OSCAR 2017: 'Miglior Montaggio Sonoro' - Dal racconto breve di Ted Chiang, il primo approccio alla fantascienza di Denis Villeneuve (Sicario, Prisoners) in attesa che arrivi al cinema Blade Runner 2049. Protagonisti Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker e Michael Stuhlbarg - 8 NOMINATIONS agli OSCAR 2017 - 9 NOMINATIONS ai BAFTA (OSCAR Inglesi); Da Venezia 73. - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by OWEN GLEIBERMAN (www.variety.com) - Dal 19 Gennaio
"Sognavo di fare un film di fantascienza già dall’età di dieci anni, credo che questo genere possieda il potenziale ed i mezzi per esplorare la nostra realtà in modo molto dinamico... Ciò che amo del racconto è il fatto che contiene diverse sfaccettature, quella che mi ha toccato di più è il contatto con la morte di qualcuno. Cosa succederebbe se sapeste in che modo state per morire e quando morirete? Quale sarebbe il vostro rapporto con la vita, l’amore, la famiglia gli amici e la vostra società ? Essere maggiormente in relazione con la morte, in modo intimo con la natura della vita e le sue sfumature, ci farebbe diventare più umili. L’umanità adesso ha bisogno di questa umiltà . Ci troviamo in una era in cui regna il narcisismo. Siamo ad un punto in cui siamo pericolosamente scollegati alla natura. Questo è ciò che il racconto breve ha significato per me - un modo per tornare ad avere un rapporto con la morte, la natura e il mistero della vita".
Il regista Denis Villeneuve
"La storia contiene diversi elementi, uno di questi è quello conosciuto come l’ipotesi di Sapir-Whorf, che afferma che lo sviluppo cognitivo di ciascun essere umano è influenzato dalla lingua che parla. La protagonista della storia è una linguista che gradualmente impara il linguaggio alieno, che le cambia il modo di comprendere la sua vita".
Lo scrittore Ted Chiang
(Arrival; USA 2016; Sci-Fi; 116'; Produz.: 21 Laps Entertainment/FilmNation Entertainment/Lava Bear Films/Mel's Cite du Cinema; Distribuz.: Warner Bros. Pictures Italia)
Soggetto: Basato su un racconto breve Story of Your Life di Ted Chiang, pubblicato nel 1998, pluri-premiato e arrivato in Italia nel 2008 in un'antologia edita da Nuovi Equilibri.
Cast: Amy Adams (Dr. Louise Banks) Jeremy Renner (Ian Donnelly) Forest Whitaker (Colonnello Weber) Michael Stuhlbarg (Agente Halpern) Mark O'Brien (Capitano Marks) Tzi Ma (Generale Shang) Abigail Pniowsky (Hannah a 8 anni) Julia Scarlett Dan (Hannah a 12 anni) Jadyn Malone (Hannah a 6 anni) Frank Schorpion (Dr. Kettler) Lucas Chartier-Dessert (Soldato Lasky) Christian Jadah (Soldato Combs) Lucy Van Oldenbarneveld (Conduttore alla CNAC) Andrew Shaver (Tecnico ambientale) Pat Kiely (Tecnico ambientale) Cast completo
Sabrina Reeves (Segretaria dell'ufficio stampa) Joe Cobden (Crittografo) Russell Yuen (Scienziato cinese) Julian Casey (Scienziata australiana) Nathaly Thibault (Ospite al Gala)
L'atterraggio di navicelle aliene sulla terra pone un quesito all'umanità intera: guerra o pace? L'esercito chiama in causa un'esperta di linguistica per capire se le intenzioni degli invasori siano pacifiche o se, invece, rappresentino una minaccia.
Taking place after alien crafts land around the world, an expert linguist is recruited by the military to determine whether they come in peace or are a threat.
Based on an award-winning short story by Nebula and Hugo Award-winning author Ted Chiang, "Story of Your Life" is a mind-bending science fiction thriller with a powerful, emotional twist. After aliens land around the globe, a linguist (Adams) is recruited by the US government in a race to decipher their intentions on Earth. As she learns to communicate with the aliens, she begins experiencing vivid flashbacks that become the key to unlocking the greater mystery about the true purpose of their visit. Renner will play a physics professor paired by the government with the linguist to help communicate with the aliens
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Negli 'Incontri Ravvicinati' del... 'IV° tipo' di Denis Villeneuve una inedita lezione di grande umanita'. Proprio da parte aliena. All'incrocio del tempo senza tempo e di una comunicazione senza scrittura, tra inconsueti 'ideogrammi' e telepatia. Amy Adams si conferma astro di immenso talento mentre la regia, con queste premesse, fa palpitare il cuore in attesa del prossimo 'Blade Runner 2049'
Fare un passo indietro per una verità autentica ed intensa che si fa strada in un nuovo stralcio di... "fantascienza sporca". Lo stralcio è il racconto breve di base Storia della tua vita di Ted Chiang da cui Denis Villeneuve (Sicario, Prisoners) è partito per approdare al suo Arrival. E di 'arrivi' ne abbiamo visti. Altro che, se ne abbiamo visti! Difficile provare ad immaginare qualcosa di nuovo sotto il tetto comune, normalmente mal condiviso, di alieni e umani. E l''Arrivo' alieno sul pianeta Terra della celluloide è stato molto spesso
Una voce fuori campo femminile parla alla figlia Hannah con le cadenze del
racconto per lettera scritta. Un nome che è già tutto un programma, come abbiamo modo di scoprire nel corso degli eventi. Ma quegli scorci visionari di un vissuto che ci sembra passato, il background di quel dolore di madre, altro non sono che il 'tranello' cinematografico teso in sospensione da una regia di gran classe, che recupera dall'apparente semplicità narrativa, lidi sconosciuti in cui è meraviglioso smarrirsi per poi ritrovarsi. E' come perdersi in un vortice di nubi o nelle profondità di fitti addensamenti che vanno e vengono, per annebbiarci la mente, confonderci prima di sorprenderci con verità inaspettate. Di fronte a quegli scenari quasi 'primitivi', essenziali, nebulosi, carichi di mistero quanto di inesplorate verità , l'unica alta tecnologia che trionfa è la potenza della mente, è il 'calore' del contatto. Incredibile a dirsi ma è così. Siamo troppo abituati a parlare quasi per convenzione, di calore umano. Robert Zemeckis in
Contact ci ha regalato la sua idea di calore del contatto, tra umani ed alieni. E, fatto non trascurabile, anche in quel caso era una donna la chiave dell'incontro. Probabile questione di sensibilità , oltre che di competenza specifica! In tutt'altro modo, nel suo Arrival Denis Villeneuve si serve di strumenti primigeni, facendo annaspare a lungo la protagonista - al fianco del matematico Ian Donnelly di Jeremy Renner - nell'inevitabile difficoltà di comunicazione, o, per meglio dire, di comprensione, prima di scoprire tutte quelle risposte che affannano e consumano l'uomo probabilmente fin da quando ha visto la luce sulla Terra. Ed è allora che ci facciamo un'idea di quel voleva dire Denis Villeneuve riferendosi a "fantascienza sporca".
Un corpo mai del tutto visibile, ammantato da addensamenti nebulosi, eppur fisionomicamente parente stretto della fauna marina del tipo piovra (secondo la fantastica creazione di Carlos Huante, già all'opera al fianco di Ridley Scott in Prometheus). E che dire del loro linguaggio? Più prossimo ai segni grafici delle scritture pittografiche, tipici degli ideogrammi che non ad un qualsiasi altro genere di scrittura. Se solo pensate al nero di seppia in uno spazio liquido, non avete ancora idea della straordinaria risoluzione qui ottenuta con questo genere di linguaggio. Un linguaggio fluttuante che sa farsi arte (nobile espressione dell'artista Martine Bertrand) e poesia insieme, prima che la quintessenza esistenzialista del contatto nell'incontro ravvicinato. Tanto ravvicinato da tracimare nella sfera puramente mentale. Ma non nel senso telepatico classico e riconoscibile del termine, però. Anche se nei bisbigli dei Segnali dal futuro di Alex Proyas potremmo individuarne una sorta di preistorica manifestazione.
Che Steven
Spielberg e il suo Incontri Ravvicinati siano stati di grande ispirazione per l'Arrival di Villeneuve è auto dichiarato. Ma nulla in Arrival fa rimpiangere la magia della musica come lingua con cui gli alieni comunicano con gli umani nel mitico e assolutamente pioneristico Incontri ravvicinati del III tipo di Steven Spielberg. Arrival trova quella poetica spiritualità allo stato puro che travalica il carnet di click e ronzii compresi nel vocabolario della lingua 'parlata' dagli alieni - creazione dell’ingegnere del suono Dave Whitehead - anche in quei sonori rintocchi, quasi fossero pronunciati da un oboe come richiamo al raduno in preghiera. Ed è un qualcosa pronto a trasmutarsi in vera e propria sinfonia nel momento più profondo del contatto: il tete a tete su una stessa lunghezza d'onda che scopriremo solo voltando per un momento lo sguardo all'indietro. Magnifica rivelazione! Magnifica rivelazione che non trascura il respiro scientifico, come l’ipotesi
di 'Sapir-Whorf' cui ammicca il film, secondo cui 'lo sviluppo cognitivo di ciascun essere umano è influenzato dalla lingua che parla'. Ecco come il linguaggio alieno che gradualmente Louise/Adams acquisisce si riflette sul modo di comprendere la sua stessa vita.
In Arrival si tratta dunque di una scoperta lenta e sconvolgente come solo un montaggio a regola d'arte come questo può riuscire a confezionare. Tutto si incastra alla perfezione, a nostra insaputa, mentre ci arrabattiamo sulla scala a pioli della logica, del significato. E poi, all'improvviso, eccolo li, che ci si para davanti come un riparo sicuro dopo le feroci intemperie della vita. Ed è lì, anche per rispondere alla domanda delle domande. Quella che riesce a farci correre un brivido sulla schiena mentre le lacrime ci rigano il volto per la commozione che ci attanaglia alla gola: 'che cosa faremmo se si potesse vedere la nostra vita dall'inizio alla fine?'
Ognuno pensa al piccolo granello della propria vita nel marasma dell'universo ed ecco che... ci si scioglie come neve al sole.
Solo a questo punto, e siamo oramai ad un passo dalla conclusione, abbiamo la visione d'insieme di quel che ha portato quel contatto. E del dono esistenzialista che Arrival offre anche allo spettatore. Ecco, un brano di "fantascienza sporca" come questo ci fa sempre sentire l'inconfondibile profumo di capolavoro. E se tanto ci dà tanto, che potremo aspettarci da un regista come Denis Villeneuve al timone di Blade Runner 2049? Come non fremere all'idea? Non ci resta che accoccolarci nella poltrona emotiva della trepidante attesa!
Secondo commento critico (a cura di OWEN GLEIBERMAN, www.variety.com)
Amy Adams stars in an alien-visitation drama that has an eerie poetic grandeur, but its net effect is far from out of this world.
It has been almost 40 years since Steven Spielberg made “Close Encounters of the Third Kind.†That’s not a Spielberg film that people tend to revisit the way they do “Jaws†or “Raiders†or “E.T.†In its time, though, “Close Encounters†cast a spell of majestic awe that still reverberates through pop culture. There have, of course, been any number of alien-visitation films since, but whenever one comes along — “Contact,†“Signs,†“District 9,†“Interstellar,†Spielberg’s own “The War of the Worlds†— it always feels, at the time, like a major event, and then in hindsight it ends up seeming like a rerun. “Close Encounters,†with its obsessiveness and mystery, its spaceship of light that seemed as big as a city, is still the
film that set the template — that made the prospect of an extraterrestrial visit look as wondrous and eccentric and ominous and spectacular as we imagined it might be.
So you have to say this for “Arrival,†a solemnly fantastic tale of a highly enigmatic alien visit that premiered today at the 73rd International Venice Film Festival: The film has been made, by the intensely gifted director Denis Villeneuve, with an awareness that we’ve already been through this more than enough times, and that the definition of an alien movie — or, at least, one that’s trying to be a serious piece of sci-fi, and not just a popcorn lark like “Independence Day†— is that it’s going to hypnotize us with something that appears extraordinary because it’s altogether unprecedented.
For a while, “Arrival†succeeds in doing that. Villeneuve, the director or “Sicario†and “Prisoners,†has made a grounded, deep-dish authenticity his
calling card, and in the early scenes of “Arrival†he hooks us by playing the news of spaceships hovering over earth in the most low-key, randomly unsensational way possible. There are TV anchors blaring news reports in the background, a dulling sense of chaos and fear, but mostly we’re taking it all in through the eyes of Dr. Louise Banks (Amy Adams), a linguistics professor who has to cut her class short and then wanders through the parking lot in a daze. Then an Army colonel shows up in her office to recruit her help, but instead of the usual blustery movie military officer, he’s played by Forest Whitaker tossing out lines in a croaky semi-whisper (which turns out to be a lot more intriguing). He then plays a recording of the attempt that has been made so far to communicate with the aliens, who respond with what sound like
the voices of whales. It’s all very spooky and captivating.
The aliens have parked spaceships in 12 locations around the world (including America, Russia, China, and Pakistan), and Louise is taken to the one in the United States: a vast green meadow in Montana, surrounded by hills and rolling clouds, where the ship hovers like a silent, mile-high version of a smooth obsidian egg that’s been cut in two. It’s Louise’s job to draw on her language skills to find a way to communicate with them, and in that endeavor she’s teamed with Dr. Ian Connelly (Jeremy Renner), a theoretical physicist with a cut-and-dried view of things. Adams draws on her gift for making each and every moment quiver with discovery. The actress is alive to what’s around her, even when it’s just ordinary, and when it’s extraordinary the inner fervor she communicates is quietly transporting.
Villeneuve builds our anticipation with great
flair, as the two world experts stand beneath the ship, waiting for it to open. They are then ushered into what looks like an abandoned elevator shaft with walls made of carbon, where gravity disappears (they walk straight up and sideways). At last they come to a rectangle of light, which turns out to be a clear pane behind which the aliens appear, shrouded in billows of smoky white.
Do I even have to say “spoiler alert� Discovering what the aliens in “Arrival†look like, sound like, and how they communicate is the dramatic heart and soul of the picture — a drama of elegantly hushed and heightened anticipation that Veneuve stages with maximum cunning. No, the aliens aren’t anthropomorphic creatures who speak in subtitles. They are tall black squid-like figures with seven spindly legs — at least, that’s what they look like from the bottom; for a long time, we
don’t see their top halves — and those legs, up close, look like giant bony hands with their fingers pointed down and planted on a table. They’re dubbed heptapods, and to “talk†(this is the movie’s single coolest invention), one of their digits will point up, opening into a squishy seven-pointed star that emits what looks like black smoke, or squid ink, into the air. The smoke then forms into a circular ink blot: a word! It’s Louise’s job to decipher that language, so that she can ask them the all-important question, “Why on earth have you come here?â€
All this time, there’s a relatively conventional brink-of-war drama transpiring in the background, ratcheted up by Internet paranoia and a Rush Limbaugh-like figure barking away on YouTube. Given that the whole global-military thing has been at the forefront of virtually every alien-invasion thriller, you may feel grateful that it is in the
background. Unfortunately, it doesn’t stay there; Villeneuve has just figured out a way to hold off the conventionality by downplaying it for a while. As intriguing as the alien language is (a cross between hieroglyphs and smoke signals), the way that Louise actually starts to comprehend it is murky and abstract. She acquires a primitive vocabulary of circular signs, at which point the aliens seem willing to communicate their big message, which is something to the effect of “Offer weapon.†It’s not at all clear what that means, but one is fairly certain they’re not trying to sell advanced military hardware to Lockheed Martin. In the tradition of “Close Encounters,†these seem like peacenik aliens. (Otherwise, why wouldn’t they just…attack?)
True to its title, “Arrival†makes an absorbing spectacle of the initial alien set-up, alternately stoking and sating our curiosity. The aliens don’t quite have personalities, but there’s still something tender
and touching about them. There are also, frankly, elements of familiarity. The experimental musical score — low moans louder than a pipe organ — echoes the sounds made by the ship in “Close Encounters.†When we first see the aliens’ squid-like legs, they look a lot like the alien tentacles in “The War of the Worlds,†and the more closely we look at them, the more they look like gigantic versions of E.T.’s fingers. The point being that even though Villeneuve is a bold filmmaker, when it comes to this subject, Spielberg’s vision is hard to get away from; it still somehow infuses everything.
as China, acting alone, makes a decision to draw a line in the stratospheric sand, announcing that it will now greet the aliens with force. Can the world work together? One hopes, in this sort of event, that it could, but that situation has been played out in movies before. The second wayward idea is that the alien language — all of those circle words — turns out to be their great gift to earth. The movie plays off the notion that if you learn a new language, it can rewire the way you think. The alien language offers such a kick of rewiring that it actually alters the nature of time.
The audience’s reaction to this is likely to fall somehow on the spectrum between “Whoa!†and “Huh?†In “Arrival,†it’s a muddled idea, intriguing but not really developed. Yet the film ties it in with a backstory that frames
the action, about Louise and the daughter who (in an extended prologue) she watched grow into adulthood and die. There’s a surprise circularity to the structure of “Arrival†that some may find pleasing, but there’s also a circular logic to it: The aliens have come to offer a weapon, which isn’t really a weapon, it’s a new way to order time, but the only one it seems to apply to is Louise, which makes the whole purpose of their visit seem an awfully far-fetched conceit. At its best, “Arrival†has an eerie grandeur, but if the film starts off as neo-Spielberg, it winds up as neo-Christopher Nolan meets neo-Terrence Malick — it turns into an ersatz mind-bender. You feel you’ve had a close encounter with what might have been an amazing movie, but not actual contact.
"Volevo che l’alieno fosse una creatura surrealistica, che proviene dal mondo dei sogni, degli incubi. Sotto questo aspetto è stato un successo. C’è ambivalenza negli alieni, sono pacifici o ostili? Anche il loro corpo e i loro movimenti lasciano di proposito spazio all’interpretazione e si riveleranno solo con lo svolgersi della storia. È uno studio del comportamento, l’alieno è una rappresentazione della morte, e ci sono alcune scene in cui volevo che l’alieno sembrasse proprio la classica rappresentazione della Morte o della Mietitrice. Ispira, sotto certi punti di vista, quella sensazione alla fine del film. Per realizzare la loro strana forma, ci siamo sottoposti ad una lunga fase di disegno. Volevo anche che il pubblico potesse scoprire gli alieni passo dopo passo nel corso del film, non subito, perciò abbiamo svelato lentamente sempre più le caratteristiche della loro struttura e dei loro corpi".
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano Warner Bros. Pictures Italia, Cristiana Caimmi e Orazio Bernardi (QuattroZeroQuattro)