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    L'INTERVISTA

    64 Mostra: Lido di Venezia 3 settembre 2007 PRESS CONFERENCE & Dintorni: THE HUNTING PARTY per la regia di RICHARD SHEPARD

    03/09/2007 - Presenti il regista RICHARD SHEPARD, gli attori RICHARD GERE, TERRENCE HOWARD e DIANE KRUGER, i produttori BILL BLOCK e MARK JOHNSON.

    Lei è stato uno dei primi divi a impegnarsi pubblicamente in maniera molto forte per una causa politica. Oggi viviamo in una stagione in cui molti dei suoi colleghi parlano di politica, fanno film di impronta politica e comunque quando poi vengono qui a Venezia parlano della situazione negli Stati Uniti. Come guarda queste cose? E’ un fattore positivo, un segno di evoluzione del sistema o è una moda?

    R. GERE: “… Il fatto che qui ci siano parecchi film indipendenti americani sulla guerra e sull’impegno sociale… rappresenta semplicemente la continuità storica a partire dagli anni Venti, Trenta e Quaranta, quando altri attori americani si sono impegnati su fronti diversi a carattere sociale. Questa è una continuità nei confronti della consapevolezza e della responsabilità”.

    Che cosa l’ha ispirata nel caratterizzare il suo personaggio nel film?

    R. GERE: “Mi doveva molti soldi, c’era un accordo poco legale che avevamo, ma comunque, si, mi doveva dei soldi (scherza riferendosi al regista). Ma no, è stato molto divertente. In realtà Richard (Shepard) a un certo punto ha deciso che dovevo recitare in questo ruolo. Lo dovete chiedere a lui perché, ma ho letto la sceneggiatura e sono stato subito molto preso: aveva risonanza con le note più profonde del mio animo perché ero consapevole della crisi in Kosovo, in Bosnia e veramente avevo anche passato del tempo in un campo lì, mi ero fatto molti amici e avevo anche un legame psicologico con molte persone della ex Iugoslavia. Quindi la lettura di questa sceneggiatura ha suonato alcune note in me e sapevo come Richard (Shepard) aveva già lavorato con la tragedia e la commedia assieme. Avevo letto questa sceneggiatura che era ottima e quindi volevo esplorare qualche cosa. Con Richard (Shepard) mi sono seduto a discutere su come affrontare l’argomento. E’ molto difficile, certo, sviluppare questo tipo di materiale, che è un materiale che combina i diritti umani, l’attività sociale e l’umorismo nero, assurdo; veramente poche volte si è riusciti ad arrivare a questo sviluppo. ‘Mash’ e ‘I Tre Re’ sono certamente un terreno pericoloso dal punto di vista artistico, ma mi sono convinto che Richard (Shepard) ce l’avrebbe fatta e sono salito a bordo dell’avventura”.

    Ho letto che Lei richiede un boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino, può spiegarci meglio il perché?

    R. GERE: “No, non chiedo un boicottaggio. E’ una notizia errata. Chiedo invece che venga fatta una dichiarazione della verità. Se la Cina vuole ospitare le Olimpiadi deve essere anche aperta a discutere quel che succede in quel Paese, ad esempio il trattamento delle minoranze, i tibetani nell’Estremo Oriente, l’imprigionamento delle persone calpestando anche i diritti dell’uomo e non penso che sia utile isolare un qualcuno, è controproduttivo, è folle. Il fatto che ci siano le Olimpiadi lì va bene, va bene per tutti, ma la collettività e la stampa internazionale che entra in Cina è anche molto importante per l’evoluzione della Cina, affinché la Cina possa trovare la propria versione di grandezza, cosa che merita. Allo stesso tempo i problemi in Cina devono apparire alla luce del sole e quindi non si può partecipare alle Olimpiadi senza parlare degli aspetti negativi che hanno luogo e si sviluppano in Cina”.

    Sembra che R. Gere abbia cercato di trovare Karadzic. Per chiedergli delle cose prima di fare questo film. Che domande avrebbe fatto R. Gere al pericolo numero uno Karadzic?

    R. GERE: “Mi piace fare delle domande e guardare gli occhi delle persone alle quali faccio le domande, se è possibile, perché gli occhi dicono molto. Ad un certo punto della conversazione gli avrei detto: ‘E’ possibile incontrare Karadzic e Mladic? E sicuramente qualcosa di strano sarebbe successo negli occhi di queste persone. Si certo, sarebbe stato possibile incontrarli, ma i miei figli verrebbero uccisi per questo e quindi la risposta che esce dalla bocca sarebbe no. E’ un problema emotivo, non filosofico, perché dice quanto timore nel profondo abbiano queste persone nei confronti di Karadzic o Mladic, quanto le temano. E’ interessante vedere come Karadzic o Mladic, i cattivi insomma, tra di noi finiscano per essere dei leader, anche nel mio Paese. Come è stato possibile eleggere due volte Bush? Questo è quello che mi interessa e bisogna guardare dritto negli occhi fino in profondità, non ascoltare le parole ma cercare nel profondo degli occhi per trovare una risposta a ciò”.

    Il finale del film, è dato di capire, è stato lungamente discusso tra il regista e R. Gere, con tutto questo concetto di vendetta; potete dire qualche cosa in proposito?

    R. SHEPARD: “Io e Gere abbiamo discusso lungamente sulla fine del film. All’inizio del film ho detto che ‘solo le parti più ridicole della storia sono vere’. Alla fine ho detto ‘il resto di questo film e della storia fa parte di una leggenda metropolitana’, ma pensavo che comunque dovevamo mettere una conclusione, perché ho parlato con molte persone a Sarajevo e quasi tutti mi dicevano di aver perso fiducia nelle autorità, che si potesse veramente prendere Karadzic. Quindi avevano perso fiducia nell’idea che fosse preso, portato di fronte alla giustizia e che gli si somministrasse la giustizia che meritava: condannato per i crimini per i quali era accusato. Ri guardo a Karadzic molti dicevano ‘il Tribunale dell’Aia non vale più’. Bisognerebbe prenderlo e farsi giustizia (da soli)… Ci è piaciuto molto, a me e a Gere, lavorare assieme perché non siamo d’accordo su molte cose, come questa”.

    Vorrei chiedere se ci potete parlare di qualcosa di diverso che avete imparato, facendo film in Croazia: o per quanto riguarda la vostra esperienza di attori, o la vostra esperienza in quel Paese.

    D. KRUGER: “Per me si è trattato di un cameo in questo film, una breve partecipazione, ma è stato un piacere essere nel film, ecco perché sono qui oggi, anche perché sono europea e questa guerra è ancora molto presente nella mia memoria ed è anche molto vicina ai miei sentimenti, al mio cuore. Non ho mai rinunciato all’opportunità di essere in film americani per interpretare una donna che ha questa esperienza e queste difficoltà nella sua vita. Sono stata interessata a questo personaggio e ho pensato che anche se era un piccolo cameo, avrei potuto aggiungere qualcosa a questo personaggio, interpretarlo in un modo molto reale e che rappresentasse veramente queste donne, tutte le donne, a prescindere da quello che hanno sperimentato”.

    T. HOWARD: “Per me la cosa più importante di questo film è che dal 1989 al 1991 frequentavo i bambini di una scuola. Non ho sentito parlare molto di questa guerra in televisione; non era nemmeno sui giornali come il ‘New York Times’ o il ‘Chronicle’; non ho visto che si parlasse dei mezzi di comunicazione di questa storia e quindi sono stato attratto dall’esperienza di apprendimento della sceneggiatura e poi, come risultato, ho visto che era molto simile a quello che era successo nel ’39 in Polonia, quando molti pensavano che questo non li avrebbe riguardati e poi di nuovo il centro del mondo è diventato Sarajevo, per poi essere abbandonata cinque anni dopo. Come la storia dei giornalisti, voi sieti gli storici di oggi e questo vale per tutti i giornalisti, quindi mi è piaciuto poter aiutare qualcun altro a non rimanere all’oscuro delle cose”.

    In questo film Lei parla nella lingua della ex Iugoslavia; era difficile per lei parlare in questa lingua? E quanto era informato sulla situazione in Bosnia prima di girare questo film? E poi, se lei potesse punire i criminali di guerra come Karadzic, quale sarebbe per lei la punizione?

    R. GERE: “E’ stato uno dei momenti più felici sul set: il mio bosniaco è stato fantastico. Non avevo idea di cosa stessi dicendo, per la verità, però ho lavorato sodo e ce l’ho fatta. All’inizio la velocità linguistica non funzionava, non ero molto credibile, ma dopo tre o quattro riprese ho raggiunto la velocità giusta. La vendetta? Le punizioni non hanno posto nella mia mente, se si dovesse trovare Hitler, Karadzic, Mladic, non si tratta della punizione, noi siamo interconnessi, l’importanza è di vedere come è possibile che la gente possa comportarsi così e come è possibile che noi riusciamo a permettere loro di diventare i nostri leader, nel senso più profondo. Noi li creiamo e vengono fuori dal nostro subconscio questi cosiddetti mostri. Fare questo progetto, per noi questo è l’importante, porsi in quest’ottica di fermare il processo. La punizione, pure dura, non ci porta da nessuna parte”.

    Una domanda per gli attori. Avete avuto lo spazio necessario per poter esprimere e creare il vostro personaggio? Il regista ha accettato quanto avete proposto? E quali sono state le difficoltà che avete riscontrato proprio tra attore e regista?

    T. HOWARD: “C’è stato dato abbastanza spazio per poter raccontare la storia, pur rimanendo fedeli alla storia stessa. La cosa che ha attirato tutti noi verso la storia è che Richard Shepard aveva fatto così tante ricerche per cercare di capire esattamente che cosa era successo e chi fosse responsabile del fatto che non succedevano le cose giuste, che gli abbiamo accordato tutta la fiducia necessaria e, anzi, nessuno di noi voleva allontanarsi troppo dal film. Le nostre idee se andavano bene venivano utilizzate e se non le abbiamo poi utilizzate, beh, pazienza! Ma questa sceneggiatura poteva essere seguita parola per parola e tutto funzionava alla fine perché la ricerca delle informazioni iniziali era troppo importante”.

    R. SHEPARD: “Vorrei aggiungere che quando si è un cineasta e quando si hanno attori che hanno abbastanza passione per quello che fanno e per i personaggi che interpretano, è follia se non si ascoltano i loro suggerimenti, ci si fa del male. Potrei scegliere di fare un film di animazione da solo con la mia visione totale in un’unica sala buia, ma invece mi piace lavorare con gli attori così, perché portano la loro visione veramente fantastica, oltreché necessaria. Anziché prendermi il merito di tutto devo anche essere grato per tutto l’apporto degli altri, e questa è una delle gioie di lavorare con interpreti come questi; non sono timidi ed esprimono liberamente le loro opinioni”.

    R. GERE: “Vorrei aggiungere un’unica cosa qui. C’è un attore che non è presente e che è stato molto importante: Jesse Eisenberg… ma certo il film riguarda questi tre bizzarri individui nel retro di una macchina. Veramente la chimica giusta si è sviluppata fin dall’inizio con Terry, Jesse ed io stesso. La prima volta che abbiamo letto la sceneggiatura eravamo in un albergo la mattina a New York e Terrence era stato sveglio tutta la notte perché doveva girare un film, ed era di pessimo umore. Ci siamo messi a leggere e veramente abbiamo capito che era perfetto per la parte, ma tutti erano giusti per la parte… Fare un film di questo genere significa andare a stabilire un equilibrio fra tragedia e umorismo ed lo stesso con tra le varie personalità. Certo, non era usuale, perché è una ripresa da tre angoli. Facevamo primi piani dal punto di vista della personalità di ciascun personaggio e ci scambiavamo i punti di vista durante tutto il film. La nostra capacità è stata quella di mantenere questa chimica, con questa amicizia e se non ci fosse stata fin dall’inizio non avremmo potuto fare il film così come l’abbiamo fatto”.

    Innanzitutto i miei complimenti al film, perché è molto incisivo: pur affrontando una tematica così drammatica riesce a inserire momenti di umorismo e ironia che mantengono molto alto il ritmo. Volevo sapere se filmare in Bosnia e affrontare tematiche così delicate a non tanto tempo dalla fine della guerra vi ha creato dei problemi, se avete avuto una sorta di censura.

    R. SHEPARD: “E’ stato molto importante per me poter girare il film nei luoghi dove si era verificata la storia. Avrei potuto girare il film in Bulgaria e avere comunque un film di minor costo. Certo, in Bosnia avevo dovuto farmi un’assicurazione per girare lì, perché agli americani era stato sconsigliato di girare in Bosnia, e così i costi sono stati elevati, ma per me era molto importante avere gli attori del posto dove si era verificata la storia e vedere le pallottole conficcate nel muro. Poi per me era anche importante avere una troupe fatta di serbi, croati e musulmani bosniaci, per avere persone che venissero ad informarci, ad insegnarci e a controllare quello che facevamo. Certo, è un argomento molto sensibile e non tutti si sarebbero imbarcati, ma comunque tutti eravamo felici di essere dì, di poter illuminare questa rabbia, questa violazione del diritto internazionale, perché c’è un uomo incolpato di genocidio che ancora corre libero in un Paese molto piccolo. Scrive dei libri e mangia nei ristoranti dove mangiamo noi. E’ ridicolo. Quando chiediamo alle autorità, ci rispondono che stanno cacciando quest’uomo. Non penso che gli uomini buoni non vogliano che sia preso, ma non c’è la volontà politica di prenderlo”.

    Il cinema americano ha decisamente riscoperto l’impegno, ormai qualunque pregiudizio nei suoi confronti in termini di intrattenimento puro è stato smentito ampiamente negli ultimi anni. Quanto è difficile ancora a livello produttivo fare un film coraggioso come questo?

    B. BLOCK: “Un commento sul sacrificio che questi talenti hanno accettato di vivere. Perché molte volte vengono loro offerti elevati onorari e sono grandissime star, e impegnarsi in questo tipo di film è molto raro per delle star di questo genere. E’ strano che queste cose succedano, ma quando importanti attori accettano di essere in questi film è notevole, e dovremmo essere grati a tutti e tre per quanto hanno accettato di ricevere”.

    R. SHEPARD: “Vorrei aggiungere che il sistema di Hollywood è creato in un determinato modo e certo abbiamo tutti dei grandi film, delle mega produzioni di grande seguito; questi sono i film che pagano enormi somme di denaro e se riesco ad avere attori di questo calibro che vogliono essere in questo tipo di film, comunque, vengono finanziati per il tipo di sistema che è in piedi ad Hollywood. Certo Hollywood ha sempre fatto film di impegno e li ha sempre fatti negli anni, dire il contrario è una forma di pregiudizio”.

    M. JOHNSON: “Negli anni penso che le cose che più mi hanno attirato sono le cose che parlano di persone, non è mai stata la trama o la politica, si tratta di personaggi e naturalmente la forza di questi film viene espressa dalla forza dei personaggi. Qui si parla di persone che hanno perso la giusta direzione, e la trama di questo film sta proprio nell’aiutare queste persone a riguadagnare la direzione che hanno perso, inoltre si trovano in una situazione politica che riflette quello che loro sentono e vivono. Veramente devo dire che ho fatto questo film non tanto per fare una dichiarazione politica, ma veramente quando i tre sceneggiatori sono venuti da me per stendere le loro idee che avevano tratto da un articolo su un giornale, quello che mi ha attirato per il film sono stati i personaggi e penso che questo sia e sarà il vero successo del film: i personaggi

    (A cura di PATRIZIA FERRETTI)


     
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