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    'STANNO TUTTI BENE': L'ORIGINALE AFFRESCO STEMPERATO ALLA FIAMMA DI UNO HUMOUR AMARO DALLA VOCE UNIVOCA E COMPLICE DI REGIA (GIUSEPPE TORNATORE) E INTERPRETE PROTAGONISTA (MARCELLO MASTROIANNI)

    In attesa del REMAKE STATUNITENSE STANNO TUTTI BENE-EVERY BODY'S FINE (2010) in uscita il 12 Novembre riproponiamo l'originale STANNO TUTTI BENE di GIUSEPPE TORNATORE (1990) - RECENSIONE

    Premio della Giuria Ecumenica e Premio SNGCI (Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani) a MARCELLO MASTROIANNI 'Miglior Attore Protagonista' e per il 'Miglior Film in Concorso' al 43. Festival del Cinema di Cannes (1990); David di Donatello 1991: 'Miglior Musicista' (Ennio Morricone) - In DVD

    (Stanno tutti bene ITALIA /FRANCIA 1990; drammatico; 126'; Produz.: Erre Produzioni in coproduz. con Les Films Ariane e TF1 Films Production in associaz.: con Sovereign Pictures e in collaboraz.: con Silvio Berlusconi Communications; Distribuz.: Medusa Film)

    Locandina italiana Stanno tutti bene

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    Titolo in italiano: Stanno tutti bene

    Titolo in lingua originale: Stanno tutti bene

    Anno di produzione: 1990

    Anno di uscita: 1990

    Regia: Giuseppe Tornatore

    Sceneggiatura: Massimo De Rita, Giuseppe Tornatore e Tonino Guerra

    Cast: Marcello Mastroianni (Matteo Scuro )
    Michèle Morgan (Donna sul treno )
    Valeria Cavalli (Tosca )
    Marino Cenna (Canio )
    Norma Martelli (Norma )
    Roberto Nobile (Guglielmo )
    Salvatore Cascio (Alvaro bambino )
    Leo Gullotta (uomo armato sul tetto)
    Ennio Morricone (direttore d'orchestra del Teatro alla Scala di Milano)
    Susanna Schemmari (Angela Scuro)
    Antonella Attili (madre di Matteo)

    Musica: Ennio Morricone

    Costumi: Beatrice Bordone

    Scenografia: Andrea Crisanti e Nello Giorgetti

    Fotografia: Blasco Giurato

    Montaggio: Mario Morra

    Makeup: Maurizio Trani

    Scheda film aggiornata al: 25 Novembre 2012

    Sinossi:

    IN BREVE:

    Un'anziano vedovo siciliano, dopo aver atteso inutilmente la visita dei propri figli in una stazione balneare, decide di far loro una sorpresa, recandosi egli stesso a trovarli. Comincia così un viaggio in treno col quale dovrà attraversare quasi tutto il continente italiano per toccare le città in cui essi vivono: Napoli, Roma, Firenze, Milano.

    IN DETTAGLIO:

    Sicilia. Un anziano padre di famiglia decide di mettersi in viaggio ed andare a far visita ai suoi tanti figli, che ormai da anni abitano sparsi in varie città dell'Italia continentale: Napoli, Roma, Firenze, Milano e Torino. Il suo viaggio è il Viaggio nella memoria del vissuto familiare prima del congedo dal Mondo. Non può non accettare amaramente che i suoi figli sono ora nel mondo e devono accettarne le regole ed i ruoli (di comparsa) ma traspare l'amore del padre che li rivede piccoli, innocenti e grandi (perché sono tutto per lui e sua moglie) ai suoi occhi. Uno dei figli non può più essere da lui rintracciato e, nonostante gli sia nascosta la dura verità dagli altri, si intuisce che egli comprende la verità non detta ricollocandola dolorosamente, nella comprensione totale del genitore verso il figlio, nel corso naturale delle cose della vita (che comprende anche la non accettazione della stessa).

    SYNOPSIS:

    Matteo Scuro is a retired Sicilian bureaucrat (responsible mainly for the writing of birth certificates), a widower with five children, all of whom live on the mainland and hold responsible jobs. He decides to surprise each with a visit and finds none as he imagined. The film is a veritable travelogue across contemporary Italy, as Matteo journeys to Napoli, Roma, Firenze, Milano, and Turino to search for each of his children; he even spends one night on the streets among the homeless. Scuro returns to Sicily, visits his wife's grave, and reports with irony that "stanno tutti bene."

    Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)

    IN UN TITOLO COME QUESTO GIUSEPPE TORNATORE E MARCELLO MASTROIANNI, LEGATI DA UNA COMPLICITA’ PALPABILE FIN DALLE PRIME BATTUTE DEL FILM, HANNO RIPOSTO TUTTA L’IRONIA NECESSARIA A STEMPERARE L’AMARA CONSAPEVOLEZZA DI UNA REALTA’ DIVERSA DA QUELLA PREFIGURATA. REALTA’ INGANNATA SUL FILO DI UN UMORISMO - UNA SORTA DI OTTIMISMO SCARAMANTICO - MIRATO AD ATTUTIRE, SE NON PROPRIO AD ESORCIZZARE, I COLPI BASSI INTUITI O RIVELATI AL PROTAGONISTA NEL CORSO DI UN VIAGGIO VISSUTO REALMENTE QUANTO CONSUMATO SUL FILO DI QUELLA MEMORIA RIEVOCATA CON LA VISIONARIETA’ DELL’AFFETTO PATERNO: QUELLA PER LA QUALE TORNATORE AMA FAR PARLARE MASTROIANNI, NEI PANNI DI MATTEO SCURO, CON I FIGLI ADULTI, VEDENDOLI DI FRONTE A SE’ - E NOI CON LUI, MIRACOLO DELLA CELLULOIDE - ANCORA BAMBINI. UNA COMMEDIA AMARA SULLA DISGREGAZIONE FAMILIARE, LE SCALATE FALLIMENTARI, LE SOLITUDINI E MALINCONIE CHE HANNO MOLTISSIMO IN COMUNE CON I TEMPI NOSTRI

    Stanno tutti bene (1990) di Giuseppe Tornatore

    è uno di quei rari casi in cui regista e primo attore (non uno qualsiasi bensì nientemeno che Marcello Mastroianni) si assistono reciprocamente in una tacita intesa per trasformare una prosa sulla malinconia e solitudine dell’anziano protagonista in lirica allo stato puro. E questo salta agli occhi ancor prima che si apra l’obiettivo sul primo fotogramma. Eh si, perché l’inizio di questo film presentato nel 1990 in Concorso al Festival del Cinema di Cannes - da cui ne è uscito vincitore del Premio della Giuria Ecumenica - è da manuale, con quella risata che riecheggia nel vuoto dello schermo nero ad anticipare il celebre monologo di Matteo Scuro, l’anziano signore che si materializza davanti ai nostri occhi tramite un Mastroianni ‘monumentale’ proprio nel farsi piccolo e fragile, sia pure con un certo orgoglio: dimensione tipica dell’anziano solo e ancorato ai suoi ricordi più cari. Un monologo su cui Tornatore apre

    appena uno spiraglio, come di porta socchiusa, squarciando il buio con una luce che prende tempo prima di avere la meglio sull’oscurità, quasi nel timore di peccare di indiscrezione, di interrompere quell’aura di indicibile intimità che si percepisce nell’aria in cui volteggiano le parole di un’interlocuzione assolutamente riservata, privata quanto, in un certo senso, privilegiata, pervasa di un umorismo amaro: “ssst… mi pare di sentire le cicale… e cicale sono… Buon segno!†- il temporale sui 5 bungalow allestiti in spiaggia del fotogramma successivo sta lì a contraddire prontamente il pugno sul tavolo dato con tanta soddisfazione e speranza un secondo prima, ed è l’imprinting d’avvio con cui Tornatore stabilisce il respiro della pellicola e la sua cadenza.

    Non è tanto l’originalità a colpire - non ci vuole molto a capire chi sia l’interlocutrice assente di Matteo Scuro - quanto la delicatezza dello sguardo con cui Tornatore si accinge ad introdursi

    nel microcosmo di questo anziano signore che sembra conoscere tanto bene, fino a farlo suo, il detto “Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maomettoâ€.

    Possono esistere molte verità su una stessa cosa e, soprattutto quando queste verità suonano scomode, c’è sempre un modo per addolcire la pillola se questa è troppo amara da mandar giù: si può sempre correggerne l’acidità con l’illusione e la speranza che, come è ben noto, è sempre l’ultima a morire. Così al viaggio reale, fisico, si accompagna quello della memoria, quel consuntivo di vissuto all’ombra di una famiglia con prole numero cinque. Un genere di visionarietà cara a Giuseppe Tornatore - tanto da tornarci sopra anni dopo in maniera più decisa con Baarìa, 2009 - così come allo statunitense Rob Marshall che ne riprende il motivo nel suo omaggio felliniano Nine, 2010. Tornatore consente allo spettatore la condivisione della soggettiva dell’anziano protagonista

    che interloquisce con i figli adulti vedendoli ancora bambini, in special modo Alvaro (Salvatore Cascio), il figlio assente che non ha ancora incontrato e che nei suoi momenti di attesa, torna a visitarlo sul filo di quella ‘realtà-visione-illusione’ con cui egli va soppiantando la realtà netta e cruda. Forse proprio perché la realtà netta e cruda, mai dichiarata apertamente da nessuno dei suoi figli, normalmente lontani e assenti com’è, purtroppo, nel corrente stato delle cose - di allora e forse ancor più di oggi - già può sentirla a pelle, proprio sull’onda dello stretto vincolo di sangue che li lega a loro. Quella realtà fatta di piccoli e grandi drammi di una quotidianità intessuta di fallimenti assestati sull’argine della mediocre ordinarietà e del compromesso. Eppure sottesi, tra le griglie di tronconi di vita ormai del tutto scollegati dall’albero maestro, riecheggiano personali rigurgiti di amara solitudine e malinconia nostalgica anche

    da parte dei figli che, nel far buon viso a cattiva sorte di fronte al padre, tradiscono un affetto sincero che sembra ancora sopravvivere e che li spinge dal profondo ad abbracciarlo con rammarico mal celato: per una verità tenuta deliberatamente nascosta a fin di bene e per le rispettive realtà ormai rassegnate sulla sponda dell’attracco più vicino, avendo rinunciato da tempo ad un approdo su lidi più affidabili.

    In tal senso, co-protagonista elettivo finisce per essere il senso di inadeguatezza che li pervade tutti, ognuno a suo modo: da quella del padre di fronte alla freddezza tecnologica di segreterie telefoniche che negano il calore del rapporto diretto, con la sensazione che il mondo possa fermarsi (vedi lo stop di azione innescato da Tornatore per la soggettiva del protagonista), così come di fronte alle incerte attese dei figli che, al suo improvviso arrivo si vedono in qualche modo costretti a

    fare i conti ognuno con le rispettive scomode realtà, indossate a denti stretti.

    Ma Tornatore punta l’obiettivo principalmente sull’anziano Mastroianni, facendosi volutamente complice del suo prismatico viaggio misurato con il metro visionario-surreale delle sue soggettive: viaggio verso i figli in compagnia di quella memoria che da sola può scaldare il cuore e smorzare il sapore fortemente asprigno della consapevolezza una volta aperti gli occhi, pur nell’ostinata negazione solo apparente, su quelle amare e inconfessabili realtà. A quella ‘foto-spettacolo’ di una famiglia ancora unita che accompagna Matteo per tutto il viaggio Tornatore affida il ruolo di cartina tornasole: mostrata con orgoglio a chicchessia all’andata e ritirata prestamente con ritrosia al ritorno, contraddicendo così la sua naturale tendenza, tipica delle persone anziane e sole, a cercare occasioni di dialogo, scandite dal tormentone della sollecitazione altrui alla domanda in ogni circostanza possibile.

    Così se i figli di Matteo Scuro portano i nomi di personaggi

    della lirica, Giuseppe Tornatore, dal canto suo, affida alla conclusione di questo illuminante viaggio note di puro lirismo, accordando piena fiducia alla indiscussa complicità interpretativa di un Marcello Mastroianni qui all’apice di quella maturità professionale che lo ha eletto preziosa ed indelebile icona di ‘protagonismo naturale’ in seno alla cinematografia internazionale.

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