(Lucia's Grace; ITALIA/SPAGNA/GRECIA 2018; Commedia; 110'; Produz.: Pupkin Production con Rai Cinema in coproduzione con Oplon Film, Strada Productions, Smallfish Spain; Distribuz.: BIM Distribuzione)
Sceneggiatura:
Gianni Zanasi, Giacomo Ciarrapico, Michele Pellegrini e Federica Pontremoli
Soggetto: Gianni Zanasi.
Cast: Alba Rohrwacher (Lucia) Elio Germano (Arturo) Giuseppe Battiston (Paolo) Hadas Yaron (La Madonna) Carlotta Natoli (Claudia) Thomas Trabacchi (Guido) Daniele De Angelis (Fabio) Rosa Vannucci (Rosa) Teco Celio (Giulio Ravi)
Musica: Niccolò Contessa (edite da Sony/Atv Music Publishing); Stefano Campus (Suono in presa diretta)
Costumi: Olivia Bellini
Scenografia: Massimiliano Sturiale
Fotografia: Vladan Radovic
Montaggio: Rita Rognoni, Gianni Zanasi
Casting: Stefania Valestro
Scheda film aggiornata al:
30 Dicembre 2018
Sinossi:
Lucia è una geometra che vive da sola con sua figlia. Mentre si arrangia tra mille difficoltà , economiche e sentimentali, il Comune le affida un controllo su un terreno scelto per costruire una grande opera architettonica. Lucia nota che nelle mappe del Comune qualcosa non va, ma per paura di perdere l’incarico decide di non dire nulla. Il giorno dopo, mentre continua il suo lavoro, viene interrotta da quella che le sembra una giovane "profuga". Lucia le offre 5 euro e riprende a lavorare. Ma la sera, nella cucina di casa sua, la rivede all’improvviso, davanti a lei. La "profuga" la fissa e le dice: "Vai dagli uomini e dì loro di costruire una chiesa là dove ti sono apparsa..."
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Ci è sempre piaciuta una cifra! Già all’altezza de Il papà di Giovanna (2008) di Pupi Avati. Ma devo dire che da allora la nostra Alba Rorhwacher (La solitudine dei numeri primi, Lazzaro felice) si è portata su vette che non hanno nulla da invidiare a certe punte di diamante internazionali. Anzi, direi che sono davvero in poche le attrici italiane che riescono ad esprimersi sul piano della recitazione con tale ‘candore’ interiore. Un’anima che sa farsi trasparente ed entrare in contatto con lo spettatore nel modo più semplice e minimalista possibile. Un volto ‘acqua e sapone’ di un lirismo naturale e naturalmente artistico. Alba sembra uscita dal pennello di un pittore veneto in pieno rinascimento e riesce a bucare lo schermo senza bisogno di alcun artificio. Questa volta, in Troppa grazia, eccentrico dramedy di Gianni Zanasi (regista che d’ora in poi terrò volentieri d’occhio!), azzarda una svolta inedita nell’identikit
di un personaggio contemporaneo che suscita tenerezza mentre muove al sorriso, inseguendo una bella metafora che è quella di ascoltare la voce interiore dell’onestà prima di tutto, della cosa giusta da fare costi quel che costi. E la leggerezza e l’ironia con cui levitano i messaggi contenuti in Troppa grazia non ne sminuiscono di certo la portata, enorme e pungente, tragicomica come la miseria dell’essere umano sempre più condizionato, anzi, direi piuttosto, sempre più soggiogato, dal compromesso e dal tornaconto politico ed economico. In questo scenario la Lucia di Alba rappresenta l’inconsapevole ed incidentale testata d’angolo che va naturalmente a contrapporsi alla realizzazione di uno scempio edilizio in piena natura. Una natura che va bene così com’è, a patto che non si abbiano velleità di interventi impropri, basati per di più su planimetrie contraffatte, non corrispondenti al reale. Così, mentre l’architetto, l’ufficio Stampa e il politico paesano di turno (il
Paolo di Giuseppe Battiston) plaudono al progetto, riconducibile sotto il comun denominatore delle cosiddette ‘grandi opere’ – chi è in piccolo sogna sempre in grande anche quando grande non è! – la geometra Lucia/Rorhwacher, già ragazza madre e pure single – il film si avvia proprio sull’onda di un litigio che sfocia nella separazione dal compagno Arturo (Elio Germano) – felice di aver ottenuto almeno un incarico, indispensabile per sbarcare il lunario, si rende ben presto conto di esser stata spinta in una trappola senza sbocco. Ma l’idea che una ‘sventurata’ (nel film Paolo/Battiston la definisce una ‘disgraziata’) come Lucia non potesse creare problemi si rivelerà di lì a poco priva di fondamento.
Il tema dell’abuso edilizio da parte di un ente pubblico come un Comune, spia dalle cortine della vicenda personale della nostra Lucia, da cui occhieggia per la verità pure il motivo dell’assuefazione massificata attraverso la figura del padre
di vista registico oltre che interpretativo, devo dire che tutto scorre come un fiume nel proprio alveo in modo stupefacente. E trovo che sia sempre valido oggi per il regista Gianni Zanasi (La felicità è un sistema complesso) un passo critico di Paolo Mereghetti che ne definì a suo tempo lo stile: "i luoghi comuni della 'finzione all'italiana' sono aggirati, evitati o ribaltati (...) con una leggerezza e una ironia che conquistano". Che conquistano, appunto. E il finale aperto, intonso e pur così metaforicamente cristallino, apre uno squarcio a quella ‘grazia’ che, a conti fatti, non è mai troppa!
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)