento delle riprese. Alcuni film straordinari nascono da opere letterarie modestissime, il che vuol dire che il testo d'origine era un puro pretesto perchè la creatività si è espressa durante le riprese. Per esempio, uno dei più importanti film della storia del cinema, Il vampiro di Carl Theodor Dreyer è tratto da due piccoli romanzi di scarso valore letterario. Io sono sicuro che anche in Dreyer la sceneggiatura era un puntello per sapere che avrebbe girato certe cose quel giorno e certe altre un altro giorno, ma tutta la sua creatività è avvenuta nel momento delle riprese, cioè non c'era a monte già un racconto sostanziale. E così ci sono altri registi, e parlo di registi di un'altra epoca perchè è più facile, come Joseph Von Sternberg, in cui l'espressività nasce durante le riprese, non nel lavoro di sceneggiatura. Per me invece la sceneggiatura è un momento di forza e di creatività, in quanto nelle riprese non ho fatto altro che cercare di esprimere il più fedelmente possibile quello che era già implicito nel testo".
…E probabilmente il più delle volte non è scritto nel testo e il testo diventa come un promemoria…
Carpi: "…Certo, non è scritto fino in fondo in quanto la visualizzazione non può essere espressa al cento per cento dalla parola. Però io lo so quello che cerco, quello che voglio, quello che cerco nei sopralluoghi, quali saranno gli attori che voglio come interpreti di quei personaggi. E' chiaro che se uno stesso testo viene fatto con attori diversi, in luoghi diversi da quelli che io cerco, con una fotografia e una scenografia diversi diventa un altro film. Non è con questo che io voglia svalutare il momento delle riprese, dico solo che per me il lavoro precedente alle riprese è quello che dà la connotazione del film. Io posso già prevedere che film diventerà nel momento in cui l'ho scritto".
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