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    Home Page > Cinespigolature > EFFETTO BLADE RUNNER: DECKARD E' UN REPLICANTE?

    EFFETTO BLADE RUNNER: DECKARD E' UN REPLICANTE?

    Con la prima mondiale di 'Blade Runner: The Final Cut' alla 64a Mostra di Venezia, tornano attuali tematiche cruciali del cult movie del 1982

    03/08/2007 - La domanda DECKARD E' UN REPLICANTE? se la sono posta in molti tra cui SCOTT BUKATMAN, Is Deckard a Replicant? in Blade Runner, London 1997, pp. 80ss. (edito da British Film Institute - bfi publishing) di cui si ripropone il paragrafo:

    Questo è forse il punto non compreso da tutti quelli che hanno bisogno di determinare lo staus di Deckard - talvolta sembra che la domanda "Deckard è un replicante?, abbia generato più discussione su Internet che non l'esistenza di Dio. Vorrei sostenere che formulare la domanda è più importante che non determinare la risposta (e, inoltre, che non riguarda Deckard, riguarda noi). Secondo il responsabile del montaggio del film, Terry Rawlings, "Ridley (Scott) stesso può aver sentito in definitiva che Deckard era un replicante, ciononostante, con la fine del film, egli ha inteso lasciare allo spettatore la decisione se Deckard lo fosse o no. Ma è vero che le varie permutazioni di Blade Runner, un film, dopotutto, di squisiti e attenti tocchi visuali, hanno reso questo un mistero da considerare.
    La crisi riguardante la 'condizione' di Deckard è più pronunciata nel romanzo che nell'adattamento cinematografico, come quando Deckard cerca di chiamare i quartieri generali della Polizia e non trova traccia del suo supervisore, del suo ufficio o di se stesso. Questi sono ricordi impiantati? Ad un certo punto, tutti mettono alla prova la condizione di tutti gli altri, e il lettore non ha nessuna idea 'chi' sa cosa su 'chi'. Il romanzo e il film sostengono questa ambiguità riguardo a Deckard: è un umano o un replicante? Alcune allusioni sono divertenti e suggestive, piuttosto che definitive. Leon, che come sappiamo ha un periodo di vita limitato a soli quattro anni, chiede: 'Per quanto tempo vivrò?', ma ora sta per uccidere Deckard: 'Più a lungo di te!' ringhia.
    Nella versione 'Director's Cut', senza il sostegno della narrazione, retrospettiva, rassicurante, Deckard emergeva come un personaggio di più grande complessità. Laddove le sue laconiche spiegazioni lo avevano inquadrato come qualcosa la di sopra di ogni lotta, nella versione 'Director's Cut' egli è chiaramente teso al limite fin dall'inizio. (Deckard) ha lasciato la forza (= il gruppo della polizia costituito dai Blade Runners, i caccaiatori di replicanti): 'ritirare' i replicanti non lo attrae, il suo panico di fronte ai superumani replicanti Nexus 6 è una logica estensione dell'ansia che ora segna il suo personaggio durante tutto il film. Il suo status di umano - fisicamente, psichicamente, moralmente - è sempre più in dubbio. (Deckard) è, semplicemente, 'fuori controllo'. Nessuna voce narrante retrospettiva rassicurante poteva mascherare/nascondere questo fatto più a lungo. Mentre era sostenuto meno enfaticamente qui che nel romanzo, c'erano continue insinuazioni che Deckard potrebbe essere qualcosa di diverso da un umano. Che cosa dire, per esempio, del blade runner che incontra la morte nella scena d'apertura del film? E' una coincidenza che assomigli e parli in maniera sorprendentemente simile a Harrison Ford/Rick Deckard? O sono tutte e due dello stesso modello di Blade Runner? Non è strano che il quartiere generale della Tyrrell Corporation e l'appartamento di Deckard (modellato sulla casa Ennis- Brown di Frank Lloyd Wright del 1923) siano entrambi ispirati dal design architettonico Maya? Perché gli occhi di Deckard risplendono brevemente di un riflesso rosso? E come fa Gaff a sapere del sogno dell'unicorno di Deckard? C'è poco da meravigliarsi, allora, che Deckard sia nervoso fin dall'inizio, e che la sua ansia scivoli così facilmente nella paralisi e nel panico. Il dibattito su Deckard è, in qualche modo, una negazione di che cosa il film offre davvero, che è una doppia lettura: incapacità di decidere. Noel Carrol ha sostenuto che Citizen Kane (= il mitico Quarto Potere di Orson Welles) fosse progettato per supportare due interpretazioni completamente contraddittorie dell'importanza di Rosebud per Charles Foster Kane. Questo è in qualche modo vero anche per Blade Runner. Marvin Westmore, il direttore artistico del trucco per il film, notava che 'molte cose che abbiamo fatto in 'Blade Runner' erano 'può darsi che sia così' o 'può darsi che sia cosà', per mantenersi fedeli al desiderio di Scott di fare un film che fosse più evocativo che esplicito. Fino ad un certo punto, però, lo status di Deckard non è precisato perché nessuno alla fine decise. Alcune versioni del copione facevano di Deckard un androide, altre non sollevavano nemmeno la questione. Scott voleva includere allusioni al fatto che Deckard era un replicante, ma con tutti i cambiamenti e le revisioni, non c'è da meravigliarsi che il pubblico fosse disorientato.
    Uno potrebbe sostenere che nella versione originale, Deckard non è un replicante, ma nella versione Director's Cut lo è. Paul Sammon, l'autore dell'ultimo libro sul 'making of' del film, 'deduce' che nella versione Director's Cut 'Rick Deckard è un replicante'. La risposta sta come per altri, nel 'sogno dell'unicorno' di Deckard, che può connettersi all'origami dell'unicorno che Gaff lascia più tardi nell'ingresso della casa di Deckard.
    Secondo la lista di Blade Runner FAQ (Domande frequentemente fatte) su Internet: 'Gaff ha lasciato l'unicorno fuori dell'appartamento di Deckard perché sapeva che Deckard sognava un unicorno. Se Gaff sapeva che cosa Deckard stava sognando, allora possiamo supporre che Deckard stesso era un replicante, e Gaff sapeva che avrebbe sognato un unicorno'. In altre parola, l'immagine dell'unicorno era impiantata e Gaff lo sapeva.
    Ma, per la mia mente, l'ossessivo desiderio di rispondere alla domanda è sempre sembrato fuorviato. Se Deckard è un replicante, allora qual'è la morale della storia? Il tema della definizione umana è chiaramente - per me - centrale all'opera, e perciò l'ambiguità è cruciale. Molti degli indizi sullo status di Deckard potrebbero essere certo presi metaforicamente. L'unicorno, per esempio, potrebbe facilmente rappresentare Rachael: è, dopotutto, un archetipo.
    La lista delle FAQ (Domande frequentemente fatte) di Murray Chapman ragionevolmente lo ricollega al simbolismo dell'unicorno nello Zoo di vetro di Tennessee Williams, e alla ragazza che era 'diversa dagli altri cavalli'. 'Rachael è (e sempre sarà) una replicante tra gli umani, e sarà differente, come un unicorno tra i cavalli, a causa della sua data di termine'. E quando Rachael chiede a Deckard se abbia mai fatto il test Voight-Kampff, può darsi che non stia facendo una domanda sul suo status letterale di umano, ma sulla sua capacità per l'empatia che la macchina misura.
    D'altra parte, per Slavoj Zisek, filosofo e teorico culturale, le più radicali implicazioni di Blade Runner dipendono dalla condizione rivelata di replicante di Deckard. Blade Runner, egli sostiene, ha valore nel fatto che rappresenta un confronto con il nostro 'status-replicante'.
    Zisek sta scrivendo attraverso la logica (usando la logica) della Psicoanalisi Lacaniana, nella quale l'io non ha mai risieduto tanto completamente in sé stesso quanto il cogito di Descartes implicava o tanto completamente quanto noi lo vogliamo. (Deckard e Descartes sono omofoni, egli nota, un gioco di parole per il quale io darei a Philip Dick il pieno credito).
    Il 'nostro' staus di replicanti non è solo una funzione della nostra costruzione (vecchie notizie, davvero), ma della coscienza del vuoto (il 'gap' tra noi e 'il nostro io') che segue a tale riconoscimento. E' la ovvia conoscenza che i replicanti hanno della loro fabbricazione che li rende la nostra (o di Zisek) 'impossibile formazione-fantastica' (= creazione dell'immaginario).
    Anche prima dell'avvento di cosa è conosciuto coem 'la società dello spettacolo', il cogito era incompleto, ma l'esteriorizzazione della memoria nell'età dell'informazione rende quell'errore fondamentale ancora più evidente.
    I networks computerizzati e i sistemi satellitari rendono l'io 'decentrato' o 'virtuale' nuovamente inevitabile, ma difficlmente lo hanno inventato.
    I replicanti espongono la presuntuosa autoconcezione dell'umano - il mito dell''io' che si sostiene da sé diviene sempre più insostenibile.
    Zisek scrive: 'E' solo quando... lo suppongo il mio status di replicante che io divento veramente un soggetto umano. E' quando riconosciamo il nostro status di replicanti che veniamo faccia a faccia con noi stessi come nell'irresolvibile paradosso: la 'cosa che 'pensa'".

    (Traduzione di COSTANZA SANDRONI)

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