ARGO: DIRIGE ED INTERPRETA BEN AFFLECK IN CO-PRODUZIONE CON GEORGE CLOONEY E GRANT HESLOV PER RIPORTARE ALLA LUCE UN FATTO DI CRONACA ALL'ALTEZZA DELLA RIVOLUZIONE IRANIANA DEL 1979
Da oggi, 28 FEBBRAIO di nuovo al cinema - VINCITOREOSCAR 2013: 'MIGLIOR FILM' (Produttori: GRANT HESLOV, BEN AFFLECK e GEORGE CLOONEY), 'MIGLIOR MONTAGGIO' (WILLIAM GOLDENBERG) e 'MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE' (CHRIS TERRIO) - VINCITORE di 2 GOLDEN GLOBES 2013: 'MIGLIOR FILM DRAMMATICO' e 'MIGLIOR REGISTA' (BEN AFFLECK) - 7 NOMINATIONOSCAR 2013 - Dal Telluride Film Festival 2012 - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by PETER DEBRUGE (www.variety.com) - Dall'8 NOVEMBRE
"Tony (Mendez) era amico del famoso truccatore John Chambers, e sapeva che era plausibile che troupe cinematografiche viaggiassero continuamente in cerca nuove ambientazioni. E così concepì un’idea davvero originale... Secondo me è importante ricordare, nel film, il momento in cui gli Stati Uniti, esclamano ‘Grazie Canada’. Tutto questo non sarebbe potuto accadere senza di loro, perciò l’America avrà sempre un debito di gratitudine nei confronti dei nostri amici del nord".
Il regista, attore e co-produttore Ben Affleck
"Ricordo benissimo la crisi degli ostaggi americani a Teheran ma non conoscevo questa storia particolare, e quando mi sono informato, l’ho trovata sorprendente e molto interessante, soprattutto adatta al grande schermo. Volevo farne un film e George (Clooney) era della stessa opinione... (il film) inizia in modo molto serio ma poi il tono cambia, in particolare quando si arriva a Hollywood. Volevamo che il film avesse anche un lato leggero che venisse integrato nella storia in modo coerente. Alla fine abbiamo trovato il giusto equilibrio e questo grazie alla regia di Ben".
Il co-produttore Grant Heslov
Page Leong (Pat Taylor) Michael Parks (Jack Kirby) Sheila Vand (Sahar) Ali Saam (Ali Khalkhali) Titus Welliver (Bates) Matt Nolan (Peter Genco) J.R. Cacia (Brice) Victor McCay (Malick) Tim Quill (Alan Sosa) Rob Brownstein (Landon Butler) David Sullivan (Jon Titterton) Taylor Schilling (Christine Mendez)
Musica: Alexandre Desplat
Costumi: Jacqueline West
Scenografia: Sharon Seymour
Fotografia: Rodrigo Prieto
Montaggio: William Goldenberg
Makeup: Aurora Bergere, Belinda Bryant, Cynthia Hernandez, Cheryl Ann Nick e Judy Staats
Casting: Lora Kennedy
Scheda film aggiornata al:
14 Marzo 2013
Sinossi:
IN BREVE:
Il 4 novembre 1979, mentre la rivoluzione iraniana raggiungeva l’apice, un gruppo di militanti entra nell’Ambasciata USA in Tehran e porta via 52 ostaggi. In mezzo al caos, sei americani riescono a fuggire e si rifugiano a casa dell’Ambasciatore del Canada. Ben sapendo che si tratta solo di questione di tempo prima che i sei vangano rintracciati e molto probabilmente uccisi, Tony Mendez (Affleck), un agente della CIA specialista in azioni d’infiltrazione, mette in piedi un piano rischioso per farli scappare dal paese. Un piano così inverosimile che potrebbe accadere solo nei film.
SHORT SYNOPSIS:
As the Iranian revolution reaches a boiling point, a CIA 'exfiltration' specialist concocts a risky plan to free six Americans who have found shelter at the home of the Canadian ambassador.
Commento critico (a cura di ENRICA MANES e LUCA BOCCACINI)
La storia, tramite questo film, si fa strada e ci porta nell'Iran del 1979, quello delle rivoluzioni, e del delicato equilibrio politico, e di quell'immancabile senso di pericolosità che a tutt'oggi si può percepire come allora all'interno di ciò che una volta faceva parte della Persia.
E non c'è tradizione medio-orientale in cui, anche solo in piccola parte, non siano coinvolti gli Stati Uniti d'America; e come la realtà di quegli anni racconta, la questione è sempre pilotata dai vertici, dai “superiori†a spese di chi si guadagna il pane sul campo: cittadini votati e fedeli alla “stelle-strisce†alle prese con l'incontrollabile e intollerante popolazione locale scatenata in branco. La missione è tosta, è ai limiti dell'impossibile e molto seria; mentre il mondo americano, e non solo, rimane in apprensione, sgomento per le sorti dei connazionali ostaggi, c'è un'altra piccola parte di America che trama e complotta per la liberazione e
il lieto fine, ma non una squadra speciale, non l'esercito e nemmeno il super-eroe di turno daranno vita al salvataggio. C'e l'ideale di guerra che viene messo in evidenza sotto forma di farsa, c'è l'umoristico e sarcastico mondo di Hollywood che si prepara a far fronte al nemico islamico, c'è un grave episodio diplomatico che si deve tener pronto a interpretare un copione tutto anni '70, c'è che in fondo si vuol dare ai fondamenti delle battaglie dell'uomo un significato o una radice non tanto lontana e diversa dalle demenze mascherate di certi fenomeni da circo e palcoscenico.
Da questo nocciolo quindi parte la fedelissima ricostruzione degli eventi, con un discreto contorno di classici standard americanizzanti che lasciamo per non dimenticarci la matrice del film, in un (quasi) continuo altalenarsi di angoscianti tensioni mediorientali da una parte e tranquilli svaghi Hollywoodiani dall'altra: eppure gli uni dipendono dagli altri, questi i
fatti, questa la realtà .
Il pregio del film è quello di non schierarsi dal punto di vista politico, ma di riportare i fatti con una serie di immagini storiche di repertorio, senza tuttavia perdere il ritmo e senza trasformarsi in documentario. Non ci sono piani sequenza e panoramiche mozzafiato, non un montaggio serrato ad imprimere una suspense che tuttavia si avverte, serpeggia, fa sussurrare piuttosto che sussultare e dona una visione globale nelle belle riprese dall'elicottero che si alternano alle immagini storiche nelle prime scene.
Il punto di vista è quello del thriller e del film di pura azione più che dello spionaggio da agenti segreti, neanche troppo infarcito di americanismo che tuttavia si avverte a tratti nel lieto fine con la bandiera degli States che sventola alle spalle del protagonista. Un garrire che fa da controcampo alle bandiere calpestate e incendiate in Iran nei mesi della rivolta. Scelta molto raffinata
quella degli attori, somigliantissimi ai veri protagonisti della vicenda, e non mancano le citazioni di quel mondo patinato che era la Hollywood ancora un po' anni Cinquanta che si affacciava allora, nei gloriosi 'Seventies', alla fantascienza, allo spazio ed alla guerra, perchè Argo sembra proprio dire questo: “in quel lontano 1979-80 andò cosìâ€, e a quel mondo arabo inferocito Ben Affleck la piazza così come deve essere, raccontata ora, trentadue anni dopo, tanti anni dopo, ma con tanta attualità : gli amici iraniani e gli amici americani, ognuno coi propri inequivocabili mezzi, potrebbero “divertirsi†ancora così.
Secondo commento critico (a cura di PETER DEBRUGE, www.variety.com)
These days, when most Hollywood types want to get political, they write checks or talk to empty chairs. But back in 1980, makeup artist John Chambers and a special-effects colleague went above and beyond, assisting the CIA to invent a phony film production as a front for a daring hostage rescue in Iran. Declassified after 18 years, "Argo" is the gripping story of how Hollywood helped save the day. White-knuckle tense and less self-congratulatory than it sounds, Ben Affleck's unexpectedly comedic third feature has the vital elements to delight adult auds, judging by the enthusiastic response to this Oct. 12 release's Telluride sneak.
Intercutting faux newsreel footage with an energetic widescreen restaging of the Nov. 4, 1979, storming of the U.S. embassy in Tehran by angry militants, "Argo" gets the pulse racing from the start, conveying the panic foreign service workers felt at the scene. (A brief historical prologue reminds viewers
of the CIA-backed coup that put the Shah in power in Iran, and how the Iranians felt justified in their actions after the U.S. offered amnesty to the then-deposed Shah.) While most of the embassy staff scrambled to destroy files, six Americans snuck out a side door and found shelter in the Canadian embassy, where they remained trapped for months.
Halfway across the world, a phone rings and a bearded but otherwise too-relaxed-looking Tony Mendez (Ben Affleck) stirs into action. When the U.S. government needs an extractor, Mendez is the man they call, and though he's never left anyone behind, the obstacles have never been greater than they are in extracting six Americans from revolutionary Iran.
Mendez' scheme -- the agency's "best bad idea" -- involves posing as a film producer scouting a location in Iran. He intends to set up a production office there, and even buys an ad
in Variety to establish legitimacy. Then, he flies in alone, aiming to return with the six refugees (technically not hostages, since they weren't captured like their compatriots, trapped for 444 days in the U.S. Embassy) role-playing as his film crew.
It's a kooky idea that sounds all the more hilarious every time a new character repeats it, as Chambers (John Goodman) and veteran producer Lester Siegel (Alan Arkin) incredulously do in Hollywood, each surrounded by the kitsch of their trade. Historically speaking, Chambers was the makeup pro who applied Spock's ears on "Star Trek," while Siegel is a fictional character based on Chambers' actual accomplice, effects guru Bob Sidell, who worked on the movie "E.T." Still, Arkin's caricature makes for good comedy, as the ex-player takes the CIA meeting before stepping out to collect another lifetime achievement award to add to his already overcrowded mantel.
Terrio delivers a script that
crackles with Paddy Chayefsky-like acerbity in parts, and includes plenty of punchy patter. Though Affleck's charm serves the film's lighter aspects as a snarky con-man yarn, the star may be the one dubious casting choice in the central drama's all-around stellar ensemble. Despite the peppering of gray in his hair and beard, Affleck ultimately comes across softer in-character than the script demands: When Mendez quips that extraction operations "are like abortions -- you don't want to need one, but when you do, you don't want to do it yourself" to a room full of State Dept. officials, it's a line that takes brass balls to deliver, and the actor lacks the cowboy conviction to sell it.
Much of "Argo" -- named for the fake sci-fi production at its core -- comes from well-researched fact, meticulously translated into richly textured retro-looking sets by production designer Sharon Seymour, captured with nostalgic '80s-styled
cinematography by d.p. Rodrigo Prieto -- the production team's detailed work underscored by an end-credits slide show (and an interview with former President Jimmy Carter conducted by Affleck) that depicts characters and scenes alongside their real-life counterparts. Still, the script takes its share of liberties to amplify either the tension or the satire, as when Siegel buys the rights to "Argo" (which Chambers already owned) from a rival producer.
For the breath-stopping final act, the film rewrites history so that Iranian intelligence figures out Mendez's plan at a particularly awkward moment (in fact, the operation had a far quieter denouement). But the change not only makes for a thrilling finale (one that Telluride auds gave a spontaneous ovation), it corrects the uncomfortably xenophobic way every Iranian is shown in the movie, and suggests they were at least as smart as Mendez.
Ultimately, the thrill of "Argo" is in watching how
the illusion-making of movies found such an unlikely application on the world political stage, where the stakes were literally life and death. Not only did Mendez have to manufacture the artifice of a nonexistent film, but the American embassy workers were required to become actors overnight, pretending to be film professionals lest they be found out and executed.
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano Warner Bros. Pictures Italia e Francesco Petrucci (Swservice)