AMOUR: IL MAESTRO MICHAEL HANEKE TORNA SULLA CROISETTE DOPO LA VITTORIA DELLA PALMA D'ORO PER 'IL NASTRO BIANCO' CON LA MUSA PREDILETTA ISABELLE HUPPERT E IL CELEBRE ATTORE FRANCESE JEAN-LOUIS TRINTIGNANT (IN COPPIA CON EMMANUELLE RIVA) PER UN DRAMMA D'AMORE
VINCITOREOSCAR 2013: 'MIGLIOR FILM STRANIERO' (Austria) - VINCITORE di 5 PremiCESAR 2013 ('MIGLIOR FILM', 'MIGLIOR REGISTA' e 'MIGLIOR SCENEGGIATURA' per MICHAEL HANEKE, 'MIGLIOR ATTRICE' per EMMANUELLE RIVA e 'MIGLIOR ATTORE' per JEAN-LOUIS TRINTIGNANT) - VINCITOREGLODEN GLOBES 2013: 'MIGLIOR FILM STRANIERO' - 5 NOMINATIONOSCAR 2013: 'MIGLIOR FILM'; 'MIGLIOR FILM STRANIERO'; 'MIGLIOR REGISTA' (MICHAEL HANEKE); 'MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE'; 'MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA' (EMMANUELLE RIVA) - 'CELLULOID PORTRAITS' ha eletto AMOUR 'FILM DELL’ANNO 2012' - BEST EUROPEAN FILM at EUROPEAN FILM AWARDS 2012 (EFA 2012): 'MIGLIOR FILM', 'MIGLIOR REGISTA' (MICHAEL HANEKE), 'MIGLIOR ATTORE' (Jean-Louis Trintignant), 'MIGLIORE ATTRICE' (Emmanuelle Riva) - RECENSIONE - VINCITORE della PALMA D'ORO al 65. Festival del Cinema di CANNES (16-27 Maggio 2012) - Dal 25 OTTOBRE
"Questo è un film molto semplice. Non volevo fare una pellicola che rifletteva sulla società . Sono partito dal fatto che prima o poi nella vita bisogna confrontarsi con la sofferenza di qualcuno che ami".
Il regista e sceneggiatore Michael Haneke
La storia d’amore di una coppia oltrepassa ogni limite e convenzione, fino alle conseguenze più estreme.
SHORT SYNOPSIS:
Georges and Anne are in their eighties. They are cultivated, retired music teachers. Their daughter, who is also a musician, lives abroad with her family. One day, Anne has an attack. The couple's bond of love is severely tested.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
TERRIBILE! L'AFFRESCO IPERREALISTA DI MICHAEL HANEKE, DECLINATO SULL'ADAGIO LENTO DI UN AMORE SBARCATO SULLA LANDA DESOLATA, SCOMODA E SCIOCCANTE DI VECCHIAIA E MALATTIA, SI MOSTRA SUPERBAMENTE DEVASTANTE. JEAN-LOUIS TRINTIGNAT ED EMMANUELLE RIVA ANNULLANO LA NATURA DI ATTORE PER INCARNARE QUELLA DELL'ESSERE
Terribile! Se dovessimo trovare un aggettivo per sintetizzare Amour, il nuovo dramma, vincitore della Palma d'Oro al 65. Festival del Cinema di Cannes, del regista austriaco Michael Haneke (già Palma d'Oro a Cannes anche per la precedente pellicola Il nastro bianco, 2009), potrebbe essere, semplicemente, 'terribile'. Non certo per difetto, bensì, paradossalmente, per l'indubbio pregio autoriale - che non è d'altra parte nuovo per questa regia - di un film sconvolgente dall'alto della sua compressa pacatezza e gentilezza: un pugno nello stomaco da incassare in tutto silenzio e senza lamentarsi troppo se a distanza di tempo fa ancora male. Terribile fin dall'inizio, e altresì scioccante: risultato ottenuto per contrasto, tra
la prima scena che irrompe sull'assoluto silenzio su cui pochi istanti prima erano sfilati i titoli di testa, in bianco su fondo nero opaco.
Terribile è il tema toccato, vecchiaia con malattia, cui Haneke guarda ed obbliga lo spettatore a guardare, facendo tabula rasa di tutto ciò che completa normalmente la vita e che ora, in quel contesto, diventa orpello ingombrante ed inutile. E si fa ovviamente tabula rasa del mondo esterno: tutto scompare in virtù di un'assimilazione integrale di una malattia inesorabile nel fiore della vecchiaia, raccolta ai suoi inizi e tallonata con implacabile e disilluso sguardo da una m. d. p. che mentre ne registra l'intima natura, farcita di una devastazione fisica e mentale in progress, si affianca alla altrettanto devastante e sconvolgente condivisione da parte della coppia di coniugi cui questo impietosissimo sguardo è rivolto: il coniuge 'paziente' e il coniuge 'assistente'. Due persone (stupendo il piano sequenza
in campo lunghissimo con cui Haneke ce le presenta) che vivono sulla pelle un tracollo improvviso che non fa che consumare a fuoco lento i protagonisti così come lo spettatore, in virtù di un genere di sguardo a cui Haneke non permette in alcun modo di sottrarsi, forte di uno stillicidio in soggettiva, sul campo ristretto (quando non ristrettissimo come i dettagli paesistici di un quadro in cui perdersi) delle poche stanze di un appartamento, già testimone oculare di una serena ed intima esistenza coniugale all'ombra di musica, arte e cultura nel senso più elevato e pieno del termine, l'autentico nervo della vita che finisce per dominare la stagione autunno/inverno dell'esistenza umana.
più intime reazioni di queste due affiatatissime persone. E altresì terribile è quel poco di interrelazione umana che ancora resta ai due anziani: l'ex allievo concertista, la figlia Eva (Isabelle Huppert), le infermiere di necessità , là dove Haneke appunta sequenze particolarmente laceranti che si completano con il licenziamento di una di loro. Ecco, da questo genere di 'sguardo' nasce e si sviluppa un diagramma di quotidiana, sofferta sopravvivenza, almeno fin dove è concesso, là dove ogni momento, ogni piccola cosa, altrimenti insignificante, diventa di capitale importanza, la piccola porzione che si identifica con il tutto. Che potrebbe essere il tutto di un niente, se non fosse che dal fondo di questa terribile e devastante realtà congiunta, ha il coraggio di farsi avanti un'intimità a suo modo 'poetica' che, temerariamente, spudoratamente e rabbiosamente, non vuole saperne di lasciare la ribalta e tenta di affiancarsi al groviglio di inevitabile desolazione, ancora rabbia
e una buona dose di cinismo, mai esternati apertamente, se non con lancinanti silenzi. Quel che finisce per dare un senso pieno a quell'AMOUR del titolo che altrimenti potrebbe assimilarsi più ad un trabocchetto, ad falso indizio che non ad una verità cui la pellicola ha promesso di dar corpo e anima.
E ancora terribili, di una bravura che sfora le note del più ardito dei pentagrammi, si dimostrano le performance di Jean-Louis Trintignant nei panni dell'anziano Georges e di Emmanuelle Riva in quelli di sua moglie Anne, là dove l'attore scompare del tutto non tanto per cedere il passo al personaggio ma semplicemente per 'essere' la persona. Così lo sguardo 'iperrealista' di interpreti e regia cavalca all'unisono la stessa tragica onda che porta a celebrare la fine dell'esistenza umana, tracciando il passo di una distanza incolmabile con la narratività che ha sostenuto, ad esempio, pellicole, sia pure encomiabili e
per qualche verso tematicamente affiliate, per quanto alla lontana, con l'Amour di Haneke: mi riferisco a La famiglia Savage di Tamara Jenkins e a Bella addormentata di Marco Bellocchio. Quel genere di narratività in Amour non è proprio contemplata e le poche schegge che ne sostengono l'ossatura, dopo una discretissima comparsa, sanno bene dileguarsi come neve al sole. Haneke sceglie deliberatamente di accordarsi sull'adagio lento dell'agonia di un divenire annunciato per l'intera durata della pellicola. Gli sono sufficienti tre soli momenti di scioccante mutamento sul tempo musicale mantenuto sul suo logorante pentagramma: all'inizio - come già segnalato - verso l'epilogo - con una sequenza agghiacciante che segue il racconto di una storia personale alla moglie allettata e in fase gravemente avanzata della malattia - e nel superbo finale.