I ‘RECUPERATI’ di ‘CelluloidPortraits’ - RECENSIONE - Dal Festival di Cannes 2021 (in anteprima mondiale) nella sezione 'Un Certain Regard' - Il primo film in cui Noomi Rapace recita in islandese, lingua che ha imparato mentre viveva in Islanda da bambina - Dal 31 Marzo
(Lamb; ISLANDA/SVEZIA/POLONIA 2022; dramma horror; 106'; Produz.: Black Spark Film & TV, Go to Sheep, Madants; Distribuz.: Wanted Cinema)
Il film racconta la storia di una coppia, formata da MarÃa (Noomi Rapace) e Ingvar (Hilmir Snaer Gudnason), che vivono in una remota fattoria immersa nella fredda natura islandese, dove accudiscono il loro gregge e lavorano la terra.
Un giorno i due rinvengono un neonato in un loro campo agricolo e non sanno come mai si trovi lì da solo. Non avendo figli, ma allettati dalla prospettiva di una vita familiare, Maria e Ingvar decidono di tenere il piccolo con loro. Non sanno che il loro momento di gioia è destinato a finire e li porterà alla completa distruzione...
Ce ne rendiamo conto fin dai primissimi fotogrammi che la natura è la protagonista dominante. Tanto dominante da condizionare animali e persone. Dalla mandria di cavalli allo stato brado nella ripresa in progress che da lontano li avvicina sempre più, alle capre dentro e fuori dall’ovile, che speciali primi piani dotano di una personalità e di una spiritualità sottese. I tempi sono dilatati tanto quanto l’orologio rurale nella scansione di una quotidianità ripetitiva e dolente che sa farsi direttamente cinema, senza sconti. Un cinema di meditazione dunque, e di pensieri silenti trattenuti, lasciati in sospensione tra un passato mai pienamente rivelato e un presente raccolto e vissuto per quello che è. Ma per quanto lasciato nell’ombra, il mistero, qualcosa o qualcuno di oscuro, aleggia nell’aria fin dall’inizio, e chi sa attendere, troverà nella tardiva rivelazione, una sorpresa alquanto sconcertante. Al di là della rivelazione, arriva presto però il momento di
demarcazione tra il presente reale e il surreale, che affiora dalla naturalezza del parto di una capra assistita da Maria: Noomi Rapace è sempre all’altezza di situazioni e di sentimenti a dir poco inconsueti. E quel che diventa sostegno morale per lei - un po' meno per il marito Ingvar (Hilmir Snaer Gudnason) che passivamente accetta - che vede l’evento come un nuovo inizio, per noi è il momento in cui si intensifica lo sconcerto, con conseguenti domande a grappolo che non trovano risposta, almeno non nell’immediato, e di certo non senza il ricorso a quella sfera mitologico-metaforica che appartiene alle leggende folk di stampo nordico, venate di una calibrata componente di horror.
E’ questa l’opera prima del regista islandese Vladimir Jóhannsson, uno che sembra conoscere bene la sua terra e come filmarla dal suo interno più profondo, laddove include gli istinti umani ed animali più ancestrali. E
questo malgrado la civiltà che pur trasuda da TV, libri e musica, intrecciata con la dimensione contadina di stampo nordico. Di questo si nutre il suo spettacolo, con la sua bellezza ma anche il suo orrore, mixati ad una voragine di solitudine e disperazione. Il suo è un cinema di simboli, che devono bastare ad una narrazione tanto dilatata quanto essenziale, quasi scarnificata, a dispetto della scansione narrativa in capitoli che potrebbe preannunciare il contrario. Per questo al posto dei possibili flashback, troviamo una piccola croce in mezzo ad una distesa innevata, così come si preferisce solo ammiccare, ad un risvolto narrativo che ci apparirà più chiaro in seguito. E’ quanto ci è concesso sapere del lutto di un passato oscuro e privo di gioia, cui oggi viene in soccorso un ibrido, normalmente inaccettabile per chiunque. Eppure, è tutto nel titolo, che poi è una sola parola, Lamb, agnello. E,
a pensarci bene, in quella unica parola, c’è un mondo intero, e basta a se stessa, così come all’intera storia e al microcosmo dei suoi personaggi. Una sola parola cullata da sontuosi brani musicali, la più alta sceneggiatura di quei desolati silenzi, in odore di una tragedia non propriamente annunciata.
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)