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    C'ERA UNA VOLTA A NEW YORK: MARION COTILLARD, JOAQUIN PHOENIX, JEREMY RENNER SULLA SCIA DELL'OSSESSIONE PER LA CLASSE SOCIALE COLTIVATA SUL GRANDE SCHERMO DAL REGISTA JAMES GRAY (I PADRONI DELLA NOTTE, TWO LOVERS)

    Dal 66. Festival del Cinema di CANNES - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by PETER DEBRUGE (www.variety.com) - Dal 16 GENNAIO

    "Questo film è molto personale e ha molti legami con la mia famiglia, ma non è assolutamente autobiografico. Per personale intendo che tratta di problematiche ed emozioni che ci sono vicine, che puoi comprendere profondamente e che sei capace di esprimere, mentre autobiografico si riferisce alla rappresentazione dei fatti legati alla propria vita. I miei nonni arrivarono dalla Russia o dall’Ucraina, a seconda dell’epoca a cui facciamo riferimento, da Ostropol una città non lontana da Kiev. I genitori di mia nonna sono stati assassinati dall’Armata Bianca durante un pogrom. Nel 1923 mio nonno e mia nonna sono arrivati negli Stati Uniti passando per Ellis Island. Ovviamente ho sentito molti racconti su Ellis Island ed ho maturato un’ ossessione per questo luogo. La prima volta che ci sono stato, nel 1988, fu prima che restaurassero l’ isola: era come se fosse stata congelata nel tempo. Era un’ immagine spettrale, c’erano i moduli per l’immigrazione compilati a metà sul pavimento…Mi è sembrata invasa dai fantasmi, i fantasmi di tutta la mia famiglia. Così ho voluto realizzare un film che scaturisse da tutto questo. Inoltre, il mio bisnonno da parte di madre, gestiva Hurwitz’s, un ristorante nel Lower East Side, e conosceva loschi individui di ogni genere. Mi sono documentato su questo mondo e ho scoperto un tizio chiamato Max Hochstim che era il magnaccia locale. E’ così che ho messo insieme i pezzi per la storia di Bruno che, ad Ellis Island, recluta per il suo harem le donne che, se arrivavano da sole, non venivano ammesse negli Stati Uniti. Era una storia interessante, da unire alla straziante estraneità provata dai miei nonni quando lasciarono l’Europa dell’ Est per recarsi negli Stati Uniti. Il processo d’immigrazione era intriso di grande nostalgia, di angoscia e sicuramente di forte trepidazione".
    Il regista e co-sceneggiatore James Gray

    (The Immigrant; USA 2013; Dramma romantico del mistero; 120'; Produz.: Worldview Entertainment/Keep Your Head/Kingsgate Films; Distribuz.: BIM)

    Locandina italiana C'era una volta a New York

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    Celluloid Portraits:



    See SHORT SYNOPSIS

    Titolo in italiano: C'era una volta a New York

    Titolo in lingua originale: The Immigrant

    Anno di produzione: 2013

    Anno di uscita: 2014

    Regia: James Gray

    Sceneggiatura: James Gray e Ric Menello

    Cast: Joaquin Phoenix (Bruno Weiss)
    Marion Cotillard (Ewa Cybulski)
    Jeremy Renner (Orlando il mago)
    Angela Sarafyan (Magda)
    DeeDee Luxe (Bandits Roost Tart)
    Dagmara Dominiczyk (Belva)
    Ilia Volok (Voytek)
    Gabriel Rush (Delivery Boy)
    Antoni Corone (Thomas MacNally)
    Dylan Hartigan (Roger)
    Glenn Fleshler (Suited Man)

    Musica: Chris Spelman; Dana Sano (supervisore)

    Costumi: Patricia Norris

    Scenografia: Happy Massee

    Fotografia: Darius Khondji

    Montaggio: John Axelrad e Kayla Emter

    Makeup: Natalie Young

    Casting: Douglas Aibel

    Scheda film aggiornata al: 03 Febbraio 2014

    Sinossi:

    1921. Alla ricerca di un nuovo inizio e rincorrendo il sogno americano, Ewa Cybulski (Marion Cotillard) e sua sorella lasciano la natia Polonia e navigano verso New York. Quando raggiungono Ellis Island i medici scoprono che Magda (Angela Sarafyan) si è ammalata e le due donne vengono separate. Ewa si ritrova nelle pericolose strade di Manhattan, mentre sua sorella è messa in quarantena. Sola, senza un posto dove andare e nel disperato tentativo di ricongiungersi con Magda, Ewa diventa presto preda di Bruno (Joaquin Phoenix), un uomo affascinante ma malvagio che la prende con sÊ e la spinge a prostituirsi.
    L’arrivo di Orlando (Jeremy Renner), ardito illusionista e cugino di Bruno, le ridonano fiducia e la speranza per un futuro migliore, ma Ewa non ha tenuto conto della gelosia di Bruno.

    SHORT SYNOPSIS:

    An innocent immigrant woman is tricked into a life of burlesque and vaudeville until a dazzling magician tries to save her and reunite her with her sister who is being held in the confines of Ellis Island.

    Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)

    LA SOTTILE LINEA ROSSA TRA MELODRAMMA E MELODRAMMATICO NON E' MAI STATA TANTO IMPALPABILE NELLA FAVOLA RACCONTATA DA JAMES GRAY DA UNA PROSPETTIVA TUTTA FEMMINILE: I RIFLETTORI SONO PUNTATI SULLA MIGRANTE POLACCA EWA, DI CUI MARION COTILLARD OFFRE UN'INTENSA ICONA CLASSICA, IN UN CANGIANTISMO DI CITAZIONI CHE VANNO DALLO STESSO MELODRAMMA, ALL'OPERA LIRICA, DAL CINEMA MUTO (LA PASSIONE DI GIOVANNA D'ARCO DI DREYER) AL TEATRO DI VARIETA' DELLA NEW YORK DEGLI ANNI VENTI. UN MONDO FATTO DI TUTTE LE AMBIGUITA' E SUBDOLE STRUMENTALIZZAZIONI GIA' ILLUSTRATE DAI DIPINTI DELL'EPOCA DI GEORGE BELLOWS ED EVERETT SHINN. IL PROTAGONISMO MASCHILE DI JOAQUIN PHOENIX E DI JEREMY RENNER SERVONO A DOVERE IL PERSONAGGIO FEMMINILE INCARNATO DA MARION COTILLARD, SEMPRE AL CENTRO DELLA SCENA, VITTIMA E PADRONA DEL PROPRIO DESTINO. EPPURE, PER QUANTO SI TRATTI DI UN RACCONTO DEL CUORE ISPIRATO DALLA MEMORIA STORICA, ANCHE PERSONALE DEL REGISTA, IL FILM NON REGALA UN SOLO MOMENTO

    DI VERA EMOZIONE

    "L’intenzione nei miei film precedenti era che fossero naturalistici. Sapevi sempre da dove proveniva la luce. Ho abbandonato questa visione perché volevo raccontare una favola". Ha dichiarato James Gray (I padroni della notte, Two Lovers) riguardo a The Immigrant. E devo dire che questa volta il titolo italiano C'era una volta a New York, calza quasi meglio di quello originale, avvertendo lo spettatore sulla più intima natura del film. Così la veste estetica, messa a punto con Gray dal direttore della fotografia Darius Khondji, (To Rome with Love, Amour, Seven) non poteva che rispondere allo scopo, patinata e calda, nebbiosa e umida come l'ambiente cittadino che qui si andava a ritrarre, dopo le ricreazioni architettate, non direttamente sul posto, da Elia Kazan per Il ribelle dell’Anatolia e da Francis Ford Coppola per Il padrino parte II. Alcune riprese nella vera storica Ellis Island, luogo simbolo dell'immigrazione

    in America negli Anni Venti - il cuore del sogno americano che Gray immortala nella mitica statua della libertà con il suo primo fotogramma - si fondono con fotografie d'epoca e i dipinti con cui George Bellows ed Everett Shinn hanno catturato l'anima di New York all’inizio del XX secolo, con i suoi retroscena ed ambiguità racchiusi nei piccoli teatri di varietà. Un mondo fatto di sopraffazioni, di strumentalizzazioni e sfruttamenti di varia natura in nome della sopravvivenza, a danno dei più deboli e dunque delle donne, relegate sul piano sociale e personale in secondo piano, in una bolla separatista del tutto inadeguata per spazio e considerazione.

    Non poteva dunque essere che una donna l'epicentro del melodramma di Gray: la sua eroina è Ewa, una migrante approdata in America dalla Polonia con la sorella, incarnata letteralmente da una indubbiamente intensa Marion Cotillard, nei termini dell'icona classica della sofferenza, che deve

    lottare duramente per ottenere quello che vuole, eppure padrona e vittima allo stesso tempo del proprio destino. A che genere di rivisitazione del classico mirasse con The immigrant, Gray lo esprime in tutta chiarezza quando dichiara: "Quello che mi colpisce così tanto di Bresson, Dreyer o Fellini, è la loro abilità di eliminare il superfluo, per focalizzarsi sull’essenziale, la lotta per essere una persona in questo mondo". Gray ha tenuto a rimarcare per The Immigrant l'importanza dell'opera lirica, del melodramma (le musiche di Puccini, Gounod e Wagner) e del cinema muto (l'accostamento fisionomico, e non solo per l'effetto del make up, tra Marion Cotillard in Ewa e Renée Falconetti in Giovanna d'Arco ne La Passione di Giovanna d'Arco di Dreyer è accuratamente ricercato attraverso un'aderenza che, con altri fattori, resta in pericoloso bilico sul filo dell'eccesso del virtuosismo estetico, se non estetizzante, favorito dagli stessi spettacolini di varietà di bassa

    lega su cui fanno il loro ingresso, a diverso titolo, Bruno (Joaquin Phoenix) e suo cugino Emil, alias Orlando l’illusionista (Jeremy Renner), figure maschili opposte e problematiche, strumentali alla definizione del destino di Ewa/Cotillard.

    Una favola raccontata col cuore e con in mente storie di vita vissuta veramente come le tante che la memoria storica ci ha consegnato, tra cui l'esperienza da immigrante legata alle radici di ebreo russo, sentita a pelle dallo stesso regista, letteralmente ossessionato dalla classe sociale, che ha confezionato questo film partendo da un’idea nata, in parte, da vecchie foto di famiglia scattate da suo nonno, quando, per l'appunto nel 1923, approdò proprio ad Ellis Island. Un racconto del cuore dunque, si - anche troppo! - eppure non ci si spiega come non ci sia un solo momento di commozione vera, neppure in quella che forse deve essere eletta come la più bella sequenza del film: quella

    della confessione di Ewa/Cotillard, orecchiata a sua insaputa dall'aguzzino 'salvifico' Bruno/Phoenix, per la quale Gray dice di essersi ispirato a Diario di un curato di campagna di Robert Bresson. Forse perchÊ in fondo, è tutto cosÏ prevedibile, e anche visto e rivisto, se vogliamo, quando non persino stucchevole: vedi la richiesta di aiuto di Ewa alla zia, da donna a donna, in un mondo di uomini per i quali è sempre stato facile 'bollare' il gentil sesso come di 'dubbia moralità', soprattutto all'epoca. CosÏ, l'impasto tra elementi di storie personali (tra cui vanno ad aggiungersi anche i racconti di un bisnonno del regista, che gestiva un bar in quel periodo) e il rigore di aderenza alla memoria storica dei fatti, ha solo prodotto una favola assolutamente dominante la memoria realistica, qui asfissiata sulla sottile linea rossa che finisce per confondere, fino a farli combaciare, il melodramma con il melodrammatico.

    Secondo commento critico (a cura di PETER DEBRUGE, www.variety.com)

    Cementing himself as the great classicist of his generation, James Gray turns back the clock to 1921 in “The Immigrant,” a romantic tale that cuts to the very soul of the American experience. This rich, beautifully rendered film boasts an arrestingly soulful performance from Marion Cotillard as a Polish nurse-turned-prostitute for whom the symbolic promise of Ellis Island presents only hardship. Her travails unfold at a pace that will frustrate today’s attention-deficit audiences, limiting this Weinstein Co. acquisition’s popular prospects. Give it 20 years, however, and “The Immigrant” is sure to hold up far better than its modish competition, an ambitious yet imperfect cinematic classic with the heft and heart of great literature.

    From the American canon, novels like Theodore Dreiser’s “Sister Carrie” offer charitable accounts of the lures and snares big-city life posed on single working women of the early 20th century. Such influences suggest a radical shift from the

    male-driven concerns of Gray’s strong but underappreciated oeuvre (which includes “The Yards” and “We Own the Night”). No doubt, the director’s newfound female focus owes an equal or greater debt to Tolstoy and Flaubert, as he follows their lead in crafting the picture’s strong, well-rounded tragic heroine. (Never fear: No one swallows arsenic or throws herself in front of a train here.)

    Meeting with a naturalization officer upon her arrival in New York, one year after the U.S. ratified women’s suffrage, Ewa (Cotillard) discovers that American immigration policy bars unescorted females from entering the country — a judgment compounded, in her case, by reports from the ship manifest that she may be a woman of low morals. What Ewa doesn’t realize is that she’s being auditioned by “immigration aid” worker and part-time pimp Bruno (an uneasy Joaquin Phoenix), who manages a burlesque theater not far from the seedy Five Points

    neighborhood where “Gangs of New York” was set a few decades earlier.

    But Ewa and her sister Magda (Angela Sarafyan) didn’t escape war and cross the Atlantic to be turned away at the front stoop of their destination. Though the film ultimately concerns the heartbreaking compromises Ewa makes to adapt to this better life, Gray depicts these transgressions as magnanimously as possible: A scene vital to the film’s tragic tone takes place in the confessional of a Catholic church, where, even as Ewa sounds convinced of her own damnation, the film makes clear that however low her behavior may have sunk, her moral center remains pure.

    Despite its conservative budget, the film affords haunting views of the Ellis Island processing center, a hall of dreams where so many fates were decided. To the sisters’ mutual horror, the tuberculosis-stricken Magda is almost immediately pulled out of line and rerouted to the

    facility’s infirmary. Though her character disappears for the duration of the film, she comes to represent everything that Ewa is working toward. As in Gray’s previous films, themes of relationships and family loom large over this latest project, which serves almost like an unofficial prequel to his other features, in which working-class characters continue the struggle for status in America.

    After agreeing to play Lady Liberty in one of Bruno’s girlie revues (a role with obvious irony for the illegal alien), Ewa discovers just how tenuous her situation is: One night, she tries to run away from Bruno’s clutches, only to be turned over to the authorities and sent back to Ellis Island — a limbo state from which newcomers dream of heaven before actually experiencing the hell of Gotham street life.

    It is here, back at the start, that Ewa catches sight of Orlando (Jeremy Renner), a streetwise magician.

    As this immensely charming rapscallion, Renner brings a vitality to an uncharacteristically romantic role, offsetting Phoenix’s oddly wooden turn. Here making his fourth collaboration with Gray, Phoenix ill-advisedly accentuates Bruno’s awkwardness, resulting in a stilted, inadvertently amateurish performance. Naturally, neither Bruno’s intentions nor Orlando’s are as straightforward as they first seem to Ewa, although their connection is complicated by the fact they are family — cousins, to be precise (a convenient dramatic link that isn’t necessarily supported by their behavior onscreen).

    Taking his cues from opera while drawing from his own family history as a descendant of Russian Jews, Gray wrote “The Immigrant” with late “Two Lovers” collaborator Richard Menello. The scribes reject the urge to embellish this already-rich world with overwrought language, instead putting spare, straightforward dialogue into the mouths of their characters. (In Cotillard’s case, quite a few of these lines must be delivered in Polish, no small

    challenge for the French star.)

    Gray clearly sees something in Cotillard that no other helmer — not even her husband, Guillaume Canet — has brought out in her before. Recognizing the deep, haunted quality of Cotillard’s gaze, he features her eyes as the soul of his story, counting on their mournful quality to play to the back of the house, even as he resists unnecessary closeups in favor of broad-canvas widescreen as much as possible. Likewise, he seems unconcerned with the immediate payoff of camera placement (although he frames the meticulously researched sets like old photographs and supplies a whopper of a final shot), making choices that serve the performances and support the cumulative impact.

    “The Immigrant” unfolds at its own pace, building slowly, perhaps even tediously for some, toward its emotionally cathartic conclusion. This classical approach harks back not only to the silent cinema of the period but also

    to the ’70s masters Gray holds dear, calling to mind the Lower East Side as seen in such films as “Once Upon a Time in America” and “The Godfather: Part II.” Meanwhile, the score marries composer Chris Spelman’s tasteful theme with timeless cues from the likes of Wagner and Puccini — a clue as to the operatic spirit to which the picture aspires.

    Commenti dei protagonisti:

    "Ellis Island was the place where all immigrants arrived between 1920 and 1924. 40% of the American population have a member of their family who arrived on Ellis Island. I am in real favour of immigration. It enriches society, vitalises culture and makes it versatile and dynamic".

    Bibliografia:

    Nota: Si ringraziano BIM Distribuzione e Samanta Dalla Longa (QuattroZeroQuattro)

    Pressbook:

    PRESSBOOK COMPLETO in ITALIANO di C'ERA UNA VOLTA A NEW YORK

    Links:

    • James Gray (Regista)

    • Joaquin Phoenix

    • Marion Cotillard

    • Jeremy Renner

    • Angela Sarafyan

    • C'ERA UNA VOLTA A NEW YORK - INTERVISTA al regista JAMES GRAY (Interviste)

    • C'ERA UNA VOLTA A NEW YORK - INTERVISTA all'attrice protagonista MARION COTILLARD (Interviste)

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    Galleria Video:

    C'era una volta a New York - trailer

    C'era una volta a New York - trailer (versione originale sottotitolata in francese) - The Immigrant

    C'era una volta a New York - clip 'L'arrivo a New York'

    C'era una volta a New York - clip 'Uno spettacolo di magia'

    C'era una volta a New York - clip 'Non mi fido di te'

    C'era una volta a New York - clip 'Tu non l'avrai mai'

    C'era una volta a New York - clip 'Voglio essere felice'

    C'era una volta a New York - intervista video al regista James Gray (versione originale sottotitolata)

    Il giudizio della critica

    The Best of Review

    "La modernità nel cinema non è tanto inventare qualcosa di nuovo – un’idea che ha ossessionato Hollywood negli ultimi decenni – quanto tornare al passato per edificare sulle fondamenta del cinema. I film di James Gray sia nel pensiero che
    nell’espressione reinventano
    il nostro concetto di classicismo.
    Sono quindi del tutto moderni
    ".
    Jean Douchet, storico del cinema

    International Press

    Italian Press

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