WOMAN IN GOLD: Non è mai troppo tardi per reclamare giustizia! Lo sostiene HELEN MIRREN nei panni dell'anziana Maria Altmann, protagonista di un intraprendente viaggio - sessant'anni dopo la Seconda Guerra Mondiale - per rientrare in possesso dei beni indebitamente sottratti alla sua famiglia dai nazisti
Tra i più attesi!!! - Dalla 65. Berlinale (5-15 Febbraio 2015) - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by PETER DEBRUGE (www.variety.com) - Dal 15 OTTOBRE
"Il viaggio di Maria e Randy a Vienna rende tutto più umano e verosimile. Per Maria, al viaggio fisico fa da contrappeso quello emotivo e interiore attraverso i ricordi e le emozioni"
Lo sceneggiatore Alexi Kaye Campbell
Soggetto: E. Randol Schoenberg. Il film è basato sulla storia vera della defunta Maria Altmann, una sopravvissuta all'Olocausto, che, insieme al giovane avvocato E. Randol Schoenberg, ha combattuto il governo austriaco per quasi un decennio per recuperare l'iconico quadro di Gustav Klimt Ritratto di Adele Bloch-Bauer I appartenuto a sua zia, che era stato confiscato dai nazisti a Vienna poco prima della seconda guerra mondiale.
PRELIMINARIA - LA STORIA DI MARIA ALTMANN:
Ultima di cinque figli, Maria Altmann è nata a Vienna nel 1916, nove anni dopo che Gustav Klimt ebbe completato il capolavoro raffigurante la sorella di sua madre, Adele. Le sorelle Bauer avevano sposato due fratelli, Ferdinand e Gustav Bloch. La famiglia Bloch-Bauer viveva in uno degli appartamenti più grandi e lussuosi di Vienna, in una delle strade più signorili della città , la Elisabethstrasse. Figure di rilievo, soprattutto per la comunità ebrea, Adele e suo marito Ferdinand erano considerati veri e propri protettori delle arti. Adele stessa animava un importante salotto viennese che ospitava figure di rilievo, tra cui anche Gustav Mahler, Arthur Schnitzler e Gustav Klimt.
Esponente dell’art nouveau viennese, Klimt era noto per i dipinti carichi di erotismo, e Adele Bloch-Bauer era uno dei soggetti preferiti. Nel famoso dipinto, Adele veniva raffigurata come una regina egiziana, adornata d’oro e di gioielli. Il collier che Adele indossava nel quadro fu successivamente donato a Maria come regalo di nozze dallo zio Ferdinando, dopo la morte di Adele, avvenuta per meningite nel 1925.
All’età di 21 anni, Maria sposò un aspirante cantante lirico, Fritz Altmann. Solo sei settimane più tardi, il 13 marzo 1938, la Germania di Hitler annetteva l’Austria al Terzo Reich. Il cosiddetto “Anschluss†fu accolto a braccia aperte dagli austriaci, che erano soliti gettare fiori per accompagnare la Marcia nazista lungo le imponenti strade della capitale austriaca. Fu così che l’età d’oro della comunità ebraica austriaca fu crudelmente interrotta dai nazisti. Società e residenze furono distrutte, saccheggiate, ridotte in macerie. La stessa sorte toccò anche ai Bloch-Bauer. Dopo l’arresto di Fritz e la breve detenzione a Dachau, uno dei primi campi di concentramento, lui e Maria decisero di lasciare l’Austria. Si trasferirono in Inghilterra, prima di approdare definitivamente in America. Dopo la morte del padre di Maria, avvenuta poco tempo dopo la sua partenza, l’appartamento di Elisabethstrasse fu depredato e saccheggiato dai nazisti. Il collier di Adele, donato a Maria come regalo di nozze, finì nelle mani di Emmy, moglie di Hermann Goering. Nel 1943, con l’avallo dei nazisti austriaci, i Klimt trafugati furono esposti in una mostra. A quel
periodo risale la trasformazione del nome, in origine Ritratto di Adele Bloch-Bauer – in “La dama in oroâ€.
Arrivati negli Stati Uniti, Maria e Fritz si stabilirono in California, e qui educarono i quattro figli. Ma mentre il testamento dello zio Ferdinand stabiliva che, alla sua morte, tutti gli averi sarebbero andati a Maria e ai suoi fratelli, il governo austriaco convinceva gli eredi a rinunciare ai Klimt in cambio delle opere minori della collezione privata di Ferdinand.
Nel 1998, Maria Altmann chiede a un amico di famiglia, l’avvocato Randy Schoenberg – nipote di un altro importante ebreo viennese, il compositore Arnold Schoenberg – di intentare una causa contro il governo austriaco allo scopo di rientrare in possesso dei dipinti di Klimt. L’attribuzione della destinazione ultima dei dipinti suscita opinioni contrastanti, avendoli Adele Bloch-Bauer destinati alla Galleria Nazionale Austriaca, in una lettera scritta a suo marito. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1925, diversi anni prima dell’invasione nazista, Ferdinand però aveva reso nullo questo suo desiderio, scrivendo un testamento vincolante dal punto di vista legale, in cui nominava i nipoti suoi unici eredi. Quando l’Austria rigetta la richiesta di Maria, la donna è costretta a cercare giustizia nel sistema giuridico Americano, approfittando di una legge che consente ai cittadini americani di intentare cause contro i governi di altri Paesi rimanendo all’interno dei confini nazionali.
Dopo molti anni, Maria e Randy vincono la causa legale contro il governo austriaco, che tenta, tuttavia, di trascinarli dinanzi alla Corte Suprema. Dopo il parere favorevole di quest’ultima, l’Austria acconsente a un arbitrato interno alla presenza di tre giudici austriaci. Il 17 gennaio 2006, contro ogni previsione, i giudici annunciano il verdetto finale. Tutti e cinque dipinti di Klimt dovranno essere restituiti a Maria Altmann e alla sua famiglia. Lo stesso anno, i dipinti vengono esposti nella città d’adozione di Maria, Los Angeles, prima di essere venduti all’asta a collezionisti privati. Il Ritratto di Adele Bloch-Bauer viene acquistato per 135 milioni di dollari dal magnate della cosmetica mondiale Ronald Lauder, ed esposto alla Neue Galerie di New York. A distanza di sessant’anni, finalmente Maria Altmann e la sua famiglia hanno trovato giustizia. Maria Altmann è morta nel 2011 all’età di 94 anni.
Schoenberg ha aperto uno studio legale specializzato in restituzione di opere d’arte. Parte del ricavato della vendita dei Klimt è stato utilizzato da Schoenberg per finanziare la nuova ala del Museo dell’Olocausto di Los Angeles, e per
cercare di tenere viva la memoria per le generazioni future.
Cast: Helen Mirren (Maria Altmann) Ryan Reynolds (Randol Schoenberg) Daniel Brühl (Hubertus Czernin) Katie Holmes (Pam Schoenberg) Tatiana Maslany (Maria Altmann giovane) Max Irons (Fredrick 'Fritz' Altmann) Charles Dance (Sherman) Antje Traue (Adele Bloch-Bauer) Elizabeth McGovern (Giudice Florence Cooper) Jonathan Pryce (William Rehnquist) Frances Fisher (Barbara Schoenberg) Moritz Bleibtreu (Gustav Klimt) Tom Schilling (Heinrich) Allan Corduner (Gustav Bloch-Bauer) Henry Goodman (Ferdinand Bloch-Bauer) Cast completo
Nina Kunzendorf (Therese Bloch-Bauer) Rolf Saxon (Stan Gould) Anthony Howell (Ufficiale austriaco) Crystal Clarke (Cassiera) Neve Gachev (Osservatrice di corte) (Non accreditata)
Musica: Martin Phipps e Hans Zimmer
Costumi: Beatrix Pasztor
Scenografia: Jim Clay
Fotografia: Ross Emery
Montaggio: Peter Lambert
Effetti Speciali: Mark Holt
Makeup: Naomi Donne
Casting: Deborah Aquila, Simone Bär, Gary Davy, Jennifer L. Smith e Tricia Wood
Scheda film aggiornata al:
22 Settembre 2024
Sinossi:
IN BREVE:
All'età di 80 anni Maria Altmann (Helen Mirren), ebrea austriaca sfuggita alle persecuzioni, intraprese una campagna contro il governo per riavere indietro alcune opere d'arte che appartenevano alla sua famiglia. Tra queste la più celebre è il quadro di Gustav Klimt Il Ritratto di Adele Bloch-Bauer I, un'opera del valore di 130 milioni di dollari regalata dallo stesso pittore ai parenti della Altmann.
Maria Altmann, an octogenarian Jewish refugee, takes on the government to recover artwork she believes rightfully belongs to her family.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
PER NON DIMENTICARE! MAI!
Per non dimenticare! Mai! Ecco un'altra storia nella Storia. Una storia personale se vogliamo, ma intimamente legata alla Storia da manuale. A quella Storia. La Storia di sempre. La Storia che, dismesso il protagonismo all'altezza della Seconda Guerra Mondiale, si aggira come un fantasma, facendo un'ingombrante ombra, fra le tombe dei morti di quel passato e le vite dei vivi abbarbicati ad un presente scarnificato. Un Presente destinato a non avere alcun senso se privato delle radici del Passato. E proprio Passato e Presente si sfiorano, si scontrano, si intrecciano, nella incredibile storia di Maria Altmann, una giovane donna ebrea austriaca, costretta a fuggire da Vienna, poco dopo il trionfale arrivo dei nazisti in città , quando tutti i loro beni (compreso il violoncello che era la ragione di vita del padre) venivano loro confiscati nella maniera più 'gentile' che contraddistingue il marchio di fabbrica nazista in nome
di una sedicente frode fiscale dello zio, e tutta la famiglia veniva inchiodata agli arresti domiciliari. Una storia vera che riporta il Passato al fianco del Presente al crocevia della Memoria. Un dovere universale verso la civiltà , la giustizia, il lavaggio della macchia di una Vergogna di cui resterà sempre l'alone.
l'Arte ha da sempre incarnato il trofeo irrinunciabile per dittatori e invasori votati a regimi totalitari, letteralmente ossessionati dall'appropriarsi indebitamente di tutti quei simboli elettivi di identità e libertà . In Woman in Gold di Simon Curtis (Marylin), già acclamato alla 65. Berlinale, si racconta così un caso emblematico tra i tanti che la Storia custodisce all'ombra delle sue memorie più preziose nella Memoria. Il caso del Ritratto di Adele Bloch-Bauer di Gustav Klimt, universalmente noto e amato dal vasto pubblico e non solo degli storici dell'Arte. Ma forse non tutti avevano ben chiara la sua storia, i suoi passaggi di proprietà e le battaglie legali all'indomani dell'indebito trafugamento nazista dall'abitazione della famiglia di Maria Altmann. Di come il celebre dipinto sia assurto agli onori del Museo del Belvedere viennese nei termini di una 'Monna Lisa austriaca', la 'regina', indegno simbolo di un popolo in quanto frutto di un furto di
proprietà e dell'autentica identità . Non è un caso che la didascalia del dipinto al Museo la indicasse come la 'Donna in oro', la 'Woman in Gold' del titolo del film, appunto, e non con la sua vera identità di Ritratto di Adele Bloch-Bauer. Furto di proprietà ma soprattutto di identità dunque.
E' questa la chiave di lettura del Woman in Gold che il regista Simon Curtis ha trattato in guanti bianchi: con tatto, delicatezza, eleganza e un raro charme in grado di accendere la fiamma dell'emozione forte, sia verso i fotogrammi grondanti la Storia, sia verso quelli degli avvicendamenti più recenti della storia personale della protagonista (la vera Maria Altmann è deceduta nel 2011), cavalcando quasi le dinamiche di un vero e proprio thriller. Tutto il racconto si snoda in maniera straordinariamente palpitante, facendo affidamento su un raffinato montaggio di intreccio, tra vari anni nel Presente, e vari momenti del Passato
della nostra protagonista. I rigurgiti di intime memorie personali che la legano alla protagonista del quadro, quella zia che nella sua breve vita (morta poco più che quarantenne) non ha mancato di instillarle preziose pillole di saggezza per la vita. Una cornice raffinata e profonda per entrare nelle pieghe di quel legame personale tanto quanto nei risvolti delle conseguenze sulla Storia e sulle relazioni internazionali mondiali.
docet), si lancia in un carattere tanto determinato e a tratti austero, perfino rabbioso, quanto con uno straordinario senso dello humour. Spiazzante per chi si troverà a farci i conti: primo fra tutti il giovane avvocato Randol (Randy) Schoenberg, con cui si fa onore Ryan Reynolds, in quella escalation emotiva di crescita interiore che riesce a far affiorare una imprevista consapevolezza. La presa di coscienza delle proprie radici, pure austriache e blasonate, in maniera non dissimile da Maria Altmann che ha conosciuto fin da bambino. Una presa di coscienza, complice una sosta al Memoriale per l'Olocausto a Vienna, in grado di fare la differenza e di dimostrare quanto Presente e Passato possano, anzi opportunamente debbano, essere interdipendenti.
Mirren e Reynold assorbono quasi interamente la nostra attenzione, con tutte quelle schegge corali che trasudano una Storia ben nota sulla scia della Memoria, là dove brillano le altre due interpreti: Antje Traue,
di una bellezza da bucare lo schermo (nei panni della zia Adele del ritratto di Klimt) e Tatiana Maslany (in quelli di Maria Altmann all'epoca del suo fastoso matrimonio viennese con danze ebraiche in primo piano e della fuga da Vienna per Los Angeles). Il giovane collaboratore alle indagini Hubertus Czernin, per l'improbabile restituzione dell'opera da parte del Governo Austriaco, mentre si rivela cruciale sulla carta, diventa assolutamente insignificante indossato da un Daniel Brühl, scialbato tanto quasi Katie Holmes nelle vesti della moglie di Randy/Reynold.
Attenzione catturata e rapita da una cornice registica che si mostra capace di assestare un epilogo da manuale, in uno speciale ricongiungimento tra Presente e Passato. Da Standing Ovation.
Si diceva un caso tra i tanti. Nel caso non fossimo indottrinati sui numeri ci viene in soccorso quel 'cortometraggio di verità ' - ma la verità è ricercata fin dall'inizio anche con la scelta di far parlare gli
attori in tedesco, ricorrendo ai sottotitoli, per gli scorci del Passato e ogni qualvolta si è reso necessario nel Presente - con cui Curtis ci rinfresca la memoria, sui fatti, sulla reale protagonista e sulla stima dei dipinti ed opere d’arte sottratti illecitamente alle famiglie ebree dai nazisti: sembra che oltre 100.000 siano tutt'oggi in attesa di restituzione. Una restituzione che con tutta probabilità nella maggior parte dei casi non avverrà mai, per quanto, questo vero e proprio tesoro dal valore inestimabile continui ad aumentare con nuovi ritrovamenti e nuove scoperte. Il pressbook integra le informazioni al riguardo e mi piace estrapolare quel tanto che basta a rinforzare la memoria nella memoria: "Tra le opere si annoverano capolavori di alcuni dei grandi maestri della pittura del XIX e XX secolo tra cui Matisse, Emil Nolde, Franz Marc, Otto Dix, Max Beckmann, Paul Klee, Oskar Kokoschka, Ernst Ludwig Kirchner e Max
Liebermann. Non tutte purtroppo sono state ritrovate: dopo essere stata trafugata dai nazisti, la Testa del Fauno scolpita da un giovanissimo Michelangelo è data per scomparsa. Adolf Hitler promulgò a questo scopo una legge di confisca, definita dell''arte corrotta' il 31 maggio 1938. Per il numero delle opere trafugate, per il valore e per l’ufficialità data con la creazione di una legge ad hoc, il periodo del nazismo detiene sicuramente il primato di questa pratica". Forse così si capisce ancora meglio come Passato e Presente si trovino sulla stessa inscindibile lunghezza d'onda. Mi sembra non ci sia altro da aggiungere.
Secondo commento critico (a cura di PETER DEBRUGE, www.variety.com)
THIS HEAVY-HANDED RETELLING OF THE FIGHT TO RECLAIM A GUSTAV KLIMT PAINTING STOLEN BY NAZIS IS NO MASTERPIECE.
Gustav Klimt may have been celebrated for his gilded portraits of elegant Austrian ladies, but that doesn’t necessarily mean the same approach suits “Woman in Gold,†director Simon Curtis’ garish “good taste†account of how a determined Jewish exile (played by Helen Mirren) sought the restitution of a Klimt painting seized by the Nazis. Weinsteined to within an inch of its life, this compelling true story forbids any room for perfectly reasonable arthouse audiences to question Maria Altmann’s case, striking back at the anti-Semitism of the time with an equally noxious caricature of modern Austrians as law-bending, art-thieving monsters.
In other words, “My Week With Marilyn†director Curtis and screenwriter Alexi Kaye Campbell (a theater talent making his bigscreen debut) have taken the position that there’s no room for debate where rectifying the
wrongs of Austria’s past is concerned, which makes for a reasonably dull ride, as both director and scribe take a fairly predictable paint-by-numbers approach to the subject of fine art — a category for which the film itself could scarcely be mistaken. This is manufactured sentiment, less interested in provoking thought than in manipulating emotion, constructed of human obstacles overcome, stirring speeches delivered and heart-rending flashbacks unveiled, all suspended like so much Spam in the jelly of its own score — so much heavy-handed strings-and-pianos business from Martin Phipps and Hans Zimmer, plastered on more liberally than the gold leaf applied by Klimt himself.
Ah, Klimt. The artist makes a distractingly corny cameo early on (played by popular German actor Moritz Bleibtreu), in which he caresses his model, Adele Block-Bauer (Antje Traue), as she sits for her famous portrait. He will resurface at the end to smile approvingly upon the outcome
of Altmann’s case, despite the fact that the Austrian government had effectively honored the wording of Adele’s will, proudly displaying “Portrait of Adele Bloch-Bauer I†for some 60 years in Vienna’s Belvedere Palace.
But — and this is no small thing — the painting was not Adele’s to give. It was commissioned and paid for by her industrialist husband (renowned Jewish stage actor Henry Goodman), confiscated by German authorities under false pretenses and acquired eight years later, in 1941, by Belvedere curator Bruno Grimschitz — one of the movie’s many bureaucratic supervillains, whose unfortunate-sounding moniker Campbell exploits for a cheap laugh. (Nearly all the jokes amount to schoolyard-quality jibes.) Obviously, not all Austrians are as evil as the film would have audiences believe, but Grimschitz was a heel: He knew the artwork’s provenance, scrubbed its Jewishness and rechristened the painting “Golden Portrait†(later “The Lady in Goldâ€).
More than half a century
later, now living in Los Angeles and played by a lightly accented and eccentrically fussy Mirren, Altmann sets out to reclaim what was rightfully hers, though the odds are against her: Though Austria has publicly stated it intends to return stolen artworks to their rightful owners, this particular piece has since become the country’s Mona Lisa. “Do you think that a painting that ends up as a fridge magnet will ever leave Austria?†asks the wonderfully stern Charles Dance, evidently on loan from “The Imitation Game†(he’s just one of many distinguished thesps doing day-player duty in the film, including Elizabeth McGovern and Jonathan Pryce as federal judges, respectively).
Working family connections to find a lawyer, Altmann enlists nervous “schoolboy†Randy Schoenberg (Ryan Reynolds, shockingly miscast), the grandson of Jewish composer Arnold Schoenberg, whose music was deemed “degenerate†by the Nazi culture police (but, if sparingly applied, might have made a
more fitting score than the one slathered thickly over every scene). With a pregnant wife (Katie Holmes) at home, the young Schoenberg is far out of his depth handling a case such as this, for which there is very limited precedent, and though Campbell’s screenplay attempts to convey the finer legal points raised by Altmann’s claim, the film is ultimately more interested in some higher sense of justice.
One dimension of that justice involves the film’s right to re-create, in painfully melodramatic terms, the mistreatment of Jews by their Austrian countrymen in the early ’30s. In stark contrast with the hyper-saturated contemporary footage (unusually bright for typically gothic d.p. Ross Emery), Curtis depicts festive rallies in which the Viennese people enthusiastically welcomed their Nazi occupiers. He shows Jewish families forced to scrub sidewalks and kneel quietly while rowdy onlookers cheered their humiliation.
Seeing as how the national attitude was permitted to unfairly
denigrate an entire race at the time, the film returns the favor, presenting all Austrians as cardboard villains — cruel, greedy and staunchly unhelpful — with just two exceptions: Profil magazine editor Hubertus Czernin (Daniel Bruhl), who assists Altmann in the present, and a kindly washerwoman who helped her to escape a fleeing Nazi officer (rising star Tom Schilling) so many years ago. The film makes it a point to dramatize this cruelty in German, presenting English as Altmann’s liberated language, going so far as to transition between the two in a choked-up scene between the young Maria (“Orphan Black’s†Tatiana Maslany) and her father (Alain Corduner).
Nuance is nowhere to be found in Curtis’ strong-arm approach, and though a certain audience won’t object to being forced how to feel, there’s a monumental issue at stake here that the film scarcely acknowledges: Does (or should) anyone really own art? At a
moment when the music and movie industries have all but lost control of their own product and the public feels more entitled than ever to access such media for free, what does it mean for the world’s most valuable paintings to remain in private hands? (The prickly subject served as the backbone of the 2006 docu “The Rape of Europa,†but is hardly limited to Nazi activity, affecting everything from looted antiquities in the Getty collection to the return of Prague’s Lobkowicz Palace after the fall of communism in the Czech Republic.)
After winning her case, Altmann removed the Bloch-Bauer portrait from the Belveder Palace and sold it to Ronald Lauder (ghoulishly portrayed in a short scene here) for the record sum of $135 million. Now, like Altmann herself, the Austrian masterpiece was sent to live abroad. The film goes out of its way to stress that her fight was not
about the money. It would be nice to buy a new washer machine, she admits at one point. As for the filmmakers, they’re doing it to see the looks on the faces of all those nasty Austrians. Picture a screengrab of that moment, displayed in the Belvedere where “The Lady in Gold†once hung. Priceless.