Un ritorno ai demoni del passato del regista Pupi Avati al romanzo gotico e a quel La casa delle finestre che ridono (1976) che è rimasto sempre nel suo cuore - RECENSIONE - Dal 22 Agosto
Fabio Ferrari (Alberto Collatina) Chiara Sani (Maria Mongiorgi, madre di Carlo) Iskra Menarini (Dolores)
Musica: Pompeo Iaquone (suono)
Costumi: Maria Fassari
Scenografia: Giuliano Pannuti
Fotografia: Cesare Bastelli
Montaggio: Ivan Zuccon
Effetti Speciali: Sergio Stivaletti e Just Eleven
Makeup: Elisabetta Flotta (direttrice)
Scheda film aggiornata al:
09 Settembre 2019
Sinossi:
In breve:
Siamo nell'autunno del 1952 in Veneto. Qui è in corso l'istruttoria di un processo per l'omicidio di un adolescente, considerato un demonio, ucciso da un coetaneo. Una cosa non da poco che vede coinvolta la Chiesa proprio alla vigilia delle elezioni politiche.
In dettaglio:
Autunno 1952. Nel nord est è in corso l’istruttoria di un processo sull’omicidio di un adolescente, considerato dalla fantasia popolare indemoniato. Furio Momentè, ispettore del Ministero, parte per Venezia leggendo i verbali degli interrogatori. Carlo, l’omicida, è un quattordicenne che ha per amico Paolino. La loro vita è serena fino all’arrivo di Emilio, un essere deforme figlio unico di una possidente terriera che avrebbe sbranato a morsi la sorellina. Paolino, per farsi bello, lo umilia pubblicamente suscitando la sua ira: Emilio, furioso, mette in mostra una dentatura da fiera. Durante la cerimonia delle Prime Comunioni, Paolino nel momento di ricevere l’ostia, viene spintonato da Emilio. La particola cade al suolo costringendo Paolino a pestarla. Di qui l’inizio di una serie di eventi sconvolgenti.
Potrà essere pre o post bellica, ma l’ambientazione rurale, le famiglie, i paeselli o le città , la gente che Pupi Avati porta da sempre sul grande schermo, sembra figlia di un neorealismo colorato o, per meglio dire, decolorato, in nuances seppiate, con cui ama sfumare i contorni di quelle storie intime che, ogni volta, vanno ad abitare pellicole desautorate, da cui negli anni, hanno preso vita commedie, piccoli e grandi drammi. Basti pensare a La seconda notte di nozze, Il papa di Giovanna, Gli amici del Bar Margherita o a Il cuore grande delle ragazze.
Bisogna portarsi d’altra parte parecchio indietro nel tempo, fino al 1976, con La casa delle finestre che ridono, per ritrovare un esemplare horror nella filmografia di Pupi Avati. Non certo un genere prediletto, eppure la chiave con cui oggi torna ad aprire una nuova porta, tra le svariate aperte in precedenza, sul panorama umano di un’area
fattore demoniaco, e la superstizione. Sospensione che si fa strada tra le dinamiche del racconto-confessione in prima persona del ragazzino protagonista, non sempre chiarissime, mentre ci si fa largo tra una fauna umana spesso ‘stereotipata’, ed un’indagine che si ingolfa ad ogni giro di boa. La soluzione per questo piccolo rebus intimista? Potrebbe essere più importante di quel che sembra una battuta di sceneggiatura messa in bocca ad uno dei personaggi: "Nella cultura contadina il diverso, il deforme, vengono associati al demonio".
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)