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    Home Page > Movies & DVD > This Must Be The Place

    THIS MUST BE THE PLACE: LA COLLABORAZIONE ITALO-STATUNITENSE TRA PAOLO SORRENTINO E SEAN PENN DOPO LA 'VETRINA' IN ANTEPRIMA A CANNES RAGGIUNGE FINALMENTE LA SALA CINEMATOGRAFICA ED E' UN''ESPERIENZA' DA NON PERDERE!

    Dal 64. Festival del Cinema di CANNES (11-22 Maggio 2011) - RECENSIONE - Dal 14 OTTOBRE

    "Per quanto mi riguarda, ogni film deve essere una caccia smodata all’ignoto e al mistero. Non tanto per trovare una risposta, quanto per continuare a tenere viva la domanda. Durante la genesi di questo film, una delle tante domande che non mi abbandonavano mai riguardava la vita segreta, misteriosa che, da qualche parte nel mondo, gli ex criminali nazisti sono costretti a condurre. Uomini, ormai, con le armoniose fattezze di anziani innocui e bonari, in realtà preceduti dall’innominabile crimine par excellence: lo sterminio di un popolo. Dunque, un rovesciamento dell’immaginario. Per scovare uno di questi uomini ci voleva una caccia e per avere una caccia ci voleva un cacciatore. Qui entra in gioco un elemento ulteriore del film: una mia necessità istintiva di innescare nel dramma una componente ironica. Allora, per raggiungere questo obiettivo, insieme a Umberto Contarello, abbiamo cominciato a scartare le ipotesi del cacciatore 'istituzionale' di nazisti e pian piano siamo approdati ad un opposto assoluto del detective: una ex rockstar lenta e pigra, sufficientemente annoiata e chiusa in un proprio mondo autoreferenziale da essere così, apparentemente, la figura più lontana dalla ricerca insensata, in giro per gli Stati Uniti, di un criminale nazista, ormai probabilmente morto. Lo sfondo del dramma dei drammi: l’olocausto, e il suo avvicinamento a un mondo opposto, fatuo e mondano per definizione, quale quello della musica pop e di un suo rappresentante, mi è sembrata una combinazione sufficientemente 'pericolosa', da poter dare vita ad una storia interessante. Perché solo dentro il pericolo del fallimento, credo che il racconto possa autenticamente vibrare. Spero di aver scansato il fallimento".
    Il regista e co.sceneggiatore Paolo Sorrentino

    (This Must Be The Place; ITALIA/FRANCIA/IRLANDA 2011; thriller drammatico; 118'; Produz.: Indigo Film/Lucky Red/Medusa Film/ARP Sélection/Element Pictures/Pathé in associaz. con Intesa San Paolo/Irish Film Board con il sostegno di Section 481/Eurimages Council of Europe; Distribuz.: Medusa Film)

    Locandina italiana This Must Be The Place

    Rating by
    Celluloid Portraits:



    SEE SYNOPSIS

    Titolo in italiano: This Must Be The Place

    Titolo in lingua originale: This Must Be The Place

    Anno di produzione: 2011

    Anno di uscita: 2011

    Regia: Paolo Sorrentino

    Sceneggiatura: Paolo Sorrentino e Umberto Contarello

    Cast: Sean Penn (Cheyenne )
    Frances McDormand (Jane )
    Shea Whigham (Ernie )
    Joyce Van Patten (Dorothie )
    Judd Hirsch (Mordecai Levy )
    Eve Hewson (Mary )
    Seth Adkins (Jimmy )
    Sarab Kamoo (Saks Woman )
    Gordon Michaels (Tattoo Mike )

    Musica: David Byrne

    Costumi: Karen Patch

    Scenografia: Stefania Cella

    Fotografia: Luca Bigazzi

    Montaggio: Cristiano Travaglioli

    Effetti Speciali: Russell Tyrrell (supervisore)

    Casting: Maureen Hughes, Carrie Ray e Laura Rosenthal

    Scheda film aggiornata al: 25 Novembre 2012

    Sinossi:

    IN BREVE:

    Cheyenne, rock star di mezza età ritirato dalle scene, decide di cercare l'uomo che ordinò l'esecuzione di suo padre in un campo di concentramento durante la seconda guerra mondiale. Il criminale nazista è ora un rifugiato e si nasconde negli Stati Uniti.

    IN DETTAGLIO:

    Cheyenne, ebreo, cinquantenne, ex rock star di musica goth, rossetto rosso e cerone bianco, conduce una vita più che benestante a Dublino. Trafitto da una noia che tende, talora, ad interpretare come leggera depressione. La sua è una vita da pensionato prima di aver raggiunto l’età della pensione. La morte del padre, con il quale aveva da tempo interrotto i rapporti, lo riporta a New York. Qui, attraverso la lettura di alcuni diari, mette a fuoco la vita del padre negli ultimi trent’anni. Anni dedicati a cercare ossessivamente un criminale nazista rifugiatosi negli Stati Uniti. Accompagnato da un’inesorabile lentezza e da nessuna dote da investigatore, Cheyenne decide, contro ogni logica, di proseguire le ricerche del padre e, dunque, di mettersi alla ricerca, attraverso gli Stati Uniti, di un novantenne tedesco probabilmente morto di vecchiaia.

    SYNOPSIS:

    Cheyenne, a wealthy former rock star (Penn), now bored and jaded in his retirement embarks on a quest to find his father's persecutor, an ex-Nazi war criminal now hiding out in the U.S. Learning his father is close to death, he travels to New York in the hope of being reconciled with him during his final hours, only to arrive too late. Having been estranged for over 30 years, it is only now in death that he learns the true extent of his father's humiliation in Auschwitz at the hands of former SS Officer Aloise Muller - an event he is determined to avenge. So begins a life-altering journey across the heartland of America to track down and confront his father's nemesis. As his quest unfolds, Cheyenne is reawakened by the people he encounters and his journey is transformed into one of reconciliation and self discovery. As his date with destiny arrives and he tracks down Muller, Cheyenne must finally decide if it is redemption he seeks ...

    Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)

    UN'ESPERINZA SUBLIMINALE OLTRE CHE SUBLIME

    Ho sempre odiato le etichette, di qualsiasi genere, perché ritengo che sviliscano la reale portata del soggetto/oggetto cui intendiamo riferirci. Che si tratti di persone, di professioni, di generi artistici, oggetti o ambientazioni, un'etichetta è sempre, per lo più, laconicamente riduttiva. E, come già detto anticipatamente in altri casi, le etichette finiscono oltretutto per ripetersi risultando dunque interscambiabili per soggetti/oggetti di fatto distinti e diversi tra loro. Basti pensare, pescando proprio nel cinema, ai roboanti 'target' con cui da anni si tende a contraddistinguere il talento di un attore/attrice, meno frequentemente di un regista. Quante 'ragazze/i della porta accanto'!, Quanti 'belli e dannati'!, quanti... beh basta così, abbiamo incontrato sulle nostre pagine in svariate riviste o giornali!? Ma la sorpresa generata dal film This Must Be the Place di Paolo Sorrentino (L'uomo in più, Le conseguenze dell'amore, L'amico di famiglia, Il divo) è tale che mi

    sento di parlarne in termini di una sorta di 'esperienza', più che di semplice visione, 'subliminale', per così dire, oltre che 'sublime'. Mi si perdoni dunque l'etichetta, ma almeno, in questo caso, si sa subito di cosa stiamo parlando.

    La sorpresa, più che gradita, è anche doppia: finalmente un italiano doc, nello specifico di marca partenopea - là dove si sono intrecciate diverse strade di grandi e indimenticabili espressioni artistiche a tutti i livelli, e forse si intrecciano ancora oggi, ma magari più negli elitari anfratti dei teatri che al cinema - che parla una lingua marcatamente e onoratamente autoriale a livello internazionale. Non essendo a conoscenza dei motivi che hanno portato Paolo Sorrentino a marcare la portata internazionale del suo film anche sul piano del casting, e intendendo evitare il ruolo della malalingua avvezza ad una certa sfiducia nei confronti della portata della recitazione italiana, fatte le dovute eccezioni, mi

    accontento di esprimere tutto il mio entusiastico consenso per quella che è stata la felicissima scelta di fatto. Sean Penn non poteva che essere l'interprete ideale per una figura così 'unica', un personaggio tanto 'tragico' quanto costantemente lambito di tutta l'amara ironia e del sarcasmo espressi con il sorriso sulle labbra. Un sorriso del tipo che potrebbe aver ereditato da un Pulcinella rivisitato e tradotto in termini contemporanei per argomentare tra le righe su tragiche realtà odierne, intimità e dolori personali e familiari, fino ad orrori storico-globali. Il tutto intessuto con una logica strutturale e significativa uniche e inappellabili.

    Della 'maschera' di Cheyenne/Penn, che nasconde il grande disagio di una rock star andata per sua volontà 'in prepensionamento' e che di lì a poco si vedrà spinta ad un imprevisto viaggio 'on the road' dalla straordinaria forza catartica sul piano personale e non solo, Sorrentino esalta ogni più intima piega nascosta

    con il suo straordinario, spiazzante tocco di ripresa che non abbassa mai la guardia. Un occhio costantemente vigile, innamorato pazzo dei primissimi piani con la P maiuscola, di quelli lenticolari, avvolgenti che sanno far parlare un'unghia dipinta, uno scorcio epidermico minimalista quasi dovesse endoscopizzarne la natura al microscopio. Un occhio altresì incantato, e non certo per un vezzo estetico di puro intrattenimento, di fronte alle ampie distese paesistiche innevate, cui guarda al fine di esigerne una sorta di 'responsabilizzazione', come se chiedesse loro di rendersi consapevoli della portata del loro ruolo, entrando in scena per dire qualcosa magari dal profondo silenzio. Un occhio capace anche di spaziare e ruotare a suo piacimento nei contesti più inconsueti, magari intrattenendosi qualche momento per giocare sulle priorità da accordarsi a primi e secondi piani non disdegnandone il ribaltamento (vedi la sequenza del concerto con la coreografia 'da salotto').

    Realtà che Sorrentino riesce a mettere

    al servizio di considerazioni e messaggi personali forti, con un'ironia ed uno humour venati di un sarcasmo mai pesante, leggero e sinuoso che sa essere autentico e mirato. Il grande capolavoro delle immagini non sarebbe stato completo senza il piccolo, scaltrissimo lavoro di sceneggiatura condotto a quattro mani dallo stesso Sorrentino e da Umberto Contarello. E figurarsi se Sean Penn è stato a guardare senza dir la sua! Una 'maschera', quella incarnata da Penn con il personaggio di Cheyenne, che inizialmente spiazza nei termini di un 'fenomeno da baraccone', e spiazza ancor più quando si scopre che è sposato da trentacinque anni con Jane, la sua tenace e solida 'dolce metà' con i piedi per terra. Non poteva esserci scelta meglio assortita per dar vita ad una coppia, come dire, 'inconsueta' come questa, che affidarne l'interpretazione a Sean Penn/Cheyenne e a Frances McDormand, capace di vestire di un verismo epidermico-viscerale

    la sua Jane, personaggio forte e umorale per contraltare alla fragilità del suo compagno, pur sagace e di acuminata intelligenza, come dimostrano le sue controbattute durante svariate, e talora colorite, interlocuzioni familiari, amicali o con persone incontrate sul suo cammino. Per inciso, l'equilibrio che Sean Penn riesce a mantenere tra una certa leziosità insita nel personaggio di Cheyenne scarta decisamente, per nostra fortuna, da un altro genere di leziosità, a mio avviso insopportabile, insita nel tanto osannato personaggio da lui interpretato in Milk.

    Ed è in un contesto come questo che Sorrentino trova la sua originalissima 'formula' per parlare ancora una volta, riuscendo a trovare parole e modi davvero inediti, sia per espressione formale che per contenuto, di straordinaria, tragica, bellezza, dell'Olocausto. E' sull'onda delle tracce (disegni e lettere punteggiati da una discreta voce fuori campo) lasciate da un padre rinnegato per trent'anni che Cheyenne innesca il suo percorso 'on the

    road', facendo propria l'ossessione paterna di una vita nella ricerca del tedesco suo carnefice in uno dei ben noti lager. Percorso destinato a dare frutti insperati: la conoscenza finora negata dello stesso padre e una sorta di riappropriazione della propria autentica, identità personale. Ecco, se le premesse già ne avevano gettato i semi, l'esperienza 'subliminale' da quel momento in avanti reclama una partecipazione ancor più intensa, che non consente distrazioni o deviazioni di sorta. Sorrentino sa bene come mantenere salde le coordinate del suo discorso togliendosi persino lo sfizio di sputare qualche rospo che gli va irritando la gola da tempo: quello che da I pezzi di merda - unico nome possibile per il gruppo musicale di cui Cheyenne è chiamato a produrre un disco e "quello che ci vuole in questo momento storico" - passa per una sorta di 'diaporama' dell'orrore per eccellenza finché non si porterà dritto finalmente

    all'altezza del suo climax - intimamente connesso a quello stesso tragico 'diaporama' - con uno dei più travolgenti monologhi che la storia del cinema ricordi. Quel che Sorrentino fa succedere da quel momento in poi, quel che vediamo, quel che sentiamo, improvvisamente colti da brividi di freddo, e non certo per la landa innevata in cui ormai ci troviamo - tradotti come per magia, questa volta anche italiana grazie a Dio, da spettatori a testimoni oculari - doveva ancora esser scritto nei manuali della cinematografia d'autore, e forse anche in quelli di storia: vi è un passo davvero forte, appuntato su una sorta di comparazione tra chi si è trovato da un lato e chi dall'altro del filo spinato, che, se mal interpretato, potrebbe dar adito ad acerrime discussioni! Ma Sorrentino è talmente sicuro del fatto suo da sentirsi ormai quasi una sorta di crociato ultra temerario che azzarda

    perfino una definizione di Dio, unica, incredibilmente spiazzante, e per giunta 'raffinatamente' articolata su duplice binario. Vedendo il film capirete che cosa intendo. Eh si perché questo film non può e non deve essere perso!

    Perle di sceneggiatura


    Pressbook:

    PRESSBOOK ITALIANO di THIS MUST BE THE PLACE

    Links:

    • Paolo Sorrentino (Regista)

    • Sean Penn

    • Frances McDormand

    • Eve Hewson

    • THIS MUST BE THE PLACE - INTERVISTA in ANTEPRIMA al regista PAOLO SORRENTINO (A cura dell'inviata CARLA BERGAMINI) (Interviste)

    • LA GRANDE BELLEZZA - INTERVISTA al regista PAOLO SORRENTINO (Interviste)

    • This Must Be The Place (BLU-RAY + DVD)

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    Galleria Video:

    This Must Be the Place - trailer

    This Must Be the Place - clip (versione originale)

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