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    L'INTERVISTA

    BURIED - SEPOLTO: INTERVISTA al regista RODRIGO CORTÉS (A cura dell'inviata SUSANNA D'ALIESIO)

    10/10/2010 - Apri gli occhi, sei sepolto vivo! Così si apre BURIED, successo già annunciato, il regista RODRIGO CORTÉS presenta alla Casa del Cinema questo thriller particolare portandoci in superficie, dietro le quinte di un film che ha fatto strage di premi e critiche al Sundance Film Festival, in Inghilterra e in Spagna è al terzo posto dei film che hanno incassato di più e finalmente il 15 ottobre approderà nelle sale italiane.

    Come Le è venuta l’idea di girare questo film?

    RODRIGO CORTÉS: "L’idea è partita dallo sceneggiatore, Chris Sparling, ma nessuno voleva girarlo. Tutti dicevano che era bellissimo ma impossibile da girare, proprio per questa ragione l’ho scelto, mi attraeva l’idea di girare una storia impossibile, mi dicevo “sarà un Indiana Jones in una cassa”. Io ho sempre visto Buried come una commedia e ne mantiene la struttura per tutta la durata del film. Inoltre non segue un andamento lineare ma è come una montagna russa. Io volevo che il film fosse un’esperienza fisica, che si vivesse con la pelle, con il sangue, con le ossa, la gente deve uscire dalla sala con la voglia di un massaggio".

    Lo sceneggiatore si è ispirato a casi reali?

    R. CORTÉS: "I criminali non sono così creativi, i sequestri sono più rapidi, efficaci".

    Come mai ha scelto Ryan Reynolds per il ruolo di unico protagonista?

    R. CORTÉS: "Ryan è straordinario, l‘avevo visto in The Nines di John August, ha uno straordinario senso del timing, è un attore che, con gesti minimi, riusciva a trasmettere una vasta gamma di emozioni così intense".

    Come ha lavorato con l’attore?

    R. CORTÉS: "Le riprese sono durate 17 giorni, Ryan è uscito logorato fisicamente, aveva abrasioni su tutto il corpo. Lui vive in un’ora e mezza emozioni che forse un uomo non proverà mai nel corso della sua vita. Girare con lui è come suonare uno Stradivari. Noi abbiamo esplorato tutto il catalogo di emozioni umane: il terrore, la speranza, la paura…Però gli è passata la claustrofobia. L’ultimo giorno dovevamo girare la scena più pericolosa e la decisione di portare l’ambulanza sul set non lo ha affatto tranquillizzato, lui si chiedeva il perché di quella ambulanza e pensava “adesso posso anche morire dato che il film è finito”. Lui è il miglior partner con cui un regista eterosessuale possa lavorare".

    Quali espedienti tecnici ha usato per girare un film impossibile come questo?

    R. CORTÉS: "Innanzitutto ti devi dimenticare del buon senso perché altrimenti non vai da nessuna parte, la logica dice che è impossibile farlo, per eludere quindi la logica bisogna far ricorso a tre passi: primo non devi pensare che ti stai muovendo nell’ambito di una cassa altrimenti se ti focalizzi sulla cassa ti vengono in mente tutte le restrizioni, tutte le cose che non puoi fare, invece devi assolutamente libero di muoverti quindi tutta l’attenzione deve vertere sulla storia e sulle emozioni che vuoi che scuotano lo spettatore. Il secondo passo è quello di andare alla ricerca di tutti gli strumenti possibili che offre il cinema, io, infatti, ho pensato di pianificarmi le cose non come se mi muovessi all’interno di una cassa ma piuttosto come se fossi in una strada di Los Angeles nel bel mezzo di una jungla e in tal modo se volevo girare con un carrello potevo farlo, se volevo fare il traveling a 360° non ci dovevo rinunciare, se volevo avere la macchina a spalla per avere determinati effetti anche a questo non dovevo rinunciare. Terzo passo è come rendere possibile tutto questo all’interno di una cassa ma i problemi li ho risolti uno alla volta e alla fine abbiamo progettato e costruito 7 casse, ognuna serviva ad assolvre dei bisogni diversi in modo da consentire tutti i movimenti di camera".

    Si è ispirato alla scena che Tarantino ha girato in Kill Bill 2 o quella girata per CSI?

    R. CORTÉS: "La scena con Uma Thurman in Kill Bill 2 è magnifica sebbene abbia una conclusione più fantastica ma stiamo parlando di 6 minuti, qui invece c’è un film di 94 minuti. Per un film così il primo riferimento è Hitchcock, lui è il maestro assoluto, ha già fatto tutto, l’ha fatto prima e l’ha fatto meglio. Solo per fare un esempio di due film: Prigionieri dell’oceano e Nodo alla gola che sono due prodigi sia da un punto di vista tecnico che narrativo però in un film come questo tu ti senti più solo, non ci sono riferimenti o antecedenti diretti, sei solo tu con la tua cassa e il tuo personaggio. In Prigionieri dell’oceano, per esempio, ci sono nove persone, questi nove personaggi te li puoi un po’ giocare, puoi stare più su due o su due altri per evitare la noia, comunque c’è il tempo che cambia, le stelle, ad un certo punto arriva la burrasca oppure c’è la bonaccia, le cose possono cambiare. Nel mio film invece si doveva inventare tutto da zero, l’unico cambiamento che si poteva fare era attraverso la luce ed i gesti. Ma la cosa più bella di Buried, per me, all’inizio ci troviamo con un personaggio di cui non sappiamo assolutamente nulla in un buco nero e dopo 94 minuti di questo personaggio sappiamo tutto. Abbiamo portato un intero universo in una cassa e su questo non ci sono riferimenti, ovviamente torna sempre in gioco Hitchcock per cui il tempo e lo spazio fisico sono quasi irrilevanti, quelli che contano sono il tempo e lo spazio filmico che consentono di dilatare o di comprimere quello che si vuole. Volevo trovare il ritmo di Intrigo internazionale, in Buried durante i primi 8 minuti sei spaesato, ti guardi intorno, cerchi le vie d’uscita poi l’importante on è più sapere dove sei ma dove stai andando. Ad un certo punto le pareti esplodono e le possibilità diventano infinite".

    Che ne pensa di questa mania di Hollywood di rifare tutto alla loro maniera?

    R. CORTÉS: "Buried è già in se il suo remake, adesso questo mese esce in tutto il mondo, non c’è alcun territorio che non lo abbia comprato, quindi è il suo stesso remake. Per quanto riguarda la possibilità di girare ad Hollywood, Hollywood è solo un luogo come lo è Roma o Madrid. La domanda da porsi non è dove ma piuttosto cosa e come, perché per me l’ossessione è quella di avere il controllo creativo del processo ovviamente se non hai questo controllo ti vengono a dire che non va bene tre minuti di apertura in nero che non va bene un personaggio da solo che la fine è troppo intensa e troppo forte quindi non mi piace che ci siano 15 cuochi in cucina a dirigere i lavori in comitato perché ogni idea che è originale e forte e osa poi viene limata se ci sono troppe persone diventa una palla senza punte. Non si tratta di fuggire da Hollywood quanto voler dirigere solo le cose sulle quali posso avere un controllo totale".


     
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