INTERSTELLAR: VIAGGI NEL TEMPO PER CHRISTOPHER NOLAN SULLE ORME DELLE TEORIE SCIENTIFICHE DEL FISICO ED ASTROFISICO ESPERTO DI RELATIVITA' E CAMPI GRAVITAZIONALI KIP S. THORNE
5 NOMINATION agli OSCAR 2015: MIGLIOR SCENOGRAFIA - Production Design: Nathan Crowley; Set Decoration: Gary Fettis; MIGLIOR COLONNA SONORA (Hans Zimmer); MIGLIOR SONORO (Gary A. Rizzo, Gregg Landaker e Mark Weingarten); MIGLIORI EFFETTI VISIVI (Paul Franklin, Andrew Lockley, Ian Hunter e Scott Fisher); MIGLIOR MONTAGGIO SONORO (Richard King) - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by SCOTT FOUNDAS (www.variety.com) - Dal 6 NOVEMBRE
"Per me, l'esplorazione dello spazio rappresenta l'estremo assoluto dellâesperienza umana. E' per certi versi un modo per definire la nostra esistenza nellâambito dellâ universo. Per un regista, la straordinarietĂ di pochi individui selezionati che si spingono oltre i confini della specie umana, verso lâignoto o dove possono eventualmente arrivare, fornisce una risorsa infinita di opportunitĂ . Ero elettrizzato allâidea di fare un film che avrebbe fatto vivere al pubblico quellâ esperienza attraverso gli occhi dei primi esploratori che viaggiano verso l'infinito della galassia- anzi attraverso tutta unâ altra galassia. Eâ come un viaggio talmente grande, difficile da immaginare e raccontare... Sono sempre stato incuriosito da come potrebbe essere la nostra futura evoluzione. Se la Terra è un nido, come ci comporteremmo quando arriva il momento di lasciarlo?... Sostengo che la grandezza e la magnificenza dello spazio è uno sfondo interessante per esplorare le relazioni interpersonali, che sono tanto forti e significative per noi, quanto trovarci una collocazione nell'universo... 'Interstellar' riguarda un poâ tutto - chi siamo, dove stiamo andando - ma per me, prima di tutto approfondisce il concetto di paternitĂ . Sono tutti questi concetti messi assieme che fanno la storia del film, non si tratta unicamente di godersi un viaggio intergalattico solo per amore dello spazio".
Il regista e co-sceneggiatore Christopher Nolan
"La storia è emersa dalle menti fertili degli sceneggiatori, ma sempre entro i confini stabiliti dalla scienza, o da ciò che possiamo ragionevolmente estrapolare sui concetti che vanno leggermente oltre le frontiere della nostra conoscenza".
Lo scienziato Kip Thorne
Soggetto: Storia dello scienziato Kip Thorne (anche produttore esecutivo del film)
PRELIMINARIA - LA TEORIA SCIENTIFICA cui si ispira il FILM:
Interstellar tratta il tema dei viaggi nel tempo basandosi sulle teorie scientifiche di Kip S. Thorne, un fisico esperto di relatività che sostiene l'esistenza di gallerie gravitazionali (in inglese "wormholes") che possono essere sfruttate per andare avanti e indietro tra passato e futuro. Thorne non è solo un fisico ma anche un astrofisico che lavora a Caltech, la California Institute of Technology.
Nel tentativo di rappresentare lo spazio in modo realistico, piĂš o meno come vengono rappresentati i personaggi della storia in carne ed ossa, i realizzatori si sono basati dunque sulle teorie del fisico teorico Kip Thorne riguardo la possibilitĂ di viaggiare tra vari sistemi solari attraverso un cunicolo spazio-temporale (wormhole), e che costituisce la spina dorsale scientifica dello script.
William Devane (Tom vecchio) Jeff Hephner (Dottore) Leah Cairns (Lois) Bill Irwin (TARS) (Voce) Elyes Gabel Mark Casimir Dyniewicz (Ispettore della NASA) Liam Dickinson (Coop) Francis X. McCarthy (Agricoltore) Andrew Borba (Smith) Kristian Van der Heyden (Scienziato) Alexander Michael Helisek (Imprenditore edile) Marlon Sanders (Jenkins) Benjamin Hardy (Scienziato della NASA) William Patrick Brown (Impiegato della NASA)
Musica: Hans Zimmer
Costumi: Mary Zophres
Scenografia: Nathan Crowley
Fotografia: Hoyte Van Hoytema
Montaggio: Lee Smith
Effetti Speciali: John Kelso e Paul Franklin (supervisori effetti speciali)
Makeup: Luisa Abel (capo dipartimento makeup); Patricia DeHaney (capo dipartimento acconciature)
Casting: John Papsidera
Scheda film aggiornata al:
20 Gennaio 2015
Sinossi:
IN BREVE:
In un futuro imprecisato, un drastico cambiamento climatico ha colpito duramente l'agricoltura. Un gruppo di scienziati, sfruttando un "wormhole" per superare le limitazioni fisiche del viaggio spaziale e coprire le immense distanze del viaggio interstellare, cercano di esplorare nuove dimensioni. Il granturco è l'unica coltivazione ancora in grado di crescere e loro sono intenzionati a trovare nuovi luoghi adatti a coltivarlo per il bene dell'umanità . Il film Ê ispirato dalle teorie del fisico Kip Thorne sui campi gravitazionali e vede una squadra di astronauti che provano ad effettuare un viaggio attraverso un buco nero... e quindi in un'altra dimensione.
SHORT SYNOPSIS:
An exploration of physicist Kip Thorne's theories of gravity fields, wormholes and several hypotheses that Albert Einstein was never able to prove.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
QUALE FUTURO PER IL GENERE UMANO TRA LE STELLE? CON AL TIMONE DELLA REGIA IL PIU' CHE NAVIGATO CHRITOPHER NOLAN, AD INTRAPRENDERE UNA CROCIERA INTERGALATTICA D'ISPEZIONE, IL SEMPRE PIU' TEMERARIO MATTHEW MCCONAUGHEY, QUI, AGRICOLTORE PER CASO, IN PUNTA DI EMERGENZA, CON LA DOPPIA RESPONSABILITA' DI PILOTA SPAZIALE TANTO QUANTO DI PADRE DI FAMIGLIA. MA UN ECCESSO DI AMBIZIONE, DI ESASPERAZIONE TEMPORALE, IL RICORRENTE INCIAMPO IN FUTILI DIDASCALISMI, IN CADUTE DI STILE SOPRATTUTTO NELLA SCIATTA, E A TRATTI PERSINO BANALE SCENEGGIATURA, QUANDO NON ADDIRITTURA IN EFFETTI VISIVI RAFFAZZONATI E RISIBILI (LA SEQUENZA DEI MOTI ONDOSI DOCET), FINISCONO PER DISPERDERE NELL'IMMENSITA' SPAZIALE QUEI PASSI PIU' AUTORIALI, DI UN'ORIGINALITA' GENIALE CHE NOLAN D'ALTRA PARTE NON FA MANCARE AL SUO 'INTERSTELLAR', EMOTIVO E SENTIMENTALE, EPPURE CARENTE, PERSINO IN PERFORMANCE MEMORABILI. A BEN VEDERE E' UNA GRANDE ACCADEMIA A CONDURRE IL GIOCO, ECCEZION FATTA PER MCCONAUGHEY, (FORSE) E PER IL PERSONAGGIO DI MURPH (CERTAMENTE, SIA
NELLA TENERA ETA' DI BAMBINA CON MACKENZIE FOY CHE DA GRANDE CON JESSICA CHASTAIN
La regia di Christopher Nolan naviga da tempo alquanto speditamente nei mari aperti del fantasy-Sci Fi senza il rischio di farsi mai scivolare il timone dalle mani: la saga de Il Cavaliere Oscuro, Il Cavaliere Oscuro-Il ritorno, Inception docent. E, tanto per mantenere salda la presa, Nolan si fa seguire pure in Interstellar da alcuni protagonisti dello staff tecnico Doc proprio de Il cavaliere oscuro: dallo scenografo Nathan Crowley, al montatore Lee Smith, entrambi candidati all'Oscar, dal supervisore degli effetti speciali Scott Fisher, fino al monumentale compositore Hans Zimmer che l'Oscar se l'è invece portato a casa in carne ed ossa, come del resto Paul Franklin (Inception) qui alla supervisione degli effetti visivi. Uno staff garante e garantito che in un film come Interstellar poteva fare la differenza. Ma Nolan sa bene che effetti e musiche da
soli non bastano a fare un grande film. L'ha sempre saputo. CosÏ adesso, ad innervare il suo Interstellar di tutta la linfa emotiva che può esprimere l'essere umano, ha chiamato una parte non indifferente del gotha hollywoodiano in celluloide, incastonato come si deve nell'aureo giro anulare che culmina nella pietra piÚ luminosa al centro del suo prezioso gioiello: a Matthew McConaughey (Premio Oscar per Dallas Buyers Club) Nolan affida il ruolo centrale di Cooper, un ex pilota collaudatore ed ingegnere formato secondo le regole adrenaliniche delle Giovani Aquile che sfidano continuamente i propri limiti aspirando ad aprirsi una strada nella galassia, di saggiare il terreno galattico oltre 'frontiera' allo scopo di trovare un posto tra le stelle per l'umanità . Non tanto per capriccio quanto per necessità : quella dettata da un futuro prossimo in cui la crisi delle produzioni agricole ha messo il mondo a rischio di sopravvivenza e dunque di
estinzione (per le ambientazioni sulla Terra delle comunitĂ agricole hanno scelto la regione di Okotoks, poco a sud della cittĂ di Calgary, in Alberta, Canada).
CosĂŹ questa volta la novella 'mission', a dir poco audace se non proprio 'impossible', impone al genere umano di abbattere le barriere del tempo e dello spazio, per un nuovo viaggio della 'speranza'. Un viaggio che affida una efficace plausibilitĂ in parte alle teorie del fisico teorico Kip Thorne riguardo la possibilitĂ di viaggiare tra vari sistemi solari attraverso cunicoli spazio-temporali (wormholes), e che costituisce la spina dorsale scientifica dello script, in parte alla 'fantastica' abilitĂ di effetti visivi che in un film come questo trovano il loro elettivo 'red carpet' o, per meglio dire, contestualizzando, 'black carpet'. E il trionfale sottotitolo della locandina 'la fine del mondo non sarĂ la nostra fine' non nasconde nulla dell'epilogo della missione nel segno di una visione decisamente
ottimistica. Rincara la dose l'uscita di Cooper/McConaughey "Troveremo una soluzione. Lâabbiamo sempre fattoâ.
La domanda sorge spontanea: come sarebbe stato Interstellar nelle mani di George Lucas e/o di Steven Spielberg? Dopo aver saputo che la Paramount inizialmente aveva pensato a questi due 'guru' del gotha cinematografico hollywoodiano, l'opzione di un'altra confezione è stata concretamente nella rosa delle possibilità , ma la risoluzione finale ha sterzato sulla sponda di Christopher Nolan, che in un certo senso, di Lucas e Spielberg può dirsi 'figlioccio' (e non solo perchÊ in Interstellar ha previsto robotica personalizzata con buona percentuale di umorismo come Tars, quasi un anagramma di Star (Wars) e Case). Ma in questo Interstellar, possiamo trovare tutto e nulla, o per meglio dire, altro: da Stanley Kubrick (2001 Odissea nello spazio, che Nolan omaggia nella struttura a trittico per distanziarsene d'altra parte anni luce sfrangiandola con il montaggio alternato e dal punto di vista
di una grammatica quasi opposta per respiro metafisico; dal Gravity di Cuaron per l'intima connessione con quel trasporto dello spettatore in prima persona nel profondo ed assoluto silenzio dell'assenza gravitazionale nel cuore spaziale, salvo poi superarlo con la geniale resa visiva e concettuale (oltre che con il didascalico esempio del foglio di carta) del wormhole inteso come sferico, e soprattutto dal Contact di Robert Zemeckis, cui Interstellar è in debito in primo luogo per il cuore palpitante del racconto legato al legame d'amore particolarmente forte (la madre è morta in entrambi i casi) tra un padre e una figlia che condividono la passione per la scienza applicata allo spazio e alla nostra compatibilità con altri pianeti, tale da impegnarli su sponde diverse tutta una vita per ricercare e ricercarsi, per trovare e (ri)trovarsi, all'incrocio tra amore e scienza, in grado di viaggiare su binari paralleli e di compensarsi, oltre che
il richiamo, sempre di grande effetto, della liquiditĂ di superficie in pieno wormhole.
Ma ovviamente Nolan produce il suo prodotto ed ogni volta si sporge ben oltre, spesso fin troppo, dando alla visione d'insieme l'impressione di un tema bellissimo ma sgrammaticato, o di un 'collage' a piÚ mani, di grande effetto sia emotivo che scenico, ma un pò scollato qua e là , dove la mancanza di aderenza scopre vistose falle che negano all'ambiziosissimo progetto l'affascinante autorialità che avrebbe meritato e che in parte, ma solo in parte, detiene, strizzando l'occhio al blockbuster di alto lignaggio. D'altra parte non mancano notevoli punti di forza: l'input documentaristico del racconto iniziale a piÚ voci (dopo l'apripista in voce fuori campo di Murph) che tornano in struttura circolare verso la fine in video televisivi, il montaggio allineato su sequenze temporali distanti tra loro - la partenza di Cooper/McConaughey dalla fattoria su cui Nolan spalma
senza sbavatura alcuna e con un impatto emotivo senza pari quella verso lo spazio, può dirsi figlia elettiva del tocco artistico di Alan Pakula in un particolare fotogramma de L'ombra del diavolo - ma, soprattutto, le incredibili sequenze di comunicazione indotta tra padre nello Spazio e figlia sulla Terra, che danno corpo e anima alle teorie scientifiche appuntate sulla quinta dimensione temporale. Non fosse per altro, solo queste, e francamente, non solo queste, rendono Interstellar un appuntamento d'obbligo.
Occorre solo armarsi di paziente indulgenza perchè per arrivarci dovremo passare sopra i sarcasmi o i piagnistei della dottoressa Amelia Brand (mai Anne Hathaway è stata cosÏ fuori fuoco) ed altri futili inciampi, sia dal punto di vista della sceneggiatura, che non regge affatto il livello cui ambisce il film, che dal punto di vista visivo (con sequenze come quella dei moti ondosi o dell'attracco alla navicella in circostanze straordinarie, tanto per
fare qualche esempio, assolutamente 'out'), e persino dal punto di vista musicale, talora compassato su note di orecchiata classicitĂ , di kubrickiana memoria, quando non persino invadente.
CosÏ, a conti fatti, ci si pone un altro interrogativo: la Murph di Interstellar, dall'alto di tanto dispiego di forze, tecniche e di intelligence, sia scientifica che cinematografica, il personaggio nelle diverse età incarnato al meglio da Mackenzie Foy (da bambina) da Jessica Chastain (da adulta) e da Ellen Burstyn in un palpitante cameo (da vecchia), può competere con la Ellie Arroway (Jena Malone da piccola e Jodie Foster da adulta) di Contact? Devo dire che, con tutta la sua semplice linearità - in confronto al genere di realizzazione di Interstellar, Contact sembra elementare - sul match delle due diverse concezioni dello stesso dittico di amore-scienza, il Contact di Zemeckis potrebbe dare ancora oggi del filo da torcere all'Interstellar di Nolan. Se non
altro per una bella lezione di profilo basso ma assolutamente coerente. Profilo basso è poi del resto una parola grossa: di quel tuffo ad immersione in pieno spazio intergalattico in apertura e delle visioni per le quali un'estasiata Ellie non poteva dire altro che "Non ci sono parole, non ci sono parole", ne vogliamo parlare?!
Secondo commento critico (a cura di SCOTT FOUNDAS, www.variety.com)
CHRISTOPHER NOLAN HOPSCOTCHES ACROSS SPACE AND TIME IN A VISIONARY SCI-FI TRIP THAT STIRS THE HEAD AND THE HEART IN EQUAL MEASURE.
To infinity and beyond goes âInterstellar,â an exhilarating slalom through the wormholes of Christopher Nolanâs vast imagination that is at once a science-geek fever dream and a formidable consideration of what makes us human. As visually and conceptually audacious as anything Nolan has yet done, the directorâs ninth feature also proves more emotionally accessible than his coolly cerebral thrillers and Batman movies, touching on such eternal themes as the sacrifices parents make for their children (and vice versa) and the world we will leave for the next generation to inherit. An enormous undertaking that, like all the directorâs best work, manages to feel handcrafted and intensely personal, âInterstellarâ reaffirms Nolan as the premier big-canvas storyteller of his generation, more than earning its place alongside âThe Wizard of Oz,â â2001,â
âClose Encounters of the Third Kindâ and âGravityâ in the canon of Hollywoodâs visionary sci-fi head trips. Global box office returns should prove suitably rocket-powered.
We begin somewhere in the American farm belt, which Nolan evokes for its full mythic grandeur â blazing sunlight, towering corn stalks, whirring combines. But it soon becomes clear that this would-be field of dreams is something closer to a nightmare. The date is an unspecified point in the near future, close enough to look and feel like tomorrow, yet far enough for a number of radical changes to have taken hold in society. A decade on from a period of widespread famine, the worldâs armies have been disbanded and the cutting-edge technocracies of the early 21st century have regressed into more utilitarian, farm-based economies.
âWeâre a caretaker generation,â notes one such homesteader (John Lithgow) to his widower son-in-law, Cooper (Matthew McConaughey), a former NASA test pilot
who hasnât stopped dreaming of flight, for himself and for his children: 15-year-old son Tom (Timothee Chalamet) and 10-year-old daughter Murphy (Mackenzie Foy), the latter a precocious tot first seen getting suspended from school for daring to suggest that the Apollo space missions actually happened. âWe used to look up in the sky and wonder about our place in the stars,â Cooper muses. âNow we just look down and wonder about our place in the dirt.â
And oh, what dirt! As âInterstellarâ opens, the world â or at least Cooperâs Steinbeckian corner of it â sits on the cusp of a second Dust Bowl, ravaged by an epidemic of crop blight, a silt-like haze hanging permanently in the air. (Some of this scene-setting is accomplished via pseudo-documentary interviews with the elderly residents of some more distant future reflecting on their hardscrabble childhoods, which Nolan films like the âwitnessâ segments from Warren
Beattyâs âReds.â) And as the crops die, so the Earthâs atmosphere becomes richer in nitrogen and poorer in oxygen, until the time when global starvation will give way to global asphyxiation.
But all hope is not lost. NASA (whose massive real-life budget cuts lend the movie added immediacy) still exists in this agrarian dystopia, but itâs gone off the grid, far from the microscope of public opinion. There, the brilliant physicist Professor Brand (Michael Caine, forever the face of avuncular wisdom in Nolanâs films) and his dedicated team have devised two scenarios for saving mankind. Both plans involve abandoning Earth and starting over on a new, life-sustaining planet, but only one includes taking Earthâs current 6-billion-plus population along for the ride. Doing the latter, it seems, depends on Brandâs ability to solve an epic math problem that would explain how such a large-capacity vessel could surmount Earthâs gravitational forces. (Never discussed
in this egalitarian society: a scenario in which only the privileged few could escape, a la the decadent bourgeoisie of Neill Blomkampâs âElysium.â)
Many years earlier, Brand informs, a mysterious space-time rift (or wormhole) appeared in the vicinity of Saturn, seemingly placed there, like the monoliths of â2001,â by some higher intelligence. On the other side: another galaxy containing a dozen planets that might be fit for human habitation. In the wake of the food wars, a team of intrepid NASA scientists traveled there in search of solutions. Now, a decade later (in Earth years, that is), Brand has organized another mission to check up on the three planets that seem the most promising for human settlement. And to pilot the ship, he needs Cooper, an instinctive flight jockey in the Chuck Yeager mode, much as McConaugheyâs laconic, effortlessly self-assured performance recalls Sam Shepardâs as Yeager in âThe Right Stuffâ (another
obvious âInterstellarâ touchstone).
Already by this point â and we have not yet left the Earthâs surface â âInterstellarâ (which Nolan co-wrote with his brother and frequent collaborator, Jonathan) has hurled a fair amount of theoretical physics at the audience, including discussions of black holes, gravitational singularities and the possibility of extra-dimensional space. And, as with the twisty chronologies and unreliable narrators of his earlier films, Nolan trusts in the audienceâs ability to get the gist and follow along, even if it doesnât glean every last nuance on a first viewing. Itâs hard to think of a mainstream Hollywood film that has so successfully translated complex mathematical and scientific ideas to a lay audience (though Shane Carruthâs ingenious 2004 Sundance winner âPrimerâ â another movie concerned with overcoming the problem of gravity â tried something similar on a micro-budget indie scale), or done so in more vivid, immediate human terms. (Some
credit for this is doubtless owed to the veteran CalTech physicist Kip Thorne, who consulted with the Nolans on the script and receives an executive producer credit.)
The mission itself is a relatively intimate affair, comprised of Cooper, Brandâs own scientist daughter (Anne Hathaway), two other researchers (Wes Bentley and the excellent David Gyasi) and a chatty, sarcastic, ex-military security robot called TARS (brilliantly voiced by Bill Irwin in a sly nod to Douglas Rainâs iconic HAL 9000), which looks like a walking easel but proves surprisingly agile when the going gets tough. And from there, âInterstellarâ has so many wonderful surprises in store â from casting choices to narrative twists and reversals â that the less said about it the better. (Indeed, if you really donât want to know anything more, read no further.)
It gives nothing away, however, to say that Nolan maps his infinite celestial landscape as majestically as
he did the continent-hopping earthbound ones of âThe Prestigeâ and âBatman Begins,â or the multi-tiered memory maze of âInception.â The imagery, modeled by Nolan and cinematographer Hoyte Van Hoytema on Imax documentaries like âSpace Stationâ and âHubble 3D,â suggests a boundless inky blackness punctuated by ravishing bursts of light, the tiny spaceship Endurance gleaming like a diamond against Saturnâs great, gaseous rings, then ricocheting like a pinball through the wormholeâs shimmering plasmic vortex.
With each stop the Endurance makes, Nolan envisions yet another new world: one planet a watery expanse with waves that make Waimea Bay look like a giant bathtub; another an ice climberâs playground of frozen tundra and sheer-faced descents. Moreover, outer space allows Nolan to bend and twist his favorite subject â time â into remarkable new permutations. Where most prior Nolan protagonists were forever grasping at an irretrievable past, the crew of the Endurance races against a
ticking clock that happens to tick differently depending on your particular vantage. New worlds mean new gravitational forces, so that for every hour spent on a given planetâs surface, years or even entire decades may be passing back on Earth. (Time as a flat circle, indeed.)
This leads to an extraordinary mid-film emotional climax in which Cooper and Brand return from one such expedition to discover that 23 earth years have passed in the blink of an eye, represented by two decadesâ worth of stockpiled video messages from loved ones, including the now-adult Tom (a bearded, brooding Casey Affleck) and Murphy (Jessica Chastain in dogged, persistent âZero Dark Thirtyâ mode). Itâs a scene Nolan stages mostly in closeup on McConaughey, and the actor plays it beautifully, his face a quicksilver mask of joy, regret and unbearable grief.
That moment signals a shift in âInterstellarâ itself from the relatively euphoric, adventurous tone of
the first half toward darker, more ambiguous terrain â the human shadow areas, if you will, that are as difficult to fully glimpse as the inside of a black hole. Nolan, who has always excelled at the slow reveal, catches even the attentive viewer off guard more than once here, but never in a way that feels cheap or compromises the complex motivations of the characters.
On the one hand, the movie marvels at the brave men and women throughout history who have dedicated themselves, often at great peril, to the greater good of mankind. On the other, because Nolan is a psychological realist, heâs acutely aware of the toil such lives may take on those who choose to lead them, and that even âthe best of usâ (as one character is repeatedly described) might not be immune from cowardice and moral compromise. Some people lie to themselves and to their
closest confidants in âInterstellar,â and Nolan understands that everyone has his reasons. Others compensate by making the most selfless of sacrifices. Perhaps the only thing trickier than quantum physics, the movie argues, is the nature of human emotion.
Nolan stages one thrilling setpiece after another, including several hairsbreadth escapes and a dazzling space-docking sequence in which the entire theater seems to become one large centrifuge; the nearly three-hour running time passes unnoticed. Even more thrilling is the movieâs ultimate vision of a universe in which the face of extraterrestrial life bears a surprisingly familiar countenance. âDo not go gentle into that good night/Rage, rage against the dying of the light,â harks the good Professor Brand at the start of the Enduranceâs journey, quoting the melancholic Welshman Dylan Thomas. And yet âInterstellarâ is finally a film suffused with light and boundless possibilities â those of the universe itself, of the wonder in
a childâs twinkling eyes, and of movies to translate all that into spectacular picture shows like this one.
Itâs hardly surprising that âInterstellarâ reps the very best big-budget Hollywood craftsmanship at every level, from veteran Nolan collaborators like production designer Nathan Crowley (who built the filmâs lyrical vision of the big-sky American heartland on location in Alberta) and sound designer/editor Richard King, who makes wonderfully dissonant contrasts between the movieâs interior spaces and the airless silence of space itself. Vfx supervisor Paul Franklin (an Oscar winner for his work on âInceptionâ) again brings a vivid tactility to all of the filmâs effects, especially the robotic TARS, who seamlessly inhabits the same physical spaces as the human actors. Hans Zimmer contributes one of his most richly imagined and inventive scores, which ranges from a gentle electronic keyboard melody to brassy, Strauss-ian crescendos. Shot and post-produced by Nolan entirely on celluloid (in a
mix of 35mm and 70mm stocks), âInterstellarâ begs to be seen on the large-format Imax screen, where its dense, inimitably filmic textures and multiple aspect ratios can be experienced to their fullest effect.
Perle di sceneggiatura
Cooper (Matthew McConaughey): "Questo mondo è una ricchezza, ma ci sta dicendo di andarcene"
(...)
"Un tempo alzavamo lo sguardo al cielo chiedendoci quale fosse il nostro posto nella galassia, ora lo abbassiamo preoccupati ed intrappolati nel fango e nella polvere".
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano Warner Bros. Pictures Italia e Silvia Saba (SwService)