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    L'INTERVISTA

    PRESS CONFERENCE & Dintorni - THE GOOD SHEPHERD-L'OMBRA DEL POTERE di ROBERT DE NIRO

    15/04/2007 - ROMA, HOTEL St. REGIS, 14 aprile 2007: il regista e attore ROBERT DE NIRO presenta THE GOOD SHEPHERD-L'OMBRA DEL POTERE

    ROBERT DE NIRO ha affrontato un grande viaggio – il giorno prima era ancora a Los Angeles dove sta girando il suo prossimo film come attore – per venire a presentare The Good Shepherd-L’ombra del potere in Italia, confermando così lo speciale rapporto che ha con questo paese e con Roma.

    Era dai primi anni Novanta che voleva fare un film su questo tema. Che cosa è cambiato durante questi anni e perché adesso?

    R. DE NIRO: “In realtà era un po’ che cercavo di realizzare un film su questo argomento che mi interessava, ma volevo realmente lavorare su un’altra idea che riguardava un periodo un po’ più avanti negli anni… Comunque volevo parlare di questo mondo dell’intelligence, dei servizi segreti, del mondo dello spionaggio. Poi ho incontrato Eric Roth che ha scritto la sceneggiatura di ‘The Good Shepherd’ e che peraltro poi ho trovato ottima. Ho parlato con lui e gli ho chiesto se voleva scrivere qualcosa per me, relativo al periodo che mi interessava. E lui mi ha detto ‘se tu realizzi il film tratto da questa sceneggiatura ‘The Good Shepherd’, io scriverò l’altra parte’, quella che io chiamo la ‘seconda puntata’, il secondo periodo che interessa a me e sul quale vorrei realizzare il prossimo film. Si tratta del periodo che va dal ‘61 all’’89 (vale a dire la Baia dei Porci, la costruzione del muro di Berlino fino alla sua caduta)

    Con questo film lei è alla sua seconda regia. Noi la conosciamo come attore, ma che cosa si prova a dirigere un cast stellare come questo? A questo punto, può dirci quale è stata la sua esperienza come regista, il metodo di lavoro e il suo rapporto con gli attori in ‘The Good Shepherd’?

    R. DE NIRO: “Per quello che mi riguarda, per quello che riguarda la regia, devo dire che la scelta degli attori, il casting, è un qualcosa di etremamente importante perché, a prescindere da tutto il resto, se non hai poi l’attore giusto a interpretare quel ruolo, non riuscirai mai ad ottenere quello che vuoi. Io non sarei mai riuscito ad ottenere quello che volevo. Non parliamo di Matt Damon e Angelina Jolie che sono fantastici, ma anche tutti quanti gli altri. Per esempio John Turturro ha perso la mamma proprio in quei giorni, quindi non era sicuro che ce l’avrebbe fatta ad interpretare il suo ruolo. Per me sarebbe stato un grandissimo problema perché io non riuscivo ad immaginare nessun altro tagliato per quel ruolo, e quindi ho sperato veramente che lui potesse superare il dolore e che potesse interpretarlo. In realtà che cosa ho fatto? Ho girato praticamente tutte le scene di contorno, tutte le cose, anche le scene in cui c’era lui, che erano intorno, lasciando fuori la parte che lo riguardava, consentendomi di prendermi qualche giorno in più nella speranza che lui poi accettasse di tornare a interpretare il ruolo, cosa che poi ha fatto. Per quello che riguarda la regia da attore, sicuramente la recitazione è qualcosa di molto importante e ovviamente senza dover assolutamente suonare arrogante - un attore che parla agli altri attori - ho notato, anche in altri film diretti da registi che sono o sono stati a loro volta attori, che riescono a tirar fuori dagli altri, dal cast, un’ottima performance. Questo è forse dovuto al fatto che c’è sintonia, ci si capisce, facendo lo stesso mestiere. Si crea un certo tipo di rapporto. Questo secondo me poi vale un po’ per tutte le professioni. Mark Ivanir, tanto per darvi un altro esempio, interpreta il russo che viene interrogato da Turturro: secondo me non c’era nessun altro attore capace di interpretarlo come l’ha interpretato lui. Ho fatto fare diversi provini ma nessuno era in grado di farlo come l’ha fatto lui. Anche per quello che riguarda l’attore russo Oleg Stefan, nessuno, fin dall’inizio, è risultato migliore di lui.

    Riguardo al suo personaggio nel film. C’è una frase chiave che dice: ‘La democrazia è la mia debolezza’. E’ una scena che può essere paragonata al dialogo tra Matt Damon e Joe Pesci… Può dirci qualcosa sulla visione politica dei due personaggi, il suo e quello di Matt Damon?

    R. DE NIRO: “Il mio personaggio può essere considerato, può essere un po’ visto come ‘la coscienza della pace’. In questa scena le battute della sceneggiatura lo profilano un po’ come il cuore, l’anima, mentre il personaggio di Matt Damon è un po’ più conservatore. Inoltre, il mio personaggio prevede, forse riesce a vedere la possibilità del fatto che le cose vadano in un’altra direzione. Forse è questa fondamentalmente la differenza”.

    Lei ha impiegato tanti anni… sulla CIA. Che cosa pensa al riguardo? Davvero servono queste organizzazioni per la sicurezza nel proprio Paese, che a volte lo salvano, altre lo destabilizzano? E un’altra cosa. Nel suo primo film, Bronx, c’è un rapporto molto forte tra padre e figlio. Che cosa l’affascina di questo tema?

    R. DE NIRO: “Credo che le agenzie di intelligence, dei servizi segreti abbiano un ruolo positivo da svolgere. D’altra parte il più delle volte non si sa fondamentalmente quello che fanno, soprattutto non si riesce a sapere quando sono riusciti a fare delle cose positive che hanno evitato e verificato l’avvenire di certi avvenimenti. Si può discutere in continuazione se magari ci sono state o ci possono essere degli episodi nei quali invece non hanno fatto il loro dovere adeguatamente, o non sono riusciti a cogliere quello che stava effettivamente succedendo, ma l’intelligence, i servizi segreti, vanno alla ricerca delle informazioni, cercano di capire se sono informazioni vere o false, a volte colgono nel segno a volte commettono determinati errori.
    Per quanto riguarda invece il rapporto padre-figlio nel film 'A Bronx Tale', in realtà la storia l’ha scritta Chazz Palminteri, io ho semplicemente cercato di fare del mio meglio nel dirigere il film. Nel caso di ‘The Good Shepherd’ la storia l’ha scritta Eric Roth, e anche qui ho cercato di fare del mio meglio: sulla parte della storia personale e del coinvolgimento di questa famiglia lacerata da quelli che sono gli eventi, e trovo positivo che ci sia un momento della storia personale che poi si collega al mondo esterno
    ”.

    Questo è un film pieno di salti temporali. Quanto ha tenuto presente come regista oggi la lezione di cinema di Sergio Leone?

    R. DE NIRO: “Per quello che riguarda ‘C’era una volta in America’ di Sergio Leone, che peraltro è da tantissimi anni che non rivedo, quello che ho riscontrato, l’ho riscontrato quattro o cinque anni prima che decidessi di accettare il ruolo, quando lui mi aveva proposto di farlo e io non ero sicuro, poi l’ho incontrato e ho avuto la sensazione che questo fosse un progetto che era molto importante per lui, un progetto a cui lui teneva e che da anni desiderava realizzare e probabilmente questa è una cosa che abbiamo in comune io e lui e che traspare in questo film. Credo che ci sia lo stesso tipo di sentimento, lo stesso tipo di feeling… ‘C’era una volta in America CIA’”.

    Si dice che lei sia refrattario alle interviste? C’è un motivo di per sé o è perché magari preferisce far parlare i film?

    R. DE NIRO: “In un certo senso in effetti è proprio così. Io credo che di fondo uno fa il film e poi lascia che il film parli da solo. E ovviamente come regista, la questione è diversa rispetto all’essere attore. Come regista sicuramente hai qualcosa di più da dire su tutto… Fondamentalmente la gente che va a vedere il film ci va perché ci vuole andare, non ci va se non ci vuole andare, è più importante il passaparola che non quello che ne possa dire uno degli attori protagonisti. Ovviamente da regista la situazione è diversa perché hai la visone completa di tutta l’opera”.

    Lei ha detto che ci ha messo molti anni prima di fare questo film. Che cosa nella struttura della CIA in effetti l’ha ossessionata? Lei si è mai sentito spiato? Come si è regolato nella cernita dell’enorme quantità di materiale con cui si è trovato a fare i conti? Come ha scelto cosa tenere nel film e cosa lasciare? In altre parole, quanta verità c’è in questo film?

    R. DE NIRO: “Diciamo che trovo questo argomento estremamente affascinante, oltretutto ci sono stati molti spythriller, da James Bond a John Le Carré, o anche altri film che hanno parlato di questo argomento, però secondo me hanno un po’ lasciato parecchie domande prive di risposta. Hanno un po’ preteso che il pubblico facesse una sorta di atto di fede rispetto a quello che veniva rappresentato e detto. Invece io con questo film ho cercato di colmare un pochino quelle lacune. Ho cercato di renderlo quanto più realistico possibile, di illustrare il mito di questa CIA. Ovvio che ci sono dei fatti che sono veri, reali, altri che non lo sono. Per esempio c’è la scena di Joe Pesci che all’inizio doveva essere diversa: doveva essere portata una scatola di sigari in cui ce ne doveva essere uno esplosivo o avvelenato. Poi però ho pensato che questo tipo di scena così non funzionasse e l’ho trasformata nel modo in cui la vedete nel film adesso… Quanto al fatto se io mi sia mai sentito spiato, devo dire di no, anche se in certi Paesi, la cosa è diversa. Per esempio la prima volta che sono andato in Russia mi sono sentito spiato”.

    Cosa pensa dei fallimenti della CIA? Ad esempio rispetto all’11 settembre, a Bin Laden, al Delitto Calipari…

    R. DE NIRO: “In realtà non so. Considero purtroppo questi fallimenti delle sciagure, delle cose molto sfortunate ma, come ha detto qualcuno anche all’interno della CIA poi di fondo nessuno parla delle cose che hanno funzionato, che sono andate bene. Nessuno quindi rende merito all’agenzia della CIA delle cose che funzionano. Purtroppo sono state situazioni sfortunate e in un certo senso col senno di poi, con una vista perfetta, adesso si dice che di quello che è successo l’11 settembre erano stati mandati già numerosi segnali e che segnali di questo genere erano arrivati non soltanto all’interno della CIA ma anche altrove, in altre agenzie di intelligence, e che nonostante fossero stati numerosi e rilevati, nessuno vi aveva prestato orecchio”.

    Al di là del racconto di come è nata la CIA in questo film c’è anche il ritratto della solitudine di un uomo, che è sempre disperatamente solo appunto, perché non può fidarsi di nessuno e non può donarsi completamente. L’ha interessata anche questo risvolto umano a carattere privato?

    R. DE NIRO: “Si, assolutamente si. Era proprio l’aspetto personale che a me interessava e anzi, l’ho voluto proprio rendere personale, ed è stato quello poi l’elemento fondamentale, attraente della sceneggiatura di Eric Roth. Io l’ho saputo solo dopo averla letta, ma questa sceneggiatura girava già da un certo numero di anni ed era una di quelle sceneggiature che non erano state realizzate, considerata da alcune riviste di cinema tale da inserirla nell’elenco dei migliori film mai realizzati. E la ragione di come mai non fosse stata realizzata prima era dovuta essenzialmente al fatto che era molto costoso trasformarla in film. Però proprio questo piace. In genere in qualsiasi film mi piace che ci sia l’elemento personale, la storia privata che però poi si ricollega al mondo esterno circostante, al quadro più ampio”.

    Questo film e quello che girerà da ora in poi fanno parte di una trilogia? Può confermarci un parallelo tra la struttura della CIA a quella della mafia?

    R. DE NIRO: “L’ho pensato in effetti come trilogia: la prima parte, quella che abbiamo visto adesso (The Good Shepherd), poi quella dal ‘61 all’’89 con la caduta del muro di Berlino e poi dall’’89 ai giorni nostri, vale a dire dopo la caduta. Ma quello che sto facendo adesso come film non ha nulla a che vedere con questo perché è un film che parla di un produttore di Hollywood, è tratto da un libro scritto da un mio amico e il titolo è ‘What just Happened?’. In realtà non lo dirigo, io sono soltanto un attore, il regista è Barry Levinson e la Medusa lo produce e poi lo distribuirà qui in Italia. Riguardo al parallelo CIA-MAFIA posso dire che in entrambe c’è questo comune elemento di segretezza...".

    Nella prima parte della CIA c’è una sorta di fascinazione, non è ancora corrotta, ma man mano che si va avanti aleggia la malinconia per i tempi iniziali, incorrotti. Che cosa è per lei la CIA?

    R. DE NIRO: “In effetti si. Ottimo punto questo sollevato, in un certo senso ben colto: all’inizio difatti, questa organizzazione è più snella, al momento in cui viene avviata è più giovane, poi però si evolve e assume le caratteristiche che vediamo oggi. Tuttavia, come ho detto prima, ci sono tante cose che non si sanno e che la CIA è comunque riuscita a fare e nelle quali ha avuto successo, un successo di cui non si parla, poi vi sono gli errori, ci sono i fallimenti di cui invece si parla. Tra l’altro c’è anche l’elemento dato dal fatto che oggi la CIA è un po’ nell’occhio del ciclone, così come lo è nel nostro Paese per la situazione in cui ci troviamo oggi. I riflettori sono difatti tutti puntati sul nostro Paese, per cui la CIA viene accusata di aver fatto determinate cose che ha fatto, ma a volte prende le colpe anche di cose che magari vengono realizzate altrove e vengono fatte da altri. Quanto alla definizione, non posso assolutamente darla”.

    Il regista Cimino sarà a Roma per una lezione di cinema. Che cosa pensa della sua esperienza con quel regista? Pensa di aver fatto con lui il suo film migliore? E, un’altra cosa: l’ha emozionata l’Oscar di Ennio Morricone?

    R. DE NIRO: “Si, considero ‘Il cacciatore’ un film molto bello e sono infatti molto orgoglioso di avervi partecipato. E per quello che riguarda Morricone mi ha fatto molto molto piacere perché trovo che sia un compositore, un musicista, eccezionale. Io ho recitato in quattro o cinque film di cui lui ha composto le colonne sonore”.

    In Italia, che è un Paese democratico, c’è un dibattito: se affidare ai servizi segreti il controllo e la visione di ciò che accade… e anche l’America è un Paese democratico. Lei nel film parla molto di questa organizzazione che viene definita segreta, ma tanto segreta non deve essere, a giudicare dai fatti. Che cosa si deve pensare: va raccontato tutto o no?

    R. DE NIRO: “Per quello che riguarda la Confraternita degli ‘Skull and Bones’ all’epoca era molto più segreta di quanto non lo sia oggi. Io per esempio ho incontrato alcuni dei suoi membri che mi hanno detto ‘io in teoria non ti dovrei dire che sono membro di Skull and Bones, però lo sono’. Poi quello che si vede è il risultato della ricerca di Eric Roth che ha studiato un po’ la storia dell’organizzazione. Un po’ fa parte anche del mito di questa confraternita, di questa società. Quello che ho cercato di fare io, in ogni caso, è di presentare determinate cose al pubblico in maniera che ognuno poi interpreti quello che vede. Spero di averlo fatto, mi auguro di esserci riuscito senza farlo in maniera sciocca. Poi se tutto questo può essere visto come una metafora di altri tipi di cose, questo non lo so. Per quello che riguarda il fatto di svelare tutta la verità o meno, considerato che si tratta di una democrazia, lo dice a un certo punto Matt Damon anche in contrapposizione al mio personaggio: vale a dire che bisognerebbe in realtà dire tutto, ma poi la linea è sottile tra il dire tutto e determinate cose che vanno fatte in nome e per conto di quello che può essere considerato l’interesse nazionale, cioè, il passaggio è molto sottile tra l’una e l’altra cosa e può anche capitare che a volte non sai se le cose che vengono fatte siano davvero fatte per l’interesse nazionale. Ovvio che esiste l’interesse per la sicurezza nazionale ma non si sa se si agisce per questo o se semplicemente questa cosa viene utilizzata per nascondere altre verità che dovrebbero essere svelate e che poi invece non vengono svelate”.

    (L’ultima domanda rivolta a De Niro dandogli confidenzialmente del tu, condotta da Enrico Lucci, uno dei conduttori del popolare programma televisivo Le Iene, ha dato luogo ad un mini show, enfatizzando volutamente per mettere ironicamente il dito, nel novero delle numerose piaghe passate e presenti della nostra Italia)

    Tu ti riferisci alla situazione americana però tu sapessi quanti guai che ci stanno in Italia. Adesso ti dico qualchecosa… Qualche anno fa in Italia scoppiavano tutta una serie di bombe e non si sapeva chi ce l’avesse messe. Ancora oggi, pensa che c’è… hai mai sentito parlare della Strage di piazza Fontana? Trentotto anni fa… Ancora non si capisce chi abbia messo la bomba. Poi ricordati che in Italia… ventisette anni fa alla stazione di Bologna, ottantacinque morti, duecento feriti, ancora non si è capito chi è che ci ha voluto mettere la bomba… poi c’è stata una loggia massonica, la P2, adesso non ti inizio a spiegare che cos’era perché… poi c’è stata Tangentopoli in Italia, e tu non puoi capire! Sai che è successo? Che i ladri sono diventati ricchi… Ti rendi conto? Solo in Italia possono succedere queste cose! Poi c’è stata Calciopoli… e poi c’è stata Vallettopoli… A questo punto sai che ti dico: ‘vieni a fare un film anche in Italia’?

    R. DE NIRO: “Mi sembra che stia succedendo parecchio in Italia! Di materiale ce n’è, ce n’è parecchio. Ovviamente poi quando lo provi sulla tua pelle tanto grande, tanto fantastico questo materiale non lo è più. Presumo che in Italia ci dovrebbero essere dei registi italiani in grado di fare film di questo tipo … (comunque) grazie per il complimento”.

    (A cura di PATRIZIA FERRETTI)


     
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