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    L'INTERVISTA

    GLI INFEDELI - INCONTRO con gli attori e registi JEAN DUJARDIN & GILLES LELLOUCHE

    05/05/2012 - Come è nato questo progetto atipico?

    JEAN DUJARDIN: "Il progetto è frutto di una serie di desideri e di idee che coltivavo da molto tempo. Innanzitutto c'era la voglia di fare un film a episodi, un formato cinematografico che consente una grande varietà. L'idea del tema mi è venuta dopo aver sentito la storia di un tizio che, per tradire sua moglie, andava al cinema, comprava un biglietto e staccava il telefono prima di andare a spassarsela. Quando tornava a casa, alla moglie che gli chiedeva perché non fosse raggiungibile sul cellulare, esibiva il biglietto del cinema come prova... Ho trovato questo espediente molto interessante. Il tema dell'infedeltà offriva un terreno di gioco appassionante. L'ultimo elemento riguarda il titolo che si è imposto quando, scorgendo di sfuggita la copertina del DVD del film di Martin Scorsese THE DEPARTED, il cui titolo francese è LES INFILTRÉS, ho letto per errore LES INFIDÈLES... A quel punto ho avuto la forma, il tema e il titolo".

    Come si è formato il vostro duo?

    GILLES LELLOUCHE: "Jean e io ci conosciamo da molto tempo. Come spesso capita in questo mestiere, avevamo voglia di lavorare insieme e avevamo alcuni progetti un po' campati per aria. Ma quando Jean mi ha parlato di questo progetto per la prima volta, ho subito accolto con molto entusiasmo l'idea di poterlo realizzare completamente insieme, condividendo fino in fondo la nostra visione artistica e la nostra grande amicizia".

    JEAN DUJARDIN: "Tra Gilles e me c'è una forte intesa. Entrambi siamo sempre in cerca di avventure umane e la prospettiva di lavorare insieme ci allettava moltissimo. Apparteniamo alla stessa generazione, condividiamo gli stessi gusti, la stessa sensibilità e un reciproco rispetto per il nostro lavoro. La nostra collaborazione si è imposta da sola e tutto è avvenuto con naturalezza in uno slancio incredibile".

    Come avete scelto le varie storie del film?

    JEAN DUJARDIN: "Il grande vantaggio di un film a episodi consiste nell'offrire un'autentica varietà di spunti. Abbiamo potuto affrontare l'argomento da diversi punti di vista, dal più giovane al più maturo e profondo, con personaggi più o meno caricaturali, vicini a noi e distanti da noi. Abbiamo cercato di scandagliare il tema, proponendo delle angolature che esprimano anche le differenze di età e di ceto sociale e che illustrino diverse situazioni, da quelle da incubo a quelle delle fantasie… Abbiamo iniziato a lavorarci facendo una serie di riunioni piuttosto informali e ridanciane con i nostro co-autori, Stéphane Joly, Philippe Caverivière e Nicolas Bedos. Abbiamo ideato una serie di piccoli film potenziali, almeno una trentina all'inizio, e in seguito abbiamo fatto una selezione. L'unico denominatore comune era la libertà di tono e umorismo, che tuttavia non impediva di toccare note patetiche o cupe".

    GILLES LELLOUCHE: "Abbiamo accumulato idee, scritto e lavorato con alcuni autori e poi abbiamo scelto i soggetti, sia in base alla forza della tipologia, sia in base alle emozioni che risvegliavano in noi. Il divertimento e il desiderio di interpretarli che ci suscitavano sono stati due criteri determinanti nella nostra scelta. Numerosi soggetti si sono imposti con naturalezza e sono quelli che si sono rivelati più interessanti con il passare del tempo".

    Malgrado il film sia composto di varie storie che mettono in scena personaggi diversi, permane una sensazione di continuità…

    GILLES LELLOUCHE: "Ogni film risponde a un altro. Senza voler rivelare i dettagli di ogni storia, si può dire che ogni segmento termina in qualche modo dove inizia il segmento successivo".

    JEAN DUJARDIN: "All'inizio avevamo pensato di separare ogni film dandogli un titolo, ma ci siamo resi conto che sarebbe stata una struttura pesante. Partendo da un primo sketch che comincia all'inizio del film e si conclude alla fine, si fissa il fulcro del tema attraverso quei due protagonisti. Volevamo un tono leggero per fare entrare gli spettatori nell'argomento a fianco dei due amici che vanno a caccia, con delle riflessioni molto dirette. Poi, però, abbiamo iniziato a farci un'interminabile serie di domande su come concatenare e ordinare gli episodi".

    Come avete dosato il tono generale?

    JEAN DUJARDIN: "Abbiamo cercato di accantonare la paura di essere troppo seri o troppo duri. Volevamo sentirci liberi sia nel formato sia nel tono, poter spaziare in un livello profondo o restare a un livello più superficiale, passare da un'analisi più riflessiva e rimbalzare poco dopo nel caricaturale, mescolare i generi mantenendo un tono sincero. Il nostro desiderio era dire certe cose, esprimerle nella recitazione, a volte giocare con i cliché oppure scalfire i preconcetti, sganciandoci da quelle «leggi» che la teoria vuole regolino i generi cinematografici".

    GILLES LELLOUCHE: "In nessun momento ci siamo sentiti censurati. Pensiamo che il pubblico non abbia voglia di vedere dei film formattati, che rispondano solo ai codici che vengono applicati a livello commerciale. Non desidera che gli vengano offerti sempre gli stessi film. Ognuno di noi come spettatore ha voglia di essere sorpreso da una storia diversa, piena di inventiva e vivace".

    Qual era per voi l'intento di questo film?

    JEAN DUJARDIN: "Alla base c'era il desiderio di ogni attore di interpretare delle situazioni diverse. Io avevo voglia di misurarmi con un certo eccesso, di andare lontano nei dialoghi e nel corpo. Ci rivolgiamo ad adulti liberi e consenzienti. L'obiettivo non è scioccare gratuitamente, ma avere la libertà assoluta e andare fino in fondo alle cose, proporre situazioni divertenti, un po' sovversive, che sconvolgono e suscitano una reazione. Era questo che volevamo. Avevo vissuto la stessa situazione con il film OSS 117 e il pubblico si chiedeva se poteva osare lasciarsi andare alle risate. Se uno ha voglia di ridere, perché non dovrebbe farlo?".

    GILLES LELLOUCHE: "Avevamo anche nostalgia di una certa libertà irriverente, come quella che troviamo nei film di Blier o nella commedia all'italiana, per esempio ne I MOSTRI – il film a episodi di Dino Risi con Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi".

    Il fatto di lavorare a un soggetto del genere ha provocato discussioni?

    GILLES LELLOUCHE: "L'obiettivo era sfruttare determinate situazioni, non discuterne. Le situazioni erano una materia, uno sfondo".

    JEAN DUJARDIN: "Ci siamo serviti di questo tema per incarnare uomini deboli, sfuggenti, vigliacchi, scaltri. Un sogno!".

    Avete avuto difficoltà a mettere insieme il progetto?

    JEAN DUJARDIN: "Ci dicono spesso che siamo «bankable», che garantiamo il successo, che almeno questo serva a riuscire a realizzare un film! Se non fossimo quello che siamo nel nostro mestiere, probabilmente sarebbe stato tutto molto più complicato. Che gioia poter far parte di un progetto dall'inizio alla fine, assumendosi la responsabilità di ogni aspetto, del nostro buon gusto come del nostro cattivo gusto!".

    GILLES LELLOUCHE: "Per noi questo progetto ha rappresentato una grande boccata di aria fresca. A volte capita che più sei conosciuto, più pretendono da te una serie di cose, più la morsa si stringe e più hai la sensazione di essere sempre meno libero. Rifare quello che hai già fatto è un errore. Equivale a scegliere un copione in funzione del suo potenziale successo, della fama che hai conseguito, senza voler correre dei rischi. È il modo migliore di annoiarsi e di diventare molto noiosi".

    In quale momento avete deciso di ricorrere a registi diversi e come li avete scelti?

    JEAN DUJARDIN: "Fin dall'inizio del progetto, abbiamo deciso di non dirigere noi perché l'impegno sarebbe stato troppo oneroso. Abbiamo scelto i registi sia in base all'affinità sia in funzione del contributo che avrebbero potuto apportare alle storie. Non erano interscambiabili. Abbiamo proposto ad ognuno la storia che meglio corrispondeva al suo universo. Per «La bonne conscience», ho istintivamente pensato a Michel Hazanavicius. Sapevo che il suo senso dello sfasamento e la sua regia avrebbero aggiunto qualcosa di divertente e di significativo. Per il «Prologo», ci voleva qualcuno di vivace, incisivo, molto poliedrico, abile nel rendere un'intensità visiva e di scrittura, con una grande energia nel montaggio e nella scelta degli stacchi. Fred Cavayé era la persona ideale".

    GILLES LELLOUCHE: "Emmanuelle Bercot ha una grande intelligenza e una grande sensibilità, basta vedere la sua collaborazione con Maïwenn in POLISSE. Era evidente che l'episodio «La question» era perfetto per lei. Nel caso di Eric Lartigau, tutto il suo lavoro, dalle commedie a L’HOMME QUI VOULAIT VIVRE SA VIE, indica una mentalità attenta al sociale e un approccio diretto che ci hanno attirato. La scelta di affidargli «Lolita» è stata quindi coerente. Conoscevo Alex Courtès da molto tempo e se non è ancora molto famoso come cineasta, le sue regie di video musicali sono note a livello internazionale. Il suo universo visivo molto forte si esprime in modo meraviglioso nelle piccole pillole che si alternano tra gli sketch prima di sfociare nell'incontro degli «Infedeli anonimi». Mettendo insieme dei talenti così variegati, il nostro intento era di offrire dei colori diversi al film".

    Ognuno degli episodi mostra anche attori diversi in una veste inedita… Come li avete scelti?

    JEAN DUJARDIN: "Per alcuni, la scelta si è imposta da sola, come nel caso di Géraldine Nakache, Sandrine Kiberlain o Alexandra Lamy. Si sono calate nei loro personaggi in modo impressionante. Anche Guillaume Canet non poteva non far parte della nostra avventura e lo abbiamo utilizzato in contro-ruolo. Abbiamo scelto di lavorare con persone che stimiamo e quindi ci siamo rivolti, tra gli altri, a Manu Payet e Isabelle Nanty. Sono tutti grandi attori. Senza che noi avessimo dato loro alcuna indicazione, si sono presentati sul set con un'idea precisa dei loro personaggi. Per esempio è stato Guillaume a decidere di dotare il suo di quella pettinatura da rimbambito. Non abbiamo avuto bisogno di evidenziare alcunché né di spiegare il testo. La sola attrice che abbiamo scelto con un provino è stata Clara Ponsot che interpreta la ragazza di cui Gilles, nei panni dell'ortodontista, è innamorato nello sketch «Lolita»".

    Jean, in un episodio lei recita insieme a sua moglie, Alexandra Lamy. È stato strano interpretare una coppia che si confronta su un argomento del genere creando un gioco di specchi?

    JEAN DUJARDIN: "Alexandra e io sappiamo molto bene dove finisce la finzione. Non confondiamo mai la nostra vita privata e il nostro lavoro. Recitiamo una parte. Con Alexandra avevo già vissuto questo tipo di interpretazione e questo peraltro ci ha permesso di spingerci ancora più in là. Abbiamo ritrovato un po' quello che avevamo vissuto in teatro con «Due sull'altalena»".

    Le riprese sono state particolari quanto la concezione e la scrittura del film?

    GILLES LELLOUCHE: "Abbiamo girato i vari episodi uno dopo l'altro. Anche se uno dei due è più presente in alcuni film, Jean e io eravamo praticamente sempre insieme sul set, visto che ognuno faceva almeno un'apparizione nell'avventura dell'altro. Ciascun episodio costituisce una vera e propria storia a sé, il film non è una successione di gag. Anche se nessuno l'ha mai detto esplicitamente, ogni regista si preoccupava di quello che facevano gli altri e questa pressione è stata utile al progetto che è diventato un condensato di energia pura grazie alla volontà di ciascuno di fare del suo meglio, in un clima gioioso".

    JEAN DUJARDIN: "Già il semplice fatto di avere sette registi diversi era di per sé un po' particolare, anche per la troupe. Ma è stato uno degli aspetti che ha reso il progetto così interessante. Ogni lunedì ripartivamo con un altro regista, in un altro luogo e in un altro ambiente, con personaggi diversi. Non ci annoiavamo mai!".

    Come siete arrivati a realizzare uno sketch?

    JEAN DUJARDIN: "Realizzando noi stessi l'episodio che conclude il film, abbiamo chiuso il cerchio. È stato l'ultimo che abbiamo girato. Abbiamo finito insieme e a Las Vegas!".

    Come avete diretto in due?

    GILLES LELLOUCHE: "Sempre al servizio delle situazioni. Capitava di passare da una sequenza molto frammentata a un'inquadratura fissa che consentiva di ricreare un'atmosfera fin nella sua vacuità. Questo ha creato un contrasto e una sensazione che non si osa spesso proporre al cinema".

    JEAN DUJARDIN: "Contrariamente a Gilles, la regia per me è una novità. Abbiamo seguito il nostro istinto sul momento ed è stato fantastico perché ci assomigliamo molto. C'erano molte situazioni diverse da rendere e in un contesto folle come Las Vegas, questo legame è stato ancora più forte".

    Sapete dire cosa rappresenta questo film per voi oggi?

    JEAN DUJARDIN: "GLI INFEDELI mi ha ricordato a che punto adoro proporre un progetto, fare squadra, coinvolgere le persone. Mi piace questo aspetto della "banda". Ma non ho un desiderio particolare di darmi alla regia. Probabilmente questo film resterà uno dei grandi momenti della mia carriera, gioioso, libero, diverso, condiviso con amici che hanno talento. Ho molta voglia di ricominciare a recitare. Ho fatto commedie e film più seri e mi diverte alternare e mescolare i generi. Mi piace il fatto che vari gradi di umorismo e di genere funzionino bene insieme. Questo esercizio mi permette di proporre qualcosa di diverso, di non fossilizzarmi nel ruolo di THE ARTIST. Non voglio essere identificato con un unico personaggio e con un'immagine precisa, voglio sorprende sempre, a rischio di bruciarmi le ali. Non è un calcolo da parte mia, è la mia natura. Contrariamente a quanto credono alcuni, non ci aspetta nessuno da nessuna parte. Quindi il solo fatto che questo film esiste mi rende felice".

    GILLES LELLOUCHE: "Ho la sensazione che GLI INFEDELI sia un po' un condensato di tutto quello che è possibile per Jean e me. Realizzare insieme un lungometraggio con una tale dose di energia nella recitazione e di complicità è stato fantastico. Il film mi ha anche confermato la mia voglia di stare dietro alla macchina da presa. È stata un'esperienza molto forte in termini di incontri, di scambi, di lavoro, sia con i nostri colleghi attori, sia con gli altri registi. All'inizio avevo l'impressione che il progetto fosse percepito dagli altri come una sorta di capriccio di due ragazzi viziati, come se non ci rendessimo conto di quello che stavamo per fare, mentre noi ne avevamo un'idea molto precisa. Siamo stati fortunati a incontrare delle persone disposte a seguirci e a permetterci di andare fino in fondo. Grazie all'energia e all'impegno di tutti, il risultato va al di là delle nostre aspettative. Non mi dispiacerebbe fare un film con Jean ogni tre/quattro anni, una sorta di appuntamento fisso...".

    Dopo aver trattato l'infedeltà maschile, non è tentato di abbordare il tema dal punto di vista femminile, con delle donne?

    JEAN DUJARDIN: "Ci stiamo pensando e anche da quella prospettiva ci sarebbe molto da dire!".

    Dal PRESSBOOK de GLI INFEDELI


     
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