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    RECENSIONE - Dal 28 FEBBRAIO

    "L’avventura di 'Upside Down' è cominciata una mattina, al mio risveglio. Un giorno mi sono svegliato ed ho 'visto' un’immagine: due montagne invertite che si fronteggiavano, una sotto all’altra. Si tratta di un qualcosa che arriva nei miei pensieri sempre sotto forma d’immagine. Niente parole, solo un’immagine, che s’impone e che sostituisce ciò che mi mostrano gli occhi, come un’apparizione. È stato lo stesso per i miei due film precedenti, il cortometraggio 'L'homme sans tête' e il mio primo lungometraggio 'Nordeste'. Questa immagine, con le due vette che quasi si toccano, si è insinuata in me e mi ha affascinato immediatamente. Su ciascuna delle vette, vi erano due esseri. Un uomo, in basso, che guardava verso l’alto, e una donna, che si trovava sull’altra cima con la testa rivolta verso il basso. Ho capito immediatamente che doveva esserci una storia d’amore tra di loro, ma che questo amore sarebbe stato quasi impossibile... Non era solamente una bella immagine, mi rendevo conto che essa trasmetteva delle cose che mi toccavano, riguardanti la mia vita personale. E che, come in 'L’homme sans tête', era un modo per poter parlare della realtà in maniera poetica, metaforica. Creare un altro mondo per poter meglio parlare del nostro. Del resto, non sono altro che un argentino che è fuggito dall’Argentina dei militari e che abita nell’emisfero Nord, quindi vivo Upside Down rispetto ai miei parenti che sono rimasti nell’emisfero Sud. Per me il cinema è, prima di tutto, raccontare una storia attraverso delle immagini. Sono un appassionato delle immagini e dell’immaginario. Questa idea mi offriva una cornice ideale per andare ad attingere dal più profondo del mio immaginario, immagini inedite, nelle quali realtà e inconscio si univano attraverso accostamenti complessi e sempre molto ricchi di significato. Amo il cinema che invita lo spettatore a porsi delle domande e prendere parte alla storia. Amo i film che offrono molteplici gradi d’interpretazione e che ci invitano a fare un viaggio comune, non offrendo semplicemente una visione passiva e pre-digerita. L’idea di 'Upside Down' riuniva tutte queste cose e, come cineasta, m’interessava. Allo stesso tempo, valutavo il lato impossibile, per non dire delirante, di volersi lanciare in qualcosa che fosse anche titanico. Avevo avuto l’esperienza di 'L'homme sans tête' che era stata, nel mondo del cortometraggio, una missione impossibile, durata quattro anni. Perciò, con una buona dose di sana incoscienza, mi sono lanciato nella scrittura. Una cosa mi era chiara: dovevo trovare un mezzo 'umano' per girare il film. Ci tenevo a mostrare un mondo in cui le persone che si trovano 'in piedi' sul soffitto si rivolgono ad altre persone che sono 'in piedi' sul suolo (e viceversa), senza dover ricorrere alla fatidica palla da ping-pong con la quale un attore deve provare a recitare, dando però l’impressione di essere sempre un po’ falso... È comprensibile ma alla fine il film perde la sua anima. È così che mi è venuta l’idea del dispositivo 'master slave': un Dolly interamente computerizzato, con una testa morbida, anch’essa computerizzata, collegata ad un computer che trasmette in tempo reale le coordinate del movimento ad un’altra macchina da presa, fissata su un Motion Control (macchina da presa su braccia robotizzate). Ciò permette di girare con due mezze scenografie e due macchine da presa con un solo e medesimo movimento di macchina. In questo modo, l’operatore, o io stesso, abbiamo la possibilità di inquadrare in un monitor la composizione delle due mezze immagini che alla fine formano una sola e unica immagine! Gli attori possono guardarsi in tempo reale, grazie ad un sistema simile al tele-suggeritore, come quelli che i giornalisti utilizzano in televisione per leggere un testo, solo che qui, al posto del testo, c’è l’immagine dell’altro attore. Questo offre agli attori la libertà di recitare e d’improvvisare. Si dice spesso 'Acting is reacting', cosa che ovviamente non è possibile con la famosa pallina da ping pong. Non c’è niente di pre-calcolato, possiamo «sentire» la scena in funzione del ritmo e della recitazione degli attori. Alla fine si ottiene un risultato 'organico' che dà vita a questo mondo un po’ pazzo, dove le persone camminano sul soffitto, ma che, allo stesso tempo, somiglia tanto al nostro…"
    Il regista e co-sceneggiatore Juan Diego Solanas


    Vai alla scheda completa del Film Upside Down

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