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OVUNQUE SEI - DEL PERDUTO PLACIDO: UN FILM-BURLA RISIBILE CHE BRUCIA LETTERALMENTE LE SUE NOBILI RADICI PIRANDELLIANE
“La prima idea del film risale ai tempi di Del perduto amore. Volevo raccontare una storia che avesse al centro il sentimento della morte o, meglio, il sentirsi morire. In mente avevo solo questo passaggio di un racconto di Pirandello, La carriola: ‘Chi vive, quando vive, non si vede: vive… Se uno può vedere la propria vita, è segno che non la vive più: la subisce, la trascina’. Mi piaceva quest’immagine: uno che si ritrova all’improvviso a trascinareper la città la propria vita come una cosa mortaâ€.
Michele Placido
(ITALIA, 2004; drammatico; 85'; Produz. Cattleya/RAI Cinema; Distribuz. 01 Distribution)
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Titolo in italiano: Ovunque sei
Titolo in lingua originale:
Ovunque sei
Anno di produzione:
2004
Anno di uscita:
2004
Regia: Michele Placido
Sceneggiatura:
Michele Placido; Umberto Contarello; Francesco Piccolo; Domenico Starnone
Soggetto: Libere ispirazioni da vari testi pirandelliani tra cui L’uomo dal fiore in bocca
Cast: Stefano Accorsi (Matteo) Barbora Bobulova (Emma) Violante Placido (Elena) Stefano Dionisi (Leonardo) Giuditta Saltarini (Rita) Massimo de Francovich (Carlo) Donato Placido (Vincenzo) Giuseppe De Marco (Tommaso)
Musica: Bruno Pupparo
Costumi: Nicoletta Taranta
Scenografia: Cosimo Gomez
Fotografia: Luca Bigazzi
Scheda film aggiornata al:
25 Novembre 2012
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Sinossi:
Una giovane coppia sta consumando le ultime energie di un amore che dura da anni. Hanno una bella casa e una bambina con il desiderio, non condiviso dai genitori, di avere un cane. Lui, Matteo (Stefano Accorsi), lavora sulle ambulanze, lei, Emma (Barbora Bobulova), è un chirurgo. Entrambi esercitano nello stesso ospedale. Il servizio di notte di Matteo è duro, appena alleviato dall’attrazione che prova per Elena, una giovane volontaria. Nella stessa notte Emma opera un malato grave insieme al primario, Leonardo (Stefano Dionisi), che la corteggia da tempo. Emma, dopo l’operazione cede alle sue avances piuttosto irruente, passando per un sentimento confuso e contraddittorio, fatto di disgusto e di appagamento.
Entrambi, Leonardo e Matteo si mettono in viaggio: l’uno lascia l’ospedale per tornare a casa, l’altro in ambulanza vuole raggiungere l’ospedale. Nello scontro tra i due in un drammatico incidente, l’ambulanza di Matteo vola nel Tevere. E’ da questo momento che la storia perde la sua connotazione realistica offrendo un tentativo di visualizzazione di un’idea filosofica pirandelliana, in cui Matteo ed Elena, di fatto rimasti uccisi, riemergono lontano dal luogo dell’incidente con un legame più forte e uno sguardo nuovo verso la vita…
Commento critico (a cura di Patrizia Ferretti)
NOMINATION AL LEONE DI FANGO PER IL FILM DI MICHELE PLACIDO, CON CAST AL COMPLETO. UN’IDEA PROFONDA CHE NON SI RIESCE A VISUALIZZARE E A CONDIVIDERE SUL PIANO EMOTIVO
E’ evidente che qualcosa non ha funzionato in questo film. E non stiamo parlando di sfumature o di elementi marginali, stiamo parlando della struttura portante che, in maniera stupefacente, ha letteralmente trascinato con sé la portata di recitazione degli attori protagonisti, a cominciare da Stefano Accorsi, tiepido e insipido come non mai, alle prese evidentemente con un ruolo e un personaggio che non sembra affatto averlo coinvolto emotivamente. Spunti di per sé profondamente carichi di significato e pieni di poesia, come la metafora della morte visualizzata in uno scarafaggio che compare ripetutamente a cominciare dalla gamba di un barbone che muore, appunto, sull’ambulanza, come un grande amore che si dissolve e uno che ricomincia, spezzato sul nascere da un tragico destino, nuotano |
poi, arrancano fino al naufragio, in un vuoto di sceneggiatura, in una struttura complessivamente confusa, per niente coinvolgente concludendosi con i due nudi integrali di Matteo (Stefano Accorsi) ed Elena (Violante Placido) che diventano persino risibili, perché scollegati, non abbastanza motivati nell’economia della storia, da giustificare la loro comparsa in quel preciso momento e non abbastanza focalizzati nei suoi significati più profondi, ancora una volta carenti di spessore e carica emotiva, malgrado la poetica dissolvenza in bianco. Per questo, il film crolla letteralmente su se stesso fino a sgretolarsi in frammenti che non riescono a coinvolgerci né visivamente né emotivamente, al punto da muovere all’ilarità . Probabilmente una sfida più insidiosa di quanto si potesse prevedere. Non è certo facile dare vero corpo all’idea pirandelliana di affrontare il senso della morte senza raccontarla, ma catturarla cinematograficamente parlando, come “vita che si attarda, che non se ne vuole andare, che diventa |
nostalgiaâ€. Lo si voleva fare attraverso la ricostruzione di un grande amore che di fatto non si riesce proprio a percepire, per un tutto troppo fluido e inconsistente, da scadere nel banale, o, come, preferisce la produzione nel fauve.
La nostra nostalgia invece, volge a rimirare l’opera intensa e davvero emotivamente coinvolgente, in cui Pirandello occhieggiava in maniera chiara ed estremamente lirica, con Un viaggio chiamato amore per la regia proprio di Michele Placido, qui ben all’altezza della situazione, così come Stefano Accorsi, talmente bravo da meritare, se la memoria non mi inganna, il Premio della Coppa Volpi per la sua eccelsa recitazione, cui andava ad allinearsi una prorompente Laura Morante. Dunque non vi è dubbio che di grandi artisti si tratti, e che d’altra parte, non tutte le ciambelle riescono col buco.
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