UNA PROMESSA - INTERVISTA al regista PATRICE LECONTE
30/09/2014 -
UNA PROMESSA - INTERVISTA al regista PATRICE LECONTE:
Cosa l’ha spinta a fare un film sul romanzo di Stefan Zweig
"Jérôme Tonnerre, l’amico e co-sceneggiatore con cui scrivo di solito, mi ha consigliato di leggere 'Viaggio nel passato' in quanto era certo che la storia mi sarebbe piaciuta. Diversi giorni dopo la
fine del libro, mi sono accorto che continuavo a pensare alla storia. Infatti, sono stato profondamente toccato dalle emozioni e dalle sensazioni che mi ha provocato. Ho chiamato Jérôme per dirgli che avevo seguito il suo consiglio e che pensavo sarebbe stata una buona idea adattare la
storia insieme per farne un film".
È particolarmente affascinato dal lavoro di Zweig?
"Nonostante mi piaccia molto come scrittore, non era tra i miei scrittori prediletti e non ho mai pensato che avrei adattato una sua storia per lo schermo. Decidere di adattare un libro è come avere una porta semiaperta: vedi una possibilità. E come con tutto quello che è successo durante la mia carriera, il mio incontro con questo libro è stato sia fortuito che cruciale, ha scaturito in me dei sentimenti che mi hanno particolarmente toccato al momento".
Quale aspetto dell'opera l’ha interessato maggiormente?
"Non è stato tanto il fatto di sapere se l’amore avrebbe resistito al passare del tempo, ma piuttosto se il desiderio sarebbe sopravvissuto al passare del tempo. C'è qualcosa di folle nel dichiarare il proprio amore con la promessa di viverlo solo successivamente. Ho trovato molto commovente il fatto che questi personaggi provino un desiderio così forte senza poterlo esprimere".
Pensa che trattenere in questo modo i sentimenti fosse tipico del periodo?
"No e, in ogni caso, non mi sono avvicinato a questo argomento come uno storico. Ho proiettato me stesso come uomo, mi sono identificato con i personaggi, ho sentito l'emozione fisicamente".
Il film è ambientato in Germania e inizia nel 1912, ma non percepiamo le tensioni dei tempi in modo così marcato. É intenzionale?
"Assolutamente. Anche se il film è ambientato in un momento preciso, in un luogo preciso, non volevo che la prima guerra mondiale, che era alle porte nel 1912, prendesse il sopravvento su
quello che mi sembrava più importante: i sentimenti che uniscono questi due personaggi. Si evolvono in una bolla emotiva che sembra anestetizzarli contro gli eventi esterni. Ma non ho inventato nulla, perché Zweig nel suo racconto non raffigura della guerra più di quanto facciamo noi".
Il suo adattamento è fedele al romanzo?
"Lo spirito di Zweig è lì e le questioni emotive sono le stesse del libro. Ma per adattare un'opera bisogna sentirla. È necessario proiettarsi in essa, è necessario inventare. Al di là delle idee narrative che abbiamo avuto, l'unico notevole adattamento che abbiamo fatto è stato il finale. Zweig, essendo sia uno scrittore e sia un uomo profondamente pessimista (come il suo suicidio ha dimostrato), ha dato al romanzo un finale estremamente disilluso. Nel libro, quando Charlotte e Friedrich si incontrano di nuovo, sono come estranei. È inverno, il desiderio è svanito e il loro amore è congelato. Per il cinema, senza voler un lieto fine, abbiamo dovuto dare al loro ricongiungimento un po’ di cielo azzurro, un barlume di speranza per il futuro".
Quali sono i piaceri e i vincoli di girare un film in costume?
"Non ho avuto alcun problema con il girare un film in costume; ma preferisco rimanere concentrato, tengo sempre alta l'attenzione sui sentimenti dei personaggi, cercando di non farmi sopraffare da troppi dettagli. Mi è stato ben presto chiaro che nel 1912 (e tanto più in Germania) la moda femminile era molto triste e monotona. I vestiti coprivano completamente i loro corpi. Vedere un polso, la nuca, le spalle, per non parlare di un avambraccio o di una caviglia - era una missione impossibile! Eppure, poiché il desiderio era l'oggetto, volevo e dovevo vedere la pelle. Ma Pascaline Chavanne, la costumista, mi ha subito rassicurato dicendomi che potevamo permetterci qualche libertà con l'epoca senza cadere in anacronismi o in incongrue balze e fronzoli".
In un primo momento voleva girare in Germania e in tedesco. Cosa le ha fatto cambiare idea?
"All'inizio ho pensato che una coproduzione tedesca in lingua tedesca fosse l'unico modo rispettoso per adattare questo libro. Ma ho capito subito che girare in una lingua che non parlo per niente era
semplicemente folle. Dal momento che usare il francese sarebbe stato assurdo, i miei produttori (Fidélité) hanno suggerito di girare in inglese con un cast anglosassone. L'idea era molto accattivante, questa lingua internazionale avrebbe permesso di ambientare la storia in Germania, con personaggi che parlano inglese, senza problemi".
Come ha condotto il casting?
"Dal momento che la mia conoscenza di attori britannici non è enciclopedica, mi serviva l'aiuto di un direttore di casting britannico. Ho incontrato una donna meravigliosa, Suzy Figgis, che lavora con Tim Burton, e con la quale sono andato molto d'accordo. Per il ruolo di protagonista ha subito suggerito Rebecca Hall, che avevo visto solo nel film di Woody Allen 'Vicky Cristina Barcelona'. Quando l'ho incontrata la prima volta ho pensato che fosse un po' 'la ragazza della porta accanto' e non ero sicuro che potesse essere la mia Charlotte. Ma, come sempre, l'idea si è fatta strada. Ci siamo visti di nuovo, ha fatto alcune prove ed è successo qualcosa di magico. Era
straordinario vedere come questa donna moderna, allegra, che si era presentata sul set in pantaloni da jogging riuscisse a trasformarsi. Col costume di scena, acconciata e truccata è diventata il suo personaggio, con una sensibilità intensa. Richard Madden è un giovane attore che è diventato famoso grazie alla serie di successo 'Trono di spade'. Nella serie c'è qualcosa di un po' selvaggio nel suo personaggio, ha persino la barba. Continuavo a chiedermi se, una volta rasato, avrebbe mantenuto il suo fascino, se sarebbe stato in grado di ritrarre questo giovane povero e opportunista, pazzo d'amore, ma estremamente riservato, un personaggio balzachiano completamente diverso da quello che ha sempre fatto. Il suo entusiasmo e la sua completa immersione nel lavoro mi hanno poi conquistato. Alan Rickman mi ha sorpreso in un modo diverso. Parecchie persone che avevano lavorato con lui, mi avevano detto che era un grande attore, ma un uomo complicato. Ciò nonostante ci siamo immediatamente capiti molto bene e sul set si é fidato di me, in modo incredibilmente docile. La propria consapevolezza dei sentimenti contraddittori del suo personaggio gli ha permesso di interpretarlo con molta emozione. Guardandolo recitare, avevo le lacrime agli occhi. Un talento così preciso e prezioso è entusiasmante".
In che modo ha diretto gli attori?
"Nello stesso modo in cui avrei diretto degli attori francesi. Con la stessa complicità e fiducia. Sentivo che per loro era piacevole essere ripresi dal regista. Filmare gli attori è una parte preziosa del mio lavoro, pochi registi lo fanno. Gli attori amano questi tipo di sensibilità tipicamente europea. Rebecca Hall - che aveva appena terminato le riprese di 'Iron Man 3', una enorme produzione americana, in cui la sua presenza sul set era richiesta per 5 minuti al giorno, per recitare davanti a un green screen - era deliziata. Proprio come Alan Rickman, che ha ammesso che dopo due grandi produzioni americane aveva un po' perso il piacere di recitare. Quando alla fine delle riprese mi ha abbracciato, mi ha detto che gli avevo restituito il gusto del cinema, meglio che essere insignito della Legione d'Onore!"
Dove ha girato?
"In Belgio. Dopo molte ricerche, abbiamo trovato lì tutte le location di cui avevamo bisogno. Nella troupe c'erano i miei più stretti collaboratori - ma la maggior parte erano belgi. Sono state riprese molto piacevoli perché c'era un clima molto rilassato. Eravamo in completa armonia. Gli attori inglesi erano molto aperti, disponibili e concentrati sul lavoro. In Francia non posso dire di aver lavorato con i peggiori attori sulla piazza, tutt'altro, ma non ho mai visto una tale qualità di lavoro. Il tempo ci ha aiutato, le cose sono andate molto bene, come per un pittore che dipinge direttamente sulla tela. In questo film abbiamo raggiunto un piccolo 'stato di grazia'".
Cosa si aspettava dalle musiche?
"Ho scelto Gabriel Yared sin dall'inizio perché desideravo lavorare con lui da parecchio tempo. La sfida era illustrare sentimenti così trattenuti, essere lirici senza cadere nel sentimentalismo. Premere sull'acceleratore e sul freno allo stesso tempo non è stato facile, ma comunque molto accattivante. La sua colonna sonora è notevole".
La recente esperienza fatta con il film d'animazione 'La bottega dei suicidi' le è stata in qualche modo utile per questo film?
"Se decido di cambiare spesso genere è per evitare il rischio di annoiarmi. Ma non credo che quell'esperienza abbia influito su questo film, è un ambito totalmente diverso. E’ vero però che mi ha fatto capire quanto io ami girare. Mi sono divertito con il film d'animazione, ma mi è mancato stare sul set".
Pensa di prendersi una pausa?
"Non saprei. Per quarant'anni ho sempre saputo quale sarebbe stato il mio prossimo film, ma penso che questa continua corsa in avanti abbia finito con lo stancarmi. Per la prima volta nella mia vita, ho scelto di terminare le riprese di un film senza sapere cosa farò dopo".
LA REDAZIONE
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