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    Home Page > Ritratti in Celluloide > L'intervista > ROWAN ATKINSON E' DI NUOVO, ORGOGLIOSAMENTE, 'MR. BEAN' IN 'MR. BEAN'S HOLIDAY'

    L'INTERVISTA

    ROWAN ATKINSON E' DI NUOVO, ORGOGLIOSAMENTE, 'MR. BEAN' IN 'MR. BEAN'S HOLIDAY'

    05/04/2007 - ROMA, VILLA DEL CEDRO: 3 aprile 2007 - PRESS CONFERENCE & Dintorni - ROWAN ATKINSON presenta MR. BEAN’S HOLIDAY

    Mr. Bean’s Holiday, film in uscita il prossimo 6 aprile, che vede di nuovo protagonista ROWAN ATKINSON nelle vesti del mitico Mr. Bean, ha sbalzato dal podio del box office persino il film 300, tanto è stato il successo di pubblico internazionale riscosso dal ‘ritorno di Mr. Bean’, a dieci anni di distanza dal debutto sul grande schermo dopo il lungo iter televisivo. Giunto a Roma per la presentazione ufficiale del film Mr. Bean’s Holiday, l’attore inglese Rowan Atkinson ne parla molto volentieri e ampiamente con la stampa, approfondendo alcuni aspetti di questo amatissimo personaggio:

    Che cosa ha spinto Rowan Atkinson a riprendere la ‘divisa’ di Mr. Bean? Che cosa la divertiva di questo personaggio

    ROWAN ATKINSON: “Quando sono venuto quattro anni fa per presentare ‘Johnny English’, all’epoca, pensavo di poterne fare anche un sequel. Però poi mi sono detto: ‘Perché mai?’ E’ molto tempo che non abbiamo riportato sul grande schermo Mr. Bean! E ho fatto questa riflessione perché di solito i sequel avvengono a una distanza di due anni dall’uscita dei film originali e qui ne sono passati addirittura dieci. Ed ecco la prima spiegazione del fatto che a questo film abbiamo dato il titolo di ‘Mr. Bean’s Holiday’ e non ‘Mr Bean 2’, perché probabilmente se lo avessi fatto voi vi sareste chiesti: ‘Ma allora? Che cosa era ‘Mr. Bean 1’? Era passato troppo tempo e alle volte la memoria fa degli scherzi”.

    Mr. Bean’s Holiday è una bella commedia con una sceneggiatura ben costruita. Come vi avete inserito ‘Mr. Bean’ che parla poco e attraverso degli equivoci? Come ha curato il personaggio? Come ha funzionato l’architettura dello script in relazione al personaggio?

    R. A.: “Come persona io seguo ogni singola fase del processo creativo - quindi della pre-produzione, della produzione e della post produzione - e naturalmente la prima fase in assoluto è quella della sceneggiatura. Io non ho mai affermato di essere uno scrittore a tutto tondo ma quello che faccio è in qualche modo guidare chi scrive, soprattutto perché io posso essere considerato forse il vero esperto di Mr. Bean, perché posso affermare di conoscerlo molto bene. In questo caso specifico, sia gli sceneggiatori che il regista non avevano una storia pregressa di frequentazione con Mr. Bean, quindi io ho cercato di dare il mio contributo dicendo quali secondo me avrebbero potuto essere le scene e le situazioni divertenti, comiche, quelle che avrebbero funzionato per Mr. Bean, e quelle che invece non avrebbero funzionato. Quindi, in questo senso, io ho dato il mio contributo da esperto… Una caratteristica molto importante che differenzia i film di Mr. Bean da qualsiasi altro film è che diversamente da quanto accade negli altri film, là dove oggi giorno le prove sono ridotte al minimo e quando ci sono possono essere al massimo due o un giorno, nel caso di Mr. Bean non è un processo sequenziale, cioè prima la sceneggiatura e poi le prove, è un processo contemporaneo. E questo perché effettivamente tutto viene provato, discusso. Ad esempio, il primo giorno di prove, esisteva soltanto una frase: ‘Mr. Bean va in vacanza’. E su quella frase si è cominciato a discutere: dove avrebbe potuto andare in vacanza, quali potevano essere le situazioni nelle quali si sarebbe venuto a trovare, che cosa avrebbe fatto, chi avrebbe incontrato. In questo modo con le prove e con uno scambio di idee, uno scambio creativo, anche la sceneggiatura prende corpo. Quindi da una frase si passa a tre paragrafi, a dieci scene, a cento pagine e finalmente si arriva ad una scenegiatura definitiva”.

    Vedendo questo film, che è ambientato in Francia, osservando una certa gestualità, viene in mente Jacques Tati. E’ stato per lei una fonte di ispirazione? E poi, con quali aggettivi definirebbe il personaggio di ‘Mr. Bean’?
    R. A.: “Certamente non posso che riconoscere che Jacques Tati è sempre stato una presenza nel mio subconscio molto forte. Anzi, vi racconto che quando avevo diciassette anni ed ero il responsabile della Biblioteca Cinematografica della mia scuola - era il tempo in cui andavano delle ‘pizze’ enormi, proiettate con il proiettore - io ho passato un intero wekeend a godermi ‘Le vacanze di Monsieur Hulot’ e questo naturalmente è rimasto molto vivo nei miei ricordi. Ed è stato un po’ come se avessi aperto una porta su un giardino segreto. Però è anche giusto che io affermi ‘non vorrei che Mr. Bean fosse scambiato per una copia di Monsieur Hulot’, perché Mr. Bean è un personaggio completamente diverso e, a proposito degli aggettivi che meglio possono qualificarlo, direi che Mr. Bean è molto più vendicativo di Monsieur Hulot, è molto più aggressivo, egoista, ama essere al centro dell’attenzione, ed è, soprattutto, più bambinesco, se vogliamo, rispetto al personaggio portato sullo schermo dal grande comico francese. E uno dei requisiti quando si è iniziato a scrivere la sceneggiatura, è stato che Mr. Bean dovesse andare in vacanza, qualsiasi fosse il luogo, Spagna, Francia, Italia, Germania, ma in un luogo dove non conoscesse le lingue e quindi potesse parlare ancor meno di quanto aveva parlato nel film precedente. Questo era tassativo come requisito. Poi il nostro sceneggiatore Simon (McBurney), è un francofilo, ha vissuto in Francia a lungo e alla fine siamo approdati in Francia”.

    Da quando è uscito il film Borat si è tornati a parlare di comicità ‘politicamente scorretta’… Qual è la sua opinione in proposito?

    R. A.: “Innanzitutto devo dire che mi è piaciuto moltissimo ‘Borat’. Io come attore e come persona amo molto la comicità degli attori che riescono ad entrare proprio nella pelle del personaggio, un personaggio che peraltro da un punto di vista di personalità è assolutamente diverso da quello che è l’attore che lo interpreta. E questo perché in questo modo si può investire il nostro personaggio di una fisicità e di una comicità molto accentuata, molto diversa… La comicità nel caso di Mr. Bean, e mi auguro che concordiate con me, è piuttosto una comicità che va al di là del tempo specifico in cui ci troviamo. E questo perché Mr. Bean in fondo è un bambino di dieci anni, un bambino però che ha una verve e una vis comica a livello internazionale. E certamente quello che ci appare chiaro è che non ha alcun interesse intellettuale, né ha alcun interesse politico, ma neanche nel sociale sembra essere in qualche modo coinvolto, ed è poco verbale, si esprime poco con le parole, tanto è vero che noi raccontiamo una storia che è essenziamente raccontata attraverso le immagini. Ed è forse la bellezza del personaggio. Questo ci consente di far sì che lui non sia caratterizzato per un tempo o un’era specifica. Credo che si troverebbe traquillamente bene e a proprio agio sia che fosse in un contesto degli anni Cinquanta, Settanta, Novanta o Duemila e venti, proprio perché non ha alcun tratto che lo possa caratterizzare da un punto di vista di epoca contemporanea. Ed è anche questa la ragione per la quale io non ho avuto esitazioni né preoccupazioni a rientrare nei panni di questo personaggio dieci anni dopo l’uscita del primo film. E questo perché ero certo che non ci fosse pericolo che fosse percepito come un Mr. Bean che aveva perso il ritmo dell’evoluzione della comicità contemporanea. E’ difficile, per tutto quello che ho detto, cercare di dare una caratterizzazione di politica, corretta o scorretta che sia, a Mr. Bean, perché lui non è interessato neanche alla nazionalità dei personaggi che incontra. Avete visto, ‘avrebbe trattato nello stesso modo sia un signore del Lussemburgo che un tedesco, uno spagnolo, esattamente come ha fatto con i francesi’… E, d’altra parte, Mr. Bean fa sempre le cose sbagliate, almeno dal punto di vista di un adulto. Considerando che lui invece è ancora un bambino nel cuore, è chiaro che l’interpretazione viene data da questo punto di vista, però non posso dire che coincida con quello che per me significa essere ‘politically incorrect’. Posso forse definirlo come un ‘socialmente incorrect’”.

    Quanta improvvisazione c’è in questo film?

    R. A.: “Come vi dicevo, l’improvvisazione c’è ed è ricca ma soprattutto nella fase delle prove che precedono le riprese, e questo avviene molti mesi prima. Invece, nel giorno della ripresa specifica direi che ce n’è ben poca. Io poi sono più un attore che è tendente all’improvvisazione visiva piuttosto che verbale, però, ripeto, il giorno delle riprese, so, direi con una buona approssimazione, che cosa farò. Certo poi ci sono moltissime cose che solitamente quando si dà il primo ciak sono diverse da quello che uno si aspetta, magari il rapporto con l’altro attore o la location, o qualsiasi altro dettaglio, però lì ci si adatta e si dà comunque una performance che si spera sempre sia la migliore possibile”.

    Per caso si è sentito mai prigioniero del ruolo di Mr. Bean?

    R. A.: “Per la verità no, mi sento perfettamente a mio agio con questo personaggio perché non mi sopraffà, non mi sento né costretto, né limitato. Io felicemente rivesto i suoi panni, mi metto questa sua pelle ma altrettanto felicemente me la tolgo senza alcuna difficoltà. Ed è per questo che mi piace vestire questi panni. E’ un personaggio assolutamente divertente, interessante. Certo, se fosse stato più noioso, tendente anche a sovrastare la mia personalità, la storia sarebbe andata diversamente. Però è anche vero che io, in Gran Bretagna, ho avuto la possibilità di rivestire ruoli diversi, alcuni dei quali sono stati di grande successo tanto quanto Mr. Bean e quindi io non sono conosciuto solo come Mr. Bean. Forse questa mia assimilazione può essere più vera al di fuori dei confini britannici, per altri Paesi, dove Mr. Bean è stato un grande successo e forse dove c’è maggiore difficoltà ad accettarmi in altri ruoli. Però sostanzialmente non ho avuto alcuna difficoltà e non mi sento limitato dal personaggio”.

    Che rapporto ha Mr. Bean con l’amore, con le ragazze? Lo vedremo mai mettere su famiglia?

    R. A.: “In realtà due anni fa quando la sceneggiatura era ancora in corso di definizione, il titolo provvisorio era proprio Mr. e Mrs. Bean (Il signore e la signora Bean). Doveva essere una commedia romantica con un lieto fine e Mr. Bean si sposava. Poi abbiamo fatto delle considerazioni, che cioè c’erano forse troppe commedie romantiche e soprattutto che non avremmo potuto dare un contributo nostro particolare, unico, facendo qualcosa di diverso e soprattutto di più adatto al personaggio di Mr. Bean che, lo ripeto, io vedo più come un bambino, un ragazzo. E, per quanto mi risulti, i ragazzi non si sposano ancora. Per concludere, per me Mr. Bean è in fondo un personaggio asessuato. Mi troverei un po’ in difficoltà a pensarlo invece coinvolto in situazioni d’amore. Per me Mr. Bean è questo”.

    Ancora a proposito delle fonti di ispirazione, oltre a Jacques Tati, si dice che abbiate rispolverato il cinema muto in generale, come ad esempio anche quello di Charlie Chaplin e Buster Keaton. Che cosa avete visto in particolare e che cosa vi ha ispirato? Esiste una qualche affinità con altri protagonisti di quello storico capitolo di cinema?

    R. A: “Parliamo quindi di fonti di ispirazione. Certo, tutto poi rimane nella nostra anima, lascia un segno anche se nel subconscio. Però io devo dire che non avevo una grande conoscenza del film muto hollywoodiano, dei grandi attori del film muto hollywoodiano. Gli unici che conoscevo abbastanza bene erano (Stan) Laurel e (Oliver) Hardy, e Chaplin, naturalmente. Però ad esempio, fino alle prove per questo film io non avevo mai visto nulla di Buster Keaton, per cui non posso affermare di conoscerlo bene e né che mi abbia poi influenzato in maniera particolare. Mentre Jacques Tati è sempre stata una presenza molto importante perché io sono convinto che il cuore della comicità non sia dato dalla velocità. Perché, diversamente da Jacques Tati, la nostra comicità nel film non è così dilatata, è piuttosto tenuta su ritmi stretti, ma proprio Jacques Tati dimostra che invece si può essere altrettanto divertenti, altrettanto comici, raccontando una battuta con un tempo più lungo, così come fa lui. E c’è proprio una parte dove Mr. Bean è sulla strada e sta cercando disperatamente di fare l’autostop, nella quale anche voi vi accorgerete che abbiamo dilatato il tempo. E questa è chiaramente un’ispirazione. Però diciamo che per me è importante soprattutto sottolineare che la comicità è una questione di ritmo. Che sia un ritmo veloce o un ritmo lento, però bisogna che ci sia un ritmo costante. Forse Chaplin e Keaton possono essere definiti un po’ più come comici di una ‘comicità acrobatica’, molto fisica, e io non credo di essere così acrobatico, forse sono più del tipo Jacques Tati”.

    E se Mr. Bean fosse venuto in vacanza a Roma?

    R. A.: “Purtroppo non conosco bene Roma da un punto di vista geografico e fisico, quindi è difficile poter immaginare qualcosa di preciso per rispondere alla sua domanda. Però è anche vero, proprio per quello che ho detto prima, che Mr. Bean funziona dovunque e in qualsiasi tempo. Certo, a Roma potrebbe trovarsi a sfruttare una situazione come il traffico romano ma potrebbe anche essere un rubinetto che non funziona, una qualsiasi sfida comica, un qualsiasi problema potrebbe diventare per Mr. Bean una situazione comica. Noi siamo andati in Francia perché, come vi dicevo, era un paese che conoscevamo meglio: lo sceneggiatore lo conosceva in maniera approfondita e anche perché fisicamente è più vicino all’Inghilterra, ma avremmo potuto tranquillamente venire in Italia. In realtà, il succo della risposta è che Mr. Bean dovunque vada, si trova a doversi confrontare con una cultura che non conosce, con persone che parlano una lingua diversa e quindi è da lì che poi la storia si evolve, e avrebbe potuto essere Roma così come Parigi”.

    Lei ha dichiarato che questa è l’ultima avventura di Mr. Bean, quindi non avremo mai un terzo atto?

    R. A.: “E’ vero che non bisogna mai dire mai. Diciamo che è improbabile che io vesta nuovamente i panni di Mr. Bean per una considerazione anche molto pratica. Ed è questa. Mr. Bean ha una sua comicità molto fisica, molto gestuale, e devo dire che rientrare nei suoi panni a dieci anni di distanza dal primo film non è stato per niente più semplice di quello che fu dieci anni fa e quindi immagino che con il passare del tempo, proprio per la fisicità che viene richiesta dal personaggio, da qui a cinque o altri dieci anni, sia ancora più difficile. Quindi la ragione vera è che se non si ha la possibilità di interpretarlo con la forza e la fisicità che il personaggio richiede, probabilmente non si farebbe un buon servizio a Mr. Bean stesso, e quindi diciamo solo che è improbabile, non diciamo, mai”.


    (A cura di PATRIZIA FERRETTI)


     
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