VINCITORE dell'ORSO D'ARGENTO al Festival del Cinema di Berlino 2015; CANDIDATO CILENO per i prossimi PREMI OSCAR come 'MIGLIOR FILM STRANIERO' - RECENSIONE IN ANTEPRIMA - PROSSIMAMENTE
"Sono sempre stato tormentato dal destino di quei sacerdoti che vengono rimossi dai loro incarichi dalla Chiesa stessa, in circostanze sconosciute e allontanati dall’opinione pubblica... Sacerdoti che nessuno sa dove siano finiti, in qualche modo scomparsi. Questi sacerdoti che si sono persi, uomini di fede e leader spirituali, non rientrano più nella sfera di controllo della Chiesa. Sono stati condotti in case di ritiro in totale silenzio. Dove sono quei sacerdoti? Come vivono? Chi sono? Cosa fanno?".
Il regista e sceneggiatrice Pablo Larrain
Sceneggiatura:
Pablo Larrain, Guillermo Calderon e Daniel Villalobos
Soggetto: El Club è il quinto film di Pablo LarraÃn (Fuga, Tony Manero, Post Mortem, No – I giorni dell'arcobaleno, tutti presentati alla Festa del Cinema di Roma in una retrospettiva curata da Mario Sesti).
lo ha sodomizzato quando era bambino. E non solo... La paura dello scandalo e la vergogna portano il colpevole a spararsi un colpo in testa davanti al suo accusatore. Padre Garcia, uno psicologo gesuita integerrimo, arriva nella casa per scoprire la verità sull’accaduto. Ma anche lui commetterà un peccato. Di omissione. Gravissimo.
LarraÃn realizza una pellicola disturbante e bellissima, che sin dalla fotografia cupa e nebbiosa mette in scena la foschia della chiesa cattolica moralmente piegata e piagata da corruzione, peccati, violenze, morte. Un’opera che racconta della blasfemia verso quei sacri ideali e dogmi da parte degli stessi ideologi che li rappresentano, o dovrebbero. La Boca, il luogo dove è ambientata la vicenda, sulle sponde dell’oceano, è tanto bella quanto ambigua, come il gesuita che compie le indagini, che cerca di trovare una soluzione all’intera questione: nonostante si presenti come la figura della nuova chiesa, alla fine è l’insabbiatore perfetto. Ed
anche qui l’ambiguità della risoluzione, la ricerca di una pace finale, ma che passi sotto silenzio, sembra altrettanto inquietante e terribile.
C’è poi la monaca, deus ex machina luciferino, crudele gratuitamente, faccendiera. È palese quando pulisce le scale del sangue dell’uomo che si è suicidato, o quando uccide un cane per far ricadere la colpa su Sandokan, il giovane vittima di abusi, che ora non ci sta più con la testa. El club non parla però soltanto di pedofilia, parla di politica e morale, di un Paese, come quello cileno, che ha coperto e soffocato omicidi e soprusi di ogni genere, in particolare durante la dittatura negli anni Settanta. È un film di una cattiveria mostruosa, che colpisce allo stomaco, ma non si lascia andare alle lacrime, asciutto come non mai, non c’è spazio per i sentimenti quando i sentimenti e l’amore non ci sono. Per certi versi è un
El club, di cui non è ancora certa la data di uscita in sala, e si spera non venga invischiato nelle maglie censorie della chiesa e nelle polemiche che sicuramente la proiezione italiana scatenerà sui mezzi di comunicazione di massa più istituzionali legati, è un film di cocente bellezza, che non deve essere perso. Un film manifesto senza la retorica del genere, senza l’estetica del cinema d’inchiesta. Quasi poetico nella sua violenza morale e psicologica. In un tempo in cui
la tematica è stata lungamente analizzata attraverso altri film e documentari (si pensi alla lunga filmografia irlandese ad esempio, Angeli ribelli o Calvario, o al documentario di Alex Gibney, Mea Maxima Culpa: Silenzio nella casa di Dio), El club si rivela il film più bruciante e onesto sul tema.
Commenti del regista
"Ho avuto il privilegio di poter contare su un gruppo di attori straordinari. Attori che ho ammirato per tutta la vita e con molti dei quali avevo già lavorato prima. In quasi tutti i casi, la sceneggiatura che ho scritto con Daniel (Villalobos) e Guillermo (Calderón) è stata concepita avendo in mente questi attori, il che ci ha permesso di creare personaggi precisi, pericolosi e straordinariamente misteriosi".