I ‘RECUPERATI’ di ‘CelluloidPortraits’ - RECENSIONE - Sandra Bullock, Sarah Paulson e John Malkovich, tra gli altri, nel film horror Netflix Bird Box: un'ambientazione post-apocalittica fa da sfondo agli sforzi di una madre per salvare i figli da un minaccia aliena - Dal 21 Dicembre (solo su Netflix)
(Bird Box; USA 2018; Thriller drammatico Sci-Fi; 124'; Produz.: Bluegrass Films/Chris Morgan Productions/Universal Pictures; Distribuz.: Netflix)
Taylor Handley (Jason) Parminder Nagra (Dr. Lapham) Rebecca Pidgeon (Lydia) Happy Anderson (River Man) David Dastmalchian (Whistling Marauder)
Musica: Trent Reznor e Atticus Ross
Costumi: Signe Sejlund
Scenografia: Jan Roelfs
Fotografia: Salvatore Totino
Montaggio: Ben Lester
Effetti Speciali: Michael Meinardus (supervisore)
Makeup: Ken Diaz (capo dipartimento makeup); Whitney James (makeup per Sandra Bullock); Rita Troy (capo dipartimento acconciature)
Casting: Jina Jay, Mary Vernieu e Michelle Wade Byrd
Scheda film aggiornata al:
31 Ottobre 2020
Sinossi:
In breve:
Il personaggio di Sandra Bullock è determinato a proteggere i suoi figli da una pericolosa minaccia aliena e fa indossare loro una benda sugli occhi per evitare di creare un contatto visivo con creature che fanno impazzire la gente che li guarda causando in loro una rabbia violenta verso gli altri essere umani. La protagonista e i suoi figli affrontano un pericoloso viaggio che li vede attraversare un fiume su una piccola barca a remi con solo il suo ingegno e le orecchie addestrate dei bambini a proteggerli.
Short Synopsis:
A woman and a pair of children are blindfolded and make their way through a post-apocalyptic setting along a river
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Se esiste un pericolo di qualche genere all’orizzonte, la natura animale lo fiuta certamente prima dell’uomo. Come in questo caso. Vi accorgerete ben presto quanto sia di cruciale importanza la Bird box (scatola per uccelli) del titolo del film, della ben nota cineasta danese Susanne Bier (In un mondo migliore il suo top di gamma). Quel che si dice, una garanzia! E se il cast più o meno blasonato qui assemblato per la speciale occasione prometteva già bene, la regia brilla per i suoi focali assi nella manica, a cominciare dalla raffinata architettura filmica: un fitto mosaico di innumerevoli tessere temporali tagliate in maniera impeccabile, per andare ad incastrarsi l’una con l’altra senza sbavatura alcuna. Non si tratta di flashback ordinari ma di passaggi talora molto brevi che saltellano velocemente da un tempo passato a quello presente, in modo da far comprendere molto gradualmente allo spettatore ogni risvolto narrativo su
personaggi e accadimenti. Ma è solo verso l’epilogo che avremo una visione d’insieme perfettamente nitida di come siano andate le cose. L’atmosfera è rarefatta e misteriosa fin dai primi fotogrammi, quando una voce aleggia su un fiume fornendo informazioni che, ancora decontestualizzate, suonano strane e slacciate dal nesso logico che di fatto esiste ma che scopriremo solo seguendo una scheggia narrativa dietro l’altra. Quel che è certo e subito chiaro, è che la protagonista, in preda ad un’ansia palpabile molto prossima al terrore, mette in guardia un bambino ed una bambina dando loro precise istruzioni, nel tono tanto perentorio quanto la misura corrispondente del livello di pericolo: una sorta minaccia aliena fantasma. Un pericolo di morte certa percepibile dal fatto che tutti e tre i protagonisti mantengono gli occhi coperti da bende: con loro una scatola con tre uccellini. Appunto!
La traccia horror Sci Fi in cui la vista ad occhi
nudi porta alla pazzia suicida, fa da veicolo elettivo per i nostri primi tre protagonisti, su cui troneggia, in tutto il suo talento naturale, Sandra Bullock con la sua Malorie. Personaggio che veniamo a conoscere come giovane donna single e in stato interessante, suo malgrado, dedita alla pittura, di un certo rilievo. La presenza della sorella Jessica (Sarah Paulson) affettuosamente al suo fianco, sarà di breve durata, proprio quando, mentre già si parla di gente impazzita in Russia, iniziano a verificarsi anche sul posto, le prime manifestazioni di pazzia: reazioni convulse ed illogiche che portano alla morte diverse persone senza distinzione di età o sesso. Responsabile di tutto ciò, la sola visione ad occhio nudo di un qualcosa che resta, paradossalmente, sempre invisibile, ma operativo al cento per cento, nel senso letale del termine, sul cervello delle persone. Una presenza invisibile di cui è possibile tracciare l’effettiva presenza dai semplici
movimenti nell’aria, molto simili ai flussi temporali di Donnie Darko, e dalle voci che prendono ogni volta la singola sonorità dei familiari delle vittime predestinate. Un fenomeno che ben presto allarga le sue proporzioni a macchia d’olio, creando varie situazioni in cui ognuno non può fidarsi di nessuno. L’unico diktat per la sopravvivenza resta quello di non togliere mai la benda dagli occhi. Il che è più facile a dirsi che a farsi, come vedremo nel corso della storia raccontata nel film. Strada facendo incontreremo un ottimo John Malkovich, che con l’ispido e ferito Douglas, conferma la sua predilezione per i personaggi alcolizzati, spiaggiati sugli argini di una vita variamente strascicata, e molti altri esemplari di un parterre umano, pesantemente condizionato, come di solito succede, dalle particolari condizioni di pericolo di vita. Una lotta per la sopravvivenza d’altra parte inusuale, affatto scontata, dal format intimista ed indipendente che scarta decisamente
dal blockbuster di genere. Un film che, alla luce di una distribuzione di nicchia (Netflix), è possibile sia passato inosservato. Ecco, in tal caso, se ne consiglia vivamente il recupero.
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)