SYNECDOCHE, NEW YORK: PHILIP SEYMOUR HOFFMAN REGISTA TEATRALE ALLE PRESE CON OMBRE E OSSESSIONI PERSONALI
Al Taormina Film Festival 2014
'CELLULOID PORTRAITS' rende Omaggio alla Memoria di PHILIP SEYMOUR HOFFMAN - Dal 61. Festival del Cinema di Cannes e dal Toronto International Film Festival - RECENSIONE - Dal 19 GIUGNO
(Synecdoche, New York USA 2008; commedia drammatica; 124'; Produz.: Lekely Story/Projective Testing Service/Russia/Sidney Kimmel Entertainment; Distribuz.: BIM)
"Una delle cose che trovo eccitanti e piacevoli dell'esperienza di essere uno spettatore è capire delle cose, trovare delle risposte. Quando entri in contatto con un film, quando stabilisci un legame con qualcosa che ti tocca, il film diventa tuo ed è un'emozione molto forte. Quindi il pubblico può andare a cercare il significato di 'sineddoche' se lo desidera. E se lo fa, magari riflette su alcune corrispondenze che possono esserci con il film e forse lo apprezzerà con un livello di comprensione diverso. Trovo tutto questo straordinario... Credo che sia un film divertente. Affronta tematiche emotive molto serie, ma curiosamente a modo suo è anche spassoso. Non è necessario, per esempio, arrovellarsi sul significato della casa che brucia. È una casa in cui abita qualcuno che sta bruciando, è divertente. Puoi leggervi di più se ti rispecchi in quella particolare metafora, ma non è obbligatorio. Mi auguro che il film funzioni a molti livelli diversi e che gli spettatori vi colgano significati differenti in base alla propria personalità ...Mi interessano i sogni e come nei sogni raccontiamo a noi stessi delle storie. Voglio precisare in modo inequivocabile che questo film non è onirico, ma ha una logica onirica. In un sogno puoi spiccare il volo e trovarlo del tutto normale e non è certo la reazione che avresti nel mondo reale. Quindi tutto quello che accade nel film va preso per quello che è: è quello che succede. Non fa niente se nella vita reale non accadrebbe, è un film!."
Il regista e sceneggiatore Charlie Kaufman
Soggetto: PRELIMINARIA - LA LUNGA GESTAZIONE DEL FILM:
Dopo una lunga battaglia legale che ne ha impedito la distribuzione in Italia, il 19 giugno esce finalmente nelle sale il film di Charlie Kaufman Synecdoche, New York.
Bim Distribuzione è orgogliosa di distribuire l’opera prima dello sceneggiatore culto di film come Essere John Malkovich, Confessioni di una mente pericolosa, premio Oscar ® per la sceneggiatura di Se mi lasci ti cancello, rendendo omaggio al suo attore protagonista: Philip Seymour Hoffman, dopo la sua recente e prematura scomparsa.
Il film, presentato al Festival di Cannes e successivamente ad altri prestigiosi festival internazionali, ha ricevuto un grande consenso da parte della critica. Il "Time Magazine" lo ha definito un “film miracolosoâ€, Variety “profondo e calorosoâ€, The Guardian “surreale, acuto, unicoâ€.
Tuttavia, mentre la scenografia della città si espande all'interno del magazzino, la vita di Caden deraglia completamente. In qualche angolo di Berlino, sua figlia sta crescendo sotto la discutibile guida dell'amica di Adele, Maria (Jennifer Jason Leigh). L'incapacità di Caden di chiudere in modo definitivo sia con Adele che con Hazel sta mandando irrimediabilmente a rotoli il suo secondo matrimonio con l'attrice Claire (Michelle Williams). E in più ha grosse difficoltà a rivivere la sua relazione con Hazel, mentre lavora con Sammy (Tom Noonan) e Tammy (Emily Watson), gli attori che ha scritturato per interpretare se stesso e Hazel. L'intricato groviglio dei rapporti reali e teatrali sfuma a poco a poco il confine che separa l'universo della finzione e quello della realtà esistenziale di Caden che si sta progressivamente sgretolando.
Con il rapido trascorrere degli anni, Caden si immerge sempre più profondamente nel suo capolavoro. Mentre spinge all'estremo i limiti dei suoi rapporti personali e professionali, avviene un cambiamento nella direzione artistica quando arriva la celebrata attrice teatrale Millicent Weems (Dianne Wiest) che potrebbe offrire a Caden l'interruzione di cui ha bisogno.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
NEL NUOVO 'GIUOCO DELLE PARTI' DI CHARLIE KAUFMAN, UNO TRA GLI ULTIMI TRAGICI ATTI DI PHILIP SEYMOUR HOFFMAN, CHE VEDONO LA LUCE DOPO LA SUA MORTE. UN'IPERBOLE NICHILISTA CHE, MENTRE AMMONISCE SULL'USO E RESPONSABILITA' DELL'UOMO - ASSOLUTAMENTE INADEGUATO - NEI CONFRONTI DEL BREVISSIMO SPAZIO DI TEMPO CHE GLI E' CONCESSO DI VIVERE, RIMARCANDONE I PASSI PIU' VACUI, PERDUTI TRA UN LABIRINTO DI SENTIERI CHE NON TROVANO VIA D'USCITA, CI RICORDA INDIRETTAMENTE QUANTO E' PREZIOSA QUELLA MINIMALE E INSUFFICIENTE PORZIONE TEMPORALE, UNA VERA E PROPRIA RELIQUIA DEL CUI CONTENUTO CI ACCORGIAMO SOLO QUANDO HA ORMAI BRUCIATO OGNI SUA PARTICELLA. UN PERCORSO ONIRICO-METAFORICO NON FACILE NE' PIACEVOLE, TRA UN PALCOSCENICO E L'ALTRO, LA' DOVE L'ARTE IMITA LA VITA E VICEVERSA.
e sulla morte, passando per un'iperbole spesso confusa e stucchevolmente irritante. Iperbole di cui qui, ma anche in molti altri episodi dei suoi illuminanti trascorsi in celluloide, il superbo Philip Seymour Hoffman, mai compianto abbastanza, è il 'Maestro regista', e non solo per i panni che veste in questa occasione, per l'appunto di regista teatrale. Ruolo che, in una sorta di beffardo gioco del destino (simile a quello condiviso da Heath Ledger con il suo tragico Joker) sembra parafrasare sulla celluloide lo strascicato e sofferto capitolo finale della sua stessa vita reale. Lo stesso superbo epilogo di Synecdoche celebra la morte in una originalissima cornice onirico-metaforica di gran rilievo artistico. Una sequenza che vale cento volte l'intero film, orchestrato ad arte su quel grande palcoscenico che è la vita: vale a dire 'una frazione di secondo', se comparata al tempo infinito che precede la nascita e a quello, che in
perenne attesa di qualcosa che non sempre si fa in tempo a portare a compimento, la posticipa, nell'eternità che contraddistingue il post-mortem.
Non fatevi ingannare dai primi passi di una quotidianità , a sua volta eccentrica e scombinata, di una famiglia già in odore di frantumazione: un canto infantile riecheggia dai titoli di testa prima ancora che abbiamo avuto il modo di conoscere la non proprio fortunata bambina impegnata nella disincantata performance (una deviazione dalle ossessioni di cui è nutrita ogni giorno) e dei suoi squinternati genitori che hanno il volto di Philip Seymour Hoffman per l'autore e regista teatrale Caden Cotard e di Catherine Keener (per lo più incastonata in respiri troppo corti per la sua effettiva apertura polmonare) per l'artista Adele Lackil, pittrice miniaturista. Entrambi di gran talento, ma con le canoniche fisime da artista, più assorbiti dalle rispettive espressioni professionali e dal loro riscontro pubblico che non da
il tempo solitario e piagnucoloso che Caden/Hoffman passerà sul palcoscenico della vita, sui vari palcoscenici teatrali che 'impastano' l'opera magna della sua carriera - almeno è questa la sua massima aspirazione e il suo obiettivo - in un delirio di onnipotenza egocentrico, per quanto inzuppato in un vittimismo che non basta a camuffare una verità altalenante, tra lucidità reale e proiezioni visionarie offuscate dal sogno, là dove gli stessi allestimenti scenografici di una decadenza fatiscente si fanno percorsi metaforici, di stati d'animo così come delle età della vita, in un continua e perpetrante contaminazione tra arte e vita: contaminazione in cui rientrano anche i frammenti di Body Art che interessano la figlia di Caden da adulta e, se vogliamo, lo stesso fuoco, generoso incensatore di fumi, nella casa in cui sceglie di abitare l'ardente Hazel (una superlativa Samantha Morton che ruba scene e anima ad una Emily Watson qui curiosamente
mortificata in un'angusta nicchia). Lo stesso episodio in cui Hazel/Morton ne ritrae un'intossicazione sembra un ulteriore omaggio al Body Art in una delle sue espressioni più estreme: mi viene in mente ad esempio quella condotta da Marina Abramovic in seno ad una delle sue memorabili esplorazioni dei suoi limiti fisici oltre che della sua resistenza psichica, quando, in una delle prime performance, restando in piedi al centro di una stella infuocata, una volta che il fuoco ebbe del tutto consumato l'ossigeno, fu colta da svenimento e venne salvata da un medico presente tra il pubblico. Ma il gioco tra arte e vita nel Synecdoche di Kaufman ha le mille cangianti sfumature dell'arcobaleno e sarebbe quasi impossibile pretendere di essere esaustivi in proposito: si segnalano comunque, tra le altre cose, varie sequenze in cui la Tv trasmette, in animazione, sulla falsariga del coevo The Congress di Ari Folman ancora al cinema,
personaggi in cui si riconoscono le sembianze dello stesso Philip Seymour Hoffman.
In questo languido e insistito 'gioco delle parti' sul palcoscenico della vita ricreato dall'arte con la simultanea messa in scena di più rappresentazioni (vedi gli ambienti dei vari piani dell'edificio sventrato) il nostro sempre più senile e malandato Caden/Hoffman, nel frattempo testimone oculare della morte di molte persone, sarà perennemente teso, ispirato dalla Vita stessa, verso la ricerca del titolo e del finale perfetti per la sua Opera d'Arte. Una sorta di processo auto psicanalitico per conoscere se stesso senz'altro più efficace delle sedute psichiatriche condotte dalla sua avvenente psicoterapeuta (Hope Davis). Ma, Quando si è capito il gioco - tanto per parafrasare ancora una volta Pirandello tallonato dallo stesso Caden di Hoffman quando dice 'forse ho capito...' - il tempo a disposizione è ormai scaduto e, come in alcune delle più potenti sculture che l'artista Michelangelo Buonarroti ha