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    L'INTERVISTA

    RESISTENZA NATURALE - INTERVISTA al regista JONATHAN NOSSITER

    27/04/2014 - INTERVISTA con il regista di RESISTENZA NATURALE JONATHAN NOSSITER

    Quando è nato il film?

    "L'estate scorsa, durante una vacanza in famiglia, mentre mi trovavo a Pacina, in Toscana, in un monastero del X sec. riconvertito in azienda vinicola. Lì, Giovanna Tiezzi e Stefano Borsa hanno generosamente ospitato una riunione con altri due produttori di vino naturale, Corrado Dottori e Stefano Bellotti e Gian Luca Farinelli, direttore del principale laboratorio di restauro cinematografico in Italia, la Cineteca di Bologna. Lo scopo di quella riunione di fine estate era preparare un evento che stiamo progettando per Bologna e che si svolgerà presso la Cineteca, con lo scopo di celebrare lo spirito di resistenza di quegli agricoltori italiani che, pur preservando il valore storico e culturale di prodotti come i salumi, i cereali, i formaggi e il vino, vengono tuttavia trattati alla stregua di fuorilegge dalla repressiva 'burocratarchia' di Bruxelles. Mentre eravamo seduti a discutere delle sfide da affrontare nel trasmettere la vitalità del passato attraverso il presente, improvvisamente ho avuto la sensazione che quello scambio tra una nuova generazione di agricoltori radicali e il difensore, altrettanto illuminato, della cultura urbana, era un vero e autentico momento di cinema. Era un incontro appassionato e commovente, allo stesso tempo ironico e provocatorio, al quale mi è parso un privilegio poter partecipare.
    Trovandomi lì con la mia videocamera non ho perso l’occasione di documentare quel momento. A Pacina, in quel giardino idilliaco, in compagnia di persone così affascinanti, le barriere tra amicizia e lavoro, tra macchina da presa e soggetto, sono venute meno.
    Si è discusso anche di questioni di vitale importanza in ambito ecologico, sociale e culturale, ma il modo tutto italiano di affrontarlo, con gioiosa anarchia, ha reso il tutto più intenso.
    Nelle settimane successive io e mia moglie siamo diventati sempre più desiderosi di documentare tutto questo e abbiamo deciso di andare a visitare i vignaioli direttamente nelle loro terre. La nostra macchina da presa passava dalle mani di uno a quelle dell’altro e seguiva questi nostri protagonisti 'involontari' nei loro campi e nei vigneti, dove lavorano. Seguiti dai nostri figli abbiamo compiuto un percorso che dalle Marche ci ha condotti in Emilia Romagna fino in Piemonte. Possiamo dire che, in un certo senso, i semi che hanno fatto nascere questo film sono stati piantati con Gian Luca Farinelli due anni fa, quando abbiamo organizzato una serie di incontri presso la Cineteca di Bologna: nel corso di tre settimane abbiamo abbinato registi anticonformisti a produttori altrettanto anticonformisti, in una serie intitolata 'Cinevino'".

    Che differenze ha sentito nel mondo dei viticoltori rispetto ai tempi di Mondovino?

    "Dopo 'Mondovino' non avrei mai immaginato di tornare a filmare tra i vigneti. Terminati i dieci episodi di 'Mondovino - La serie', nel 2006, ero piuttosto sicuro di non voler più parlare di vino nel mio cinema e pensavo che se fosse successo di nuovo sarebbe dovuto accadere come poi è effettivamente accaduto: per puro caso, diventando piano piano qualcosa di molto diverso da 'un film sul vino'. Fino al momento in cui mi sono seduto in sala di montaggio non ero sicuro che lì dentro ci fosse un film da raccontare. 'La casualità felice delle riprese' (Arthur Penn, nel corso di un documentario che facemmo sul tema della regia, un giorno mi disse che 'tutto il cinema è una serie di casualità felicissime') mi aveva portato una sferzata di energia ma non ancora una storia completa.
    La storia che accomunava questi quattro viticoltori mi ha permesso di capire come potesse prendere forma un racconto di dimensioni maggiori. La loro strenua lotta per la sopravvivenza del gesto artigianale indipendente e autentico in un mondo post-globalizzato mi ha emozionato. E la presenza felice di Gian Luca Farinelli, uno dei difensori più appassionati della nostra cinefilia collettiva sempre più in via di estinzione, è diventata fondamentale per stabilire un legame tra il mondo del dissenso contadino, degli agricoltori autentici, e il mondo del dissenso nel cinema da parte della cosiddetta 'alta cultura'".

    Chi sono questi produttori di vino?

    "Sono contadini moderni rivoluzionari in grado di vedere la propria attività agricola in un quadro politico, sociale, ecologico ed economico molto più ampio e complesso di quanto non potessero fare i contadini fino a qualche generazione fa. Anche se alcuni, come Stefano Bellotti hanno praticato una forma ecologicamente e politicamente radicale di agricoltura per molti decenni, non c'è dubbio che l'esplosione di questo movimento trans-europeo e sempre più internazionale (guidato da francesi e italiani) è stato il risultato di una nuova e recente generazione di contadini illuminati".

    Che impatto ha avuto sul montaggio del film questa fusione tra cinema e nuovo mondo del vino?

    "Durante il montaggio è nato un dialogo appassionato e carico di energia tra cinema e vino. L'intero processo è diventato una conversazione gioiosa tra due mondi che hanno una sorprendente quantità di cose in comune e che possono avere qualcosa da imparare l'uno dall'altro. Questo incontro ha provocato una serie di domande: Che cosa significa creare qualcosa di completamente artigianale e personale in un mondo sempre più intollerante rispetto a ciò che non è riproducibile e commercializzabile su grande scala? Qual è il valore e l'urgenza di trasmettere il passato, sia attraverso la 'cultura alta' sia tramite la (cosiddetta) 'cultura bassa', in un periodo storico in cui il passato è visto come un ostacolo? Qual è la resistenza etica che si può contrapporre ad un sistema politico ed economico corrotto e in bancarotta? Come fa un artigiano-contadino ad esprimere il proprio dissenso e la propria disobbedienza civile e come fa un regista o un artista a fare lo stesso? Può esserci una strada comune? Cos’hanno in comune il ribelle umorismo macabro di un eroe di Mario Monicelli in epoca napoleonica con l'ironia di un contadino ribelle di oggi in lotta contro il Nuovo Impero di Bruxelles?"

    Esiste un legame tra Mondovino e Resistenza Naturale?

    "Solo superficialmente. Anche se in entrambi sono presenti dei viticoltori come personaggi principali, si tratta di due film completamente diversi per origine, ambizione e dimensione.
    'Mondovino' è stato il risultato di quattro anni di ricerca in tutto il mondo, e ore di riprese in 12 paesi. Ha presentato una vasta visione antropologica di una ben precisa cultura globale in 2 ore e mezza di film. Gli 85 minuti di 'Resistenza Naturale', invece, sono il frutto di qualche giorno di fine estate trascorso in quattro fattorie del Centro Italia. Nel montaggio, la sensazione che è emersa e che spero sarà percepita anche da coloro che vedono il film è che stiamo condividendo un giorno d'estate in compagnia di alcuni nuovi e vecchi amici. Nel film si mescolano documentario e finzione in maniera libera e senza alcun legame con lo sguardo documentaristico molto più preciso di 'Mondovino'. Inoltre, se dieci anni fa la maggior parte delle persone ha concordato nel riconoscere che la principale minaccia alla libertà e alla diversità proviene dalla globalizzazione, oggi, le cose che minacciano la nostra libertà e la salvaguardia delle nostre differenze personali, culturali e politiche mi sembrano più sottili tuttavia molto più pericolose. Quindi, pur essendo un film molto più piccolo, 'Resistenza Naturale' trasmette un senso di urgenza diverso".

    Come descriverebbe la fase produttiva?

    "Dato che il film nasce da una serie di incontri non finalizzati ad un progetto cinematografico e che il processo di montaggio è stato condotto in uno stato di assoluta libertà personale e professionale, credo che la produzione di questo film potrebbe essere descritta come la più naturale, istintivamente anticonformista come il suo risultato sullo schermo. E anche lo spirito nel realizzare questo film è stato totalmente libero. Durante la lavorazione ho pensato ad una serie di altri registi come Santiago Amigorena (il cui film, 'Les Enfants Rouges', è stato realizzato senza circolazione di denaro, dall'inizio alla fine); Laurent Cantet (appena tornato da 3 settimane di riprese a Cuba con una meditazione sul destino tormentato della rivoluzione e il suo significato per coloro che hanno abbandonato la speranza di un cambiamento significativo); Ira Sachs a Berlino con 'Love is Strange', il suo secondo film (dopo l'altrettanto tenero e coraggioso 'Keep the lights on'), finanziato interamente dal sito di crowd-funding, Kickstarter; Karim Ainouz (anche lui a Berlino con il suo lirico e retrò-futuristico 'Praia do Futuro') e altri colleghi tutti alla ricerca di strade personali e originali per aggirare i vincoli crescenti del 'mercato-ideologico' nel cinema. Oltre dieci anni fa, questi registi ed io (insieme a Oren Moverman) formammo una libera associazione di registi, intenzionata a combattere la realtà frammentaria e la natura solitaria di chi vive nel mondo del cinema, isolando natura del cinema, che sembra essere felice nel mantenere separati i registi. Lentamente e casualmente ci siamo aiutati a vicenda di tanto in tanto (e crescendo come associazione, fino ad includere più di altri 40 registi, molti dei quali non ho ancora conosciuto!) e influenzandoci a vicenda in modi che sono sempre sorprendenti per tutti noi. Nonostante la difficoltà nel mantenere una vera indipendenza di spirito e d’azione, sia nel cinema che giornalismo e altrove, questo gruppo sta ora lavorando ad un progetto (che sarà annunciato entro la fine dell'anno), direttamente ispirato da ciò che i viticoltori naturali naturalmente indipendenti sono stati in grado di realizzare, assieme, negli ultimi dieci anni".

    Quindi, che cosa l’ha ispirata di questi vignaioli?

    "La cosiddetta 'crisi' in Europa e Nord America è un eufemismo venduto da coloro che non hanno perso nulla in questi ultimi anni, creato per attutire lo shock altrimenti inaccettabile dovuto a questo nuovo ordine economico-sociale. Tra le vittime c’è anche la cultura del gesto artigianale autentico, libero e antico come la nostra civiltà, danneggiato oggi come mai prima d’ora. Miracolosamente, nel mondo del vino un gruppo che unisce ricchi e poveri, destra e sinistra, classe media e anarchici, ha resistito con un successo sorprendente. Per anni mi sono chiesto se i miei colleghi del cinema avrebbero seguito il loro esempio. Negli ultimi 10-15 anni, questi viticoltori naturali hanno trasformato l'idea alla base del vino, soprattutto in Francia e in Italia, ma sempre più anche altrove, mettendo in mostra il cinismo e la manipolazione chimica del vino più convenzionale. Migliaia di agricoltori vecchi e nuovi (molti in fuga da settori lavorativi in crisi o paralizzati e stanchi della vita in città) hanno dichiarato la loro libertà nel fare il vino e praticare l'agricoltura con un profondo rispetto per la storia e la salute del luogo in cui vivono e lavorano. Questi viticoltori naturali hanno disprezzato il compromesso burocratico e cinico della certificazione di “vino biologico” (le regole di Bruxelles e degli USA sul biologico sono dettate dall'industria chimica e farmaceutica per garantire che niente possa veramente cambiare). I 'vignaioli naturali', invece, hanno rinnovato la vita di un alimento che ha dato gioia e conforto per 8000 anni. Voltando le spalle alle regole del mercato, si sono uniti nel loro assoluto rispetto per la salute dei loro terreni, per le persone, gli animali e gli insetti che ci hanno donato la vita e per le persone che berranno il frutto del loro lavoro. Essi ritengono anche che i più bei frutti della terra dovrebbero essere democraticamente accessibili a tutti e che così debbano essere anche il prezzo dei loro vini, dei cereali, della loro frutta e verdura. Non è una sorpresa che, in Europa e in Nord America, enoteche e ristoranti naturali si stiano moltiplicando, grazie soprattutto a dei giovani molto più attenti e sensibili rispetto a quelli della mia generazione. Ho notato questa differenza fin dal montaggio, dove il mio giovane assistente al montaggio Alberto Rigno si è dimostrato molto importante durante il processo di editing, nel costruire un dialogo tra questo film e la sua generazione. Questi personaggi e la loro risposta collettiva mi hanno mostrato un modello gioioso di resistenza alle norme e alle regole liberticide che colpiscono con maggior forza di giorno in giorno per preservare le corporazioni e le istituzioni nazionali e internazionali.
    Per me, Resistenza naturale è un messaggio d'amore al potere del cinema e dell'agricoltura come atto di gioioso dissenso. Sento questo film anche come un testamento alla gioia dell'amicizia e della famiglia, per ogni espressione di essa e per quello che trasmette: un senso di libertà di interpretazione e responsabilità, per il passato, il presente e il futuro".

    LA REDAZIONE


     
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