(The Last Duel; USA 2019; Drammatico; 152'; Produz.: Pearl Street Films, Scott Free Productions, 20th Century Fox; Distribuz.: The Walt Disney Company Italia)
adesso, Ridley Scott approda a questo The Last Duel che mette insieme, Storia (si torna al XIV secolo) e un brano di cronaca vera controverso, appuntato su un episodio quasi dimenticato per strada, come a volersi scuotere la polvere dai calzari. Eppure, è più che evidente che si tratti di un episodio “monito†e “denuncia†al tempo stesso, dal respiro “epico, ma capace di parlare all’attualità â€. Episodio che anzi, si direbbe aver fatto da apripista secoli or sono, a quel genere di coraggio e senso di giustizia per i quali, il prezzo da pagare in caso di fallimento, era la vita stessa. E, ancora in pieno Medioevo, non è difficile da credere. Ciò che invece appare incredibile è riscoprire quel genere di coraggio e senso di giustizia in una donna: d’eccezione in tutti i sensi, acculturata in un mondo in cui l’analfabetismo era imperante anche tra gli uomini, in una
società letteralmente dominata, o per meglio dire, schiacciata dagli uomini.
Per il suo racconto, ispirandosi al libro di Eric Jager (L’ultimo duello. La storia vera di un crimine, uno scandalo e una prova per combattimento nella Francia medievale, edito in Italia da Garzanti), Ridley Scott sceglie un’impalcatura narrativa speculare ai punti di vista dei tre protagonisti principali e ne escono dunque tre capitoli distinti in cui tornano, con variabili sul tema, le stesse sequenze sfumate in una diversa narrazione che aggiunge o toglie qualcosa a seconda del punto di vista, appunto. Con The Last Duel Ridley Scott mirava evidentemente al kolossal - a nostro avviso senza riuscirci del tutto - fin dallo script, nientemeno che a sei mani, a cura di Ben Affleck, Matt Damon - non nuovi ad un’esperienza anche di scrittura che spesso condividono - oltre alla sceneggiatrice Nicole Holofcener (Copia conforme).
Così prende forma un’appassionante storia di tradimento
e vendetta rigurgitata dalla Francia del XIV secolo all’ombra di una brutalità , ahimè, fin troppo ordinaria per l’epoca. Un film storico con l’obiettivo di esaminare le ipotesi a lungo sostenute sull'ultimo duello autorizzato dalla legge nella storia della Francia, avvenuto tra due illustri contendenti: Jean de Carrouges (Matt Damon), esperto e ambizioso cavaliere rampollo di una rispettata famiglia, in lotta per acquisire potere e promozione che gli vengono regolarmente negati, e Jacques Le Gris (Adam Driver), amatissimo a corte e indebitamente privilegiato pur senza meriti effettivi, tutelato anche di fronte all’affronto più infame di cui si macchia con la massima leggerezza: lo stupro ai danni della moglie dell’amico Jean/Damon, per quanto in battaglia gli avesse salvato la vita. E questa moglie, sposata più per la bellezza, la dote, poi anch’essa negata, e per avere figli, che non per amore in senso stretto, è la Marguerite di Jodie Comer, vera vittima
e vera eroina dell’intera storia, anche se occorrerà attendere il terzo capitolo per conoscere la ‘sua verità ’. Eroina in anticipo sui tempi che rischiò la propria vita per difendere la verità , mentre i due amici mutati in acerrimi rivali, si sporgevano fino alle più estreme conseguenze.
La sceneggiatrice Nicole Holofcener, focale altra prospettiva femminile sulla vicenda antica che alita sull’odierno #MeeToo, precisa che anche allora, per quanto attiene allo stupro: “Si trattava di un crimine orribile, ma se Jean avesse perso il duello, lui e Marguerite sarebbero stati condannati a morte, pur non avendo commesso alcun crimine. Lei era la vera vittima, ma furono l’ego e l’orgoglio di questi due uomini (Carrouges e Le Gris) a scatenare il duelloâ€.
Mentre dunque riscopriamo la vicenda facendosi largo tra le nebbie azzurrine di una fotografia fosca accuratamente scelta secondo la modalità estetica che fu già propria de Le crociate, riconosciamo ben presto i tratti
di quel che si può definire “una storia vecchia di secoliâ€, laddove, facendoci largo tra le griglie narrative di turbolenze tipicamente medievali, scopriamo le aspirazioni e le lotte di sempre: quando l'etichetta, le aspirazioni sociali e la giustizia erano guidate dai codici cavallereschi, le conseguenze dello sfidare le istituzioni del tempo - la Chiesa, la nobiltà di corte, un re adolescente - potevano essere gravi. E quante figure inadeguate e manipolatrici abbiamo conosciuto al potere della nostra Storia più recente? Qui, è come vedere tutto sotto una lente d’ingrandimento, in cui c’è sempre qualcuno più o meno dietro o davanti le quinte del ‘Palazzo’, a tirare i fili del destino altrui senza andare troppo per il sottile: nel film è il Conte Pierre d'Alençon di Ben Affleck che ci tiene a sottolineare quanto non si tratti solo di storia passata, morta e sepolta:
“Abbiamo scoperto che molti aspetti del patriarcato
formale e codificato dell'Europa occidentale del XIV secolo sono ancora presenti in modo residuo (e in alcuni casi quasi immutato) nella società di oggi. Volevamo esaminare il modo in cui le istituzioni, l'acculturazione e le norme sociali ebbero (e continuano ad avere) un effetto incredibilmente profondo sulla società , spingendo la popolazione a dare credito soltanto al punto di vista di determinate personeâ€.
Molto romanticamente il Jean di Matt Damon confidava in Dio per far trionfare la verità prima ancora che sulla vera giustizia. In realtà per sanare le ferite dell’orgoglio ferito era disposto a tutto, anche a perdere la vita. Sicuri che oggi sarebbe stata la vera giustizia a far trionfare la verità ? Davvero si può parlare di vera giustizia? Ogni epoca ha la sua crociata, le sue battaglie da portare avanti, quel che è certo è che persino in The Last Duel, alla donna vittima di stupro che ha avuto
lo straordinario coraggio di denunciare l’infame sopruso, è toccato l’ultimo posto nella lista per esprimere la sua prospettiva sulla vicenda: un pesciolino che annaspa in un oceano di uomini, meschini e, a dispetto delle tronfie armature, limitati a tal punto da guardare alla donna come oggetto di piacere e veicolo in e per la procreazione, persino quando culturalmente ben superiore. Ci sono scene sufficientemente disgustose ed insolenti ad illustrare il concetto, che arrivano prima del sapiente ed incisivo lavoro di cesello dello script, ma forse, paradossalmente, nulla di veramente memorabile, riservato a questa donna d’eccezione che, fondamentalmente, resta tra le righe di una sinfonia orchestrata da uomini. Per il pensiero libero e indipendente - bene inteso, mai del tutto - occorreranno… secoli, appunto. Ed è, a tutt'oggi, un work in progress!
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)