Marlon Brando, i 100 anni del divo eretico di Hollywood. Dall'Actors Studio all'Oscar per il Padrino tra trionfi e cadute
30/03/2024
- Cento anni fa, il 3 aprile 1924 a Omaha, nel Nebraska, nasceva il terzogenito del produttore di pesticidi e materie chimiche Marlon Brando Senior. Il bambino aveva lo stesso nome del padre che detestò per tutta l'infanzia; per distinguersi si faceva chiamare Bud, finché col nome di Marlon Brando divenne celebre cancellando così la memoria del papà. Il figlio considerava invece la madre Dorothy la sua musa e il suo più grande amore, tanto da ammettere che recitava soltanto per avere la considerazione della "sua" Dorothy.
Cresciuto tra la California, l'Illinois, il Minnesota (dove si fece cacciare dall'accademia militare) Brando approdò nel 1943 a New York, si iscrisse ai corsi di recitazione di Stella Adler nella Dramatic Workshop di Erwin Piscator, dove rimase folgorato dal Metodo Stanislavskij, affinato poi all'Actors Studio di Lee Strasberg. Appena un anno dopo, Marlon debuttava a Broadway nella commedia "I Remember Mama" e, a guerra appena conclusa, si confermò in "A Flag is Born" di Ben Hecht. Aveva già idee ben chiare anche in politica (per sostenere il nascente stato di Israele si impegnò a lavorare al minimo sindacale) e il teatro lo amava, come confermò il suo successo personale in "Un tram che si chiama desiderio" da Tennessee Williams. Il passo al cinema fu breve e nel 1951 Elia Kazan lo volle per la versione hollywoodiana della commedia.
Fisico atletico, sguardo magnetico, testosterone a mille, Brando divenne una star. Iconici i ruoli da "Viva Zapata" a "Giulio Cesare" (in cui giganteggia nella parte di Marc'Antonio) a "Il selvaggio" (giubbotto di pelle e motocicletta in bella mostra). Nel 1954 aveva già alle spalle tre candidature all'Oscar, traguardo raggiunto nel '56 con "Fronte del porto" a fianco di Rod Steiger. I film successivi non sono tra i più belli della storia del cinema: in "Desirée" Brando costruì un improbabile Napoleone a sua immagine e somiglianza, in "Bulli e pupe" provò senza grande convinzione a cantare e ballare, in "Sayonara" (10 nomination) e ne "I giovani leoni" fu soltanto professionale, in "Pelle di serpente" lavorò soprattutto su nevrosi e depressione. Eppure era ormai un modello indiscusso e una garanzia di successo, confermato nel 1962 dal trionfo di "Gli ammutinati del Bounty". Su quel set incontrò la tahitiana Tarita Teriipia sposata poco dopo.
Imbolsito, depresso, rintanato nel suo buen retiro a Tahiti, Marlon Brando sembrava finito per sempre. Venne in suo soccorso il cinema italiano con "Queimada" di Gillo Pontecorvo e "Ultimo tango a Parigi" di Bernardo Bertolucci. Proprio il carisma costruitogli dal cinema europeo convinse Francis Ford Coppola a battersi contro la Paramount per averlo nella parte di Don Vito Corleone ne "Il Padrino". Il risultato fu l'Oscar come miglior attore nel 1973. Da segnalare anche il ruolo Colonnello Kurtz in "Apocalypse Now", nuovamente con Coppola alla regia. Poi, in un vortice autodistruttivo, Marlon Brando si trascinò fino alla morte per enfisema polmonare il 1 luglio 2004.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA
(ANSA CINEMA)
|