RECENSIONE - Da Venezia 80. - Adam Driver è Enzo Ferrari e Penelope Cruz sua moglie per Michael Mann - Dal 14 Dicembre
"Molto tempo prima di girare Ferrari, ho avuto l’opportunità di camminare nelle stanze della casa di Enzo, vedere i suoi diari, conoscere le sue abitudini, meravigliarmi della carta da parati nella camera da letto in cui Laura ha trascorso gli ultimi anni della sua vita, fare delle domande al loro medico, incontrare la nipote di Lina, capire il suo modo di fare e la sua modernità, sedermi sulla poltrona da barbiere di Enzo, camminare sui marciapiedi del suo quartiere e abitarci, esplorare le luccicanti parti meccaniche di un motore Lampredi V12 e le sculture dei modelli da corsa degli anni Cinquanta e, cosa più importante, interagire con il figlio di Enzo, Piero, da cui ho imparato e assorbito così tanto. Ho cercato di far rivivere le passioni e il fascino di Enzo, la sua arguzia pungente, la devastante perdita del figlio, le sfuriate teatrali, il bisogno di un rifugio emotivo, la tragedia, la monumentale scommessa su una singola gara e la lotta per la sopravvivenza: tutti elementi che sono entrati in collisione in quattro mesi del 1957"
Il regista e co-sceneggiatore Michael Mann
vogliamo sorvolare sul dialetto modenese. Mentre si contempla la tiepidezza di riprese e montaggio poi, si attraversano parecchie scene futili (ad esempio di sesso con moglie e amante) innestate con il resto della narrazione, peraltro di una durata eccessiva per quel che si intendeva dire.
figlio illegittimo, e tutto quel che ne consegue, riducendo il cuore e l’anima degli albori della ‘scuderia’ più nota d’Italia nel mondo, a quisquilie burocratiche e rapporti interpersonali, peraltro alquanto nebulosi e mal inquadrati sotto ogni profilo: è per l’appunto il caso delle riprese di certe corse, scorci anemici anche quando, in coda ad inevitabili incidenti, le auto si lanciano in iperbolici voli aerei prima di rovinare al suolo. C’è tutto e niente, con effetti speciali indegni per i tempi in cui siamo, e non basta certo una fotografia umbratile quanto un dipinto di Caravaggio ad alitare linfa emozionale. Era semmai sufficiente, oltre che doveroso, il primo piano di un motore, di un meccanismo, di una riflessione in coda: ma la conversazione con il figlio piccolo di fronte ad una mappa di progettazioni meccaniche è quanto ci viene concesso in proposito. In fondo è di macchine che stiamo parlando,
Santo Dio! Invece nulla. Riflessione, magari in coda a qualche verità storica, sfuggita invece, o per meglio dire, distorta: come ad esempio l’epocale competizione della Ferrari con la scuderia Alfa Romeo, e non tanto con la Maserati, come si suggerisce nel film. A prescindere dall’epoca, toccherà rivedere Le Mans ’66 - La grande sfida di James Mangold per ritrovare l’anima di motori ruggenti.
monologo da manuale verso l’epilogo: forse il miglior brano di sceneggiatura di tutto il film.
Unico scorcio narrativo in cui la scelta del colore spento, desaturato, nel Ferrari di Mann serve al meglio sia il dato storico che il dramma, è quello, legato al tragico episodio di Guidizzolo: l’occasione per Ferrari di rimettersi finanziariamente in carreggiata con la celebre Mille Miglia si tinge di nero per lutto plurimo. Così, con una carriera che gli era già valsa la nomea di ‘Saturno che divora i suoi stessi figli’, per i morti che gravavano sulla sua coscienza - Ferrari tirava la corda affinchè i suoi piloti dessero il massimo, giocandosi il tutto e per tutto a costo della vita - la strage di Guidizzolo portò Ferrari e la sua azienda sull’orlo del baratro, prima di essere scagionato da responsabilità dirette. Quel genere di strage oggi sarebbe impensabile, o, per meglio dire, impossibile, ma
allora era consuetudine, in gare come la Mille Miglia, consentire al pubblico di assistere sui bordi delle strade cittadine: un po' come nel caso delle corse di ciclismo, sfidando il reale pericolo che, in caso di sbandamento del veicolo, il disastro sarebbe stato inevitabile. Ed è questo per l’appunto il caso, con nove vittime civili, tra cui bambini. La famigerata corsa in cui perse la vita anche il pilota, ovviamente, ci dà contezza visiva del motivo dello sbandamento dell’auto, indipendente dalle ruote del veicolo, andato ad urtare su un ostacolo imprevisto in mezzo alla strada. Così andavano le cose, mentre il fardello sulle spalle di quest’uomo diventava sempre più grave: contrarre sempre le proprie emozioni può essere sfiancante, solo di fronte alla lapide del figlio, Ferrari può essere se stesso, confidandogli i suoi sogni di fantasmi per poi versare finalmente quel fiume di lacrime in piena che stava aspettando solo
Insomma, storie d’altri tempi, in cui potranno cambiare i contorni, ma le ombre sono più o meno le stesse: ambizione, denaro, potere, immagine pubblica, piccoli tranelli a mezzo stampa per