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    LA CURA DAL BENESSERE

    RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by PETER DEBRUGE (www.variety.com) - Dal regista visionario Gore Verbinski (The Ring), un thriller psicologico sconvolgente e angoscioso che vede tra i protagonisti Dane DeHaan e Mia Goth - Dal 23 Marzo

    "Abbiamo iniziato ad esplorare l’idea di un centro benessere tra le Alpi, dove però gli ospiti non si rimettono in forma e da lì la storia ha cominciato pian piano a prendere forma. Per noi era chiaro che questo sarebbe stato un film di genere e abbiamo quindi iniziato a sviluppare varie idee intorno al concetto d’inevitabilità. È la sensazione di avere una malattia, come se ci fosse un puntino nero sulla radiografia che non si può eliminare!... La cosa interessante, secondo me, è che più rendi enigmatici fatti e situazioni, specialmente in un film di questo genere, più puoi ricorrere a una sorta di logica onirica. Ciò che accade resta enigmatico perché si percepisce la presenza di qualche altra forza e s’intuisce che sta per succedere qualcosa d’inevitabile. Per me è questo il trucco che lascia sulle spine il pubblico: fare in modo che tutto suggerisca una malattia che non guarisce e ti sta risucchiando. In sostanza, ho la macchina da presa puntata su un corridoio e conduco il protagonista verso l’ultima rivelazione. Quando questo meccanismo funziona, non hai bisogno di tante spiegazioni per chiarire come vanno le cose. Hai la sensazione che tutto accada per una ragione"
    Il regista e co-soggettista Gore Verbinski

    "Da un po’ di tempo avevo un’idea che mi girava per la testa, dovuta a vari fattori e preoccupazioni, ma legata soprattutto a una mia diffidenza nei confronti alla medicina... Fondamentalmente, il film parla dell’inquinamento del corpo e della mente nel mondo moderno e della conseguente ossessione per la purezza"
    Lo sceneggiatore Justin Haythe

    (A Cure for Wellness; GERMANIA/USA 2017; Thriller del mistero; 145'; Produz.: Regency Enterprises/New Regency Productions/Blind Wink Productions in associazione con Studio Babelsberg e in co-produzione con TSG Entertainment; Distribuz.: 20the Century Fox)

    Locandina italiana La cura dal benessere

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    Celluloid Portraits:



    See Short Synopsis

    Titolo in italiano: La cura dal benessere

    Titolo in lingua originale: A Cure for Wellness

    Anno di produzione: 2017

    Anno di uscita: 2017

    Regia: Gore Verbinski

    Sceneggiatura: Justin Haythe

    Soggetto: Storia di Justin Haythe e Gore Verbinski.

    Cast: Dane DeHaan (Lockhart)
    Mia Goth (Hannah)
    Jason Isaacs (Volmer)
    Adrian Schiller (Direttore)
    Celia Imrie (Victoria Watkins)
    Ivo Nandi (Enrico)
    Harry Groener (Pembroke)
    Carl Lumbly (Mr. Wilson)
    Natalia Bobrich (Infermiera)
    Tomas Norström (Frank Hill)
    Ashok Mandanna (Ron Nair)
    Magnus Krepper (Pieter The Vet)
    Peter Benedict (Agente)
    Maggie Steed (Mrs. Abramov)
    Lisa Banes (Hollis)
    Cast completo

    Musica: Benjamin Wallfisch

    Costumi: Jenny Beavan

    Scenografia: Eve Stewart

    Fotografia: Bojan Bazelli

    Montaggio: Pete Beaudreau e Lance Pereira

    Effetti Speciali: Gerd Nefzer (coordinatore e supervisore); Bernd Rautenberg (supervisore del set)

    Makeup: Niamh O'Loan

    Casting: Denise Chamian

    Scheda film aggiornata al: 15 Aprile 2017

    Sinossi:

    In breve:

    Un impiegato (Dane DeHaan) viene mandato a salvare il suo capo rimasto bloccato in un'europea "wellness spa" ma presto si rende conto di essere intrappolato e scopre che la struttura ha uno scopo più sinistro del provvedere ai bisogni salutari dei suoi pazienti. Mia Goth interpreterà una paziente di lunga data che è ignara dei piani oscuri che il direttore della spa ha in serbo per lei.

    In dettaglio:

    Dane DeHaan interpreta Lockhart, un ambizioso giovane broker a Wall Street che, su richiesta del management della sua società, parte alla volta di una clinica del benessere situata in una remota località tra le Alpi, dove si trova Pembroke (Harry Groener), l’Amministratore Delegato dell’azienda. Questi ha informato il suo staff di non avere alcuna intenzione di lasciare la clinica e Lockhart deve persuaderlo a cambiare idea e tornare a New York con lui. Quando il giovane giunge all’istituto, il clima è sereno tra i pazienti in cura, ma sembra che i trattamenti, i cui effetti dovrebbero essere miracolosi, li facciano stare sempre peggio. Mentre approfondisce i misteri oscuri e sconcertanti che si celano dietro le quinte della clinica, Lockhart incontra una ragazza, la bellissima e inquietante Hannah (Mia Goth), anche lei paziente della clinica, e conosce anche un’altra ospite del centro, l’eccentrica Signora Watkins, interpretata da Celia Imrie, che ha condotto alcune indagini per conto proprio. In breve tempo, il direttore dell’istituto, il sinistro Dottor Volmer (Jason Isaacs), diagnostica a Lockhart la stessa patologia di cui soffrono gli altri pazienti. Il giovane capisce di essere prigioniero nel ritiro alpino e inizia a perdere il contatto con la realtà. Durante la ‘cura’ è costretto a subire prove inimmaginabili.

    Short Synopsis:

    An ambitious young executive is sent to retrieve his company's CEO from an idyllic but mysterious "wellness center" at a remote location in the Swiss Alps. He soon suspects that the spa's miraculous treatments are not what they seem. When he begins to unravel its terrifying secrets, his sanity is tested, as he finds himself diagnosed with the same curious illness that keeps all the guests here longing for the cure

    Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)

    "C'è un male oscuro dentro di noi, che sale come la bile e che ci lascia l'amaro in fondo alla gola... finché un giorno il corpo si ribella contro la mente..., la verità non si può ignorare, perché quando si sa cosa ci affligge, si può trovare la cura"

    Sinistro e luciferino fin dai primi istanti. Gore Verbinski (regista della versione americana di The Ring prima di deviare dal genere con Rango e The Lone Ranger) sceglie la cornice più antica e suggestiva per il suo A cure for wellness (La cura dal benessere) giocando sul doppio senso a cominciare dal titolo. La vecchia maniera, il 'classicismo' fiabesco, è la chiave che apre tutte le porte in un percorso che ci chiede di metterci comodi, perché ne avremo per un bel pò, e la fretta non è contemplata. La vecchia maniera anche quando ci troviamo appena sui primi gradini di una

    contemporaneità fatta dei grattacieli della Grande Mela e, prima ancora, di fronte ad un manager ancora ossessivamente piegato sulla tastiera del suo computer in un ufficio ormai deserto dall'atmosfera rarefatta. Il motivo musicale cantilenante e le due anguille intrecciate sulla ceralacca di una busta da lettera chiusa, sono le premesse di un attacco cardiaco quasi istantaneo, e dunque le prime icone simbolo - reiterate in una sorta di costante motivo di ritorno - di quella vera e propria cornucopia iconografica ed iconologica che Verbiski asperge a piene mani su questa intrigante pellicola. Un contenitore stracolmo che d'altra parte non solo non stanca, ma che ci attrae sempre più come il canto di una sirena. Tra il visto, il non visto, il riconoscibile che fa sempre piacere ritrovare, il visionario allucinatorio e la realtà, tra lucidità e follia, il tutto emulsionato con sapiente tocco metafisico-onirico-fiabesco irrorato di quella vena sadica che

    sa perfettamente come tramutare il simulacro del bene nel male oscuro.

    La vecchia maniera nello stile dei classici noir venati di horror prende corpo e anima una volta in viaggio alla volta di uno tra i più rinomati e costosi 'centri benessere' nel bel mezzo delle Alpi elvetiche. E' là che si vede costretto ad andare il giovane dirigente di Wall Street Lockhart, cucinato a puntino in un 'disturbato' paziente, del tutto involontario, da Dane DeHaan (Giovani ribelli - Kill Your Darlings, The Amazing Spider-Man 2: il potere di Electro, Life) allo scopo di recuperare con urgenza l’Amministratore Delegato dell’azienda Pembroke (Harry Groener). Il fiabesco castello ottocentesco che ci si para davanti come 'sanatorio', inclusa la 'fauna' di 'pazienti' in cura, mentre costeggia appena la Giovinezza di Paolo Sorrentino, strizza l'occhio ad ambientazioni e tematiche altrimenti metabolizzate tra il 2010 e il il 2011 da David Cronenberg in A Dangerous

    Method, o da John Carpenter in The Ward-Il reparto ma, ancor più, da Martin Scorsese in Shutter Island. E mentre sull'apice dell'imponente cancello serpeggiano due emblematiche anguille, olezza nell'aria un disagio portavoce di quel "male oscuro", di quel malessere, quasi connaturato all'essenza umana.

    Auto dichiarate dallo sceneggiatore Justin Haythe - che ha ideato e scritto il soggetto de La cura dal benessere con il regista Gore Verbinski - fonti di ispirazione come l’opera dell’autore tedesco Thomas Mann e dello psichiatra Carl Jung, fanno lo spelling della lingua parlata dal film. Una lingua declinata sull'"inquinamento del corpo e della mente nel mondo moderno e della conseguente ossessione per la purezza". Ossessione 'coltivata' alla lettera, e anche molto oltre, dall'enigmatico Dr. Volmer (nel sibillino e ambiguo ritratto di Jason Isaacs), iperprotettivo in modo inquietante prima ancora che preoccupante, soprattutto nei confronti della più giovane in assoluto di tutte le sue pazienti: la

    passiva ed ingenua Hannah, assorta in un mondo tutto suo, di Mia Goth. Embrione inconsapevole di una sordida beffa alla purezza e all'innocenza. Gli indizi rilasciati quasi come casuali inciampi sul percorso, passano per le ricerche su tradizioni e leggende legate al castello condotte dall'appassionata storica Victoria Watkins (Celia Imrie) degente nella clinica. Così, tra stupore e beffarda incredulità, a cominciare dal mancato ricevimento alla reception per un ritardo oltre l'orario di pochi minuti - non a caso svizzero equivale a puntualità e precisione elettive! - non sarà facile per il nostro Lockhart/DeHaan muoversi in questa selva oscura. Districarsi tra i felpati agguati entro gli inquietanti, labirintici corridoi, vedere chiaramente attraverso sinistri cerchi di luce o percorrere i cupi sotterranei della casa di cura senza rimanere intrappolato tra le spire degli innumerevoli rampicanti, in grado di dar corpo a vere e proprie torture del corpo e della mente con strumenti

    che sembrano presi in prestito dalle invasive e devastanti 'cure' adoperate negli antichi ospedali psichiatrici, rivisti in alcune importanti mostre d'arte a tema negli ultimi decenni. Il suo diventa sempre più un onirico viaggio del delirio, sospeso a metà, tra il labirinto mentale e la discesa agli inferi, là dove la paura annebbia fino a far smarrire la ragione.

    Cantilene, canti popolari, l'oggetto ninnolo come simbolo iconico dal doppio significato, hanno da sempre accompagnato horror di vari livelli senza necessariamente richiamarsi a Dario Argento. Per non dire delle irrinunciabili superfici riflettenti: specchi, riflessi, lenti da cui osservare o essere osservati. Monili metaforici anch'essi da sfoggiare fin dalla porta d'ingresso: la sinuosa e suggestiva ripresa del treno ad alta velocità che si sdoppia proprio sull'onda del riflesso, apre il varco all'ambivalente chiave di lettura che tutto abbraccia e tutto ingloba. E poi lei, capace di riflettere più di altri elementi il

    cangiantismo di quella sottile linea che separa dal benessere per il bene e dal malessere per il male. La regina della mobilità, tra luce e oscurità, nei moti ondosi così come in calma piatta. La quiete prima della tempesta. Vedi l'acqua e scopri sorprendenti rivelazioni, mostruosità in bilico tra realtà e fantasmi della mente. E le citazioni si sprecano mentre si lasciano apprezzare: è ad esempio il caso delle vasche d'acqua per la deprivazione sensoriale secondo la sedicente 'terapia', eredi del primigenio esemplare ideato da Ken Russel per gli esperimenti del professor Edward Jessup di John Hurt in Stati di allucinazione (1980). Ma citazione dopo citazione Verbinski sembra cadere in un vero e proprio stato di venerazione per Stanley Kubrick: dopo averlo chiamato più volte in causa con la purezza metafisica del bianco che d'altra parte ben si sposa con una clinica, lo celebra poi con i fasti nuziali che

    si preannunciano da brivido ancor prima che se ne possa intravedere la veste sacrificale sull'altare dell'ignominia, giacché tutti i partecipanti indossano una sorta di saio bianco con tanto di cappuccio come le antiche sette, ammiccando, sotto certi aspetti, al Fidelio di Eyes Wide Shut, derivato per l'appunto dal Doppio sogno di Arthur Schnitzler. E si direbbe proprio la dualità, la sovrana indiscussa di questo maniero in un certo senso 'draculiano', colei che apre e chiude questa luciferina 'Cura dal benessere', fingendo di lavorare in favore di un malessere insito nella natura umana. Ed ecco che ancora l'ombra lunga di Kubrick (Shining) si stende e avanza fino a raggiungere il bagnasciuga dell'epilogo, in fuga dal benessere e dal malessere, ma con un ghigno luciferino che dà da pensare.

    Secondo commento critico (a cura di PETER DEBRUGE, www.variety.com)

    'Pirates of the Caribbean' director Gore Verbinski goes overboard paying homage to classic Vincent Price movies.

    Everybody’s sick with something in “A Cure for Wellness,†be it vanity or avarice or envy, though it’s clear that whatever regimen the mysterious Dr. Volmer has devised isn’t helping one bit with their recovery. As played by Jason Isaacs, who hovers about the movie’s ominous Swiss sanitarium, Dr. Volmer comes across like a character straight out of a classic American International Pictures horror show, and that’s precisely the vibe director Gore Verbinksi appears to be going for in a movie that, while creepy, won’t do much to dig him out of the hole he made for himself with “The Lone Ranger.â€

    Unfortunately, it feels as if Verbinski has failed to grasp the most important lessons of that misstep, delivering once again an extravagant B-movie homage that is longer, darker, and more unwieldy than

    the genre demands, while failing to produce a character that audiences much care about at its center. Though Isaacs clearly has the movie’s meatiest role — the sort of scenery-chewing opportunity that might have gone to Vincent Price in a previous era — Justin Haythe’s screenplay is lopsided toward an irritating young man named Lockhart (Dane DeHaan) who finds himself trapped in Dr. Volmer’s insidious clinic.

    But Lockhart is hardly an innocent himself. Like a cross between the characters Leonardo DiCaprio played in “Shutter Island†and “The Wolf of Wall Street,†he’s an unscrupulous and quite possibly unhinged young investment shark, dispatched to Switzerland to retrieve a senior partner who appears to have gone a bit crazy there. A more efficient version of the same story might have opened with Lockhart’s arrival at the movie’s stunning sanitarium, located on the site of a castle burned to the ground by suspicious villagers

    more than a century earlier. Instead of teasing this deliciously occult backstory, Haythe false-starts with a grisly prologue in which one of Lockhart’s colleagues suffers a heart attack over the office water cooler.

    Though the point of this unnecessary scene seems to be that men in Lockhart’s line of work run the risk of killing themselves out of sheer stress, it also serves to introduce what will become Verbinski’s pet motif for the film: a sinister new way of looking at water. Rich folks pay top dollar to take in the allegedly fountain-of-youth-like effects of the aquifer-fed waters at the remote wellness center where Lockhart spends the rest of the movie, and yet, Verbinski slyly suggests that these healing liquids aren’t quite as advertised (meanwhile, the staff all seem to be drinking supplementary “vitamins†from cobalt blue vials).

    The location is clearly the star here, as production design maestro Eve Stewart seamlessly

    combines the stark institutional feel of Germany’s Beelitz-Heilstätten hospital with the hilltop perch of Hohenzollern Castle, surrounded by breathtaking panoramas of the Alps. Early on, we’re told that the villagers don’t get along with “the people on the hill,†establishing the sort of uneasy tension that once led an angry mob to storm Frankenstein’s castle — and indeed, Dr. Volmer is dabbling in similarly against-nature experiments of his own, which will be revealed in due time.

    A century earlier, a spa environment of this sort might have been considered an idyllic retreat from the pressures of the modern world, and yet, as presented here, it feels as superstitiously old-fashioned as electroshock therapy and leeches. Not even for a moment are audiences invited to daydream about a sojourn here; instead, Verbinski twists the scenario to exploit whatever anxiety we might have about being committed to such a place.

    Lockhart’s first attempt to leave

    ends in a nightmarishly brutal car accident, triggered by a deer whose own cruel fate the film renders in graphic detail. Awakening with his leg in a cast, Lockhart now finds himself captive in a place where everyone else has voluntarily elected to stay — and while there’s probably some horror in being held against his will, it isn’t nearly as interesting as the alternate dream-like scenario of being seduced by a situation you know you should resist, but can’t, like the unsuspecting sailors who succumb to the Sirens of Greek mythology.

    The equivalent here would be a young female patient named Hannah (Mia Goth), who may be the source of the skin-crawling la-la-la ditty that haunts the soundtrack. Dr. Volmer describes her as a “special case,†and indeed, she doesn’t appear to be from the same time as anyone else at the clinic. It’s as if she wandered astray from

    her picnic at Hanging Rock and wound up here, surrounded by unhappy older people (such as Celia Imrie and Harry Groener, who plays the man Lockhart was sent to retrieve), and Lockhart quickly convinces himself that it is she who needs saving.

    As viewers, it’s very hard to commit to any established system of logic while watching all of this unfold, as Verbinski and editors Pete Beaudreau and Lance Pereira encourage an almost hallucinogenic approach. In addition to deliberately blurring Lockhart’s notion of time (via blackout ellipses and odd flashbacks to the music-box ballerina his mother gave him during her final days), they invite surreal details to warp what limited sense of reality this place provides — such as the eel-related imagery that appears everywhere, from the clinic’s entrance gate to trompe-l’oeil gimmicks in which Lockhart thinks he sees them wriggling beneath the skin of his fellow patients.

    What Verbinski is doing

    here amounts to a two-and-a-half-hour exercise in atmosphere, using all the tools at his command to create a sustained feeling of suspicion and dread — from Benjamin Wallfisch’s ominous score to DP Bojan Bazelli’s green-tinged visuals (a partnership forged on Verbinski’s even more effectively psyche-scarring “The Ringâ€). As in “Shutter Island,†we’re led to wonder whether there’s merit to the protagonist’s paranoia, of if he’s simply merely going insane himself.

    When Lockhart finally does get to the bottom of the mystery, however, the explanation is a serious letdown, a tawdry cliché rehashed from the likes of “The Phantom of the Opera†and “The Abominable Dr. Phibes.†The movie deprives us of either a tragic villain or a sympathetic lead, hoping that its grab bag of squirm-inducing details — dental drills, stillborn livestock, flesh-eating eels — will suffice, when in fact, they reveal how a shorter, tighter treatment ought to have done

    the trick.

    Perle di sceneggiatura

    Il Dr. Heinrich Volmer e la sua cura: "Ciò che offriamo qui è un semplice processo di purificazione lontano dal logorio del mondo moderno"

    Commenti del regista

    "Lockhart è un ragazzo deciso ad avere successo a tutti i costi. È un agente di Borsa, che esemplifica perfettamente un certo tipo di persona. Fa soldi a palate, è vero, ma che cosa realizza concretamente? Crea denaro attraverso altre persone che creano denaro, a differenza di quelli che, ad esempio, fabbricano scarpe o vasi di argilla. Questi ultimi producono qualcosa di reale. Lockhart ha decisoche non sarà come suo padre che, a suo tempo, non ce l’ha fatta. Riuscirà a ottenere un posto nel consiglio di amministrazione della società. È disposto a barare, mentire, ingannare e a qualunque altra cosa pur di avere la meglio sui colleghi. Quando Lockhart giunge alla clinica del benessere, il suo atteggiamento è di negazione: lui pensa di
    non avere alcun problema. Invece, il giovane soffre della stessa malattia degli altri pazienti, ma in forma molto più grave. In breve, quando il Dottor Volmer gli diagnostica la misteriosa patologia, anche lui diventa un paziente della clinica. Inizia così a indagare sui segreti più profondi e oscuri del centro ma, più si avvicina alla verità, più il contatto con la realtà si fa evanescente"

    Altre voci dal set:

    La scenografa Eve Stewart ha condotto approfondite ricerche sulle SPA europee prima dell’inizio della produzione:

    "In tutti i miei progetti faccio sempre molte ricerche preliminari. Sono meticolosa e mi piace andare a fondo
    in tutte le cose. Ho visto una piscina a Budapest in cui le persone giocano a scacchi. Ho visitato numerosi centri termali, specialmente in Europa orientale, che adottano un approccio olistico alla cura della persona, nella convinzione che il bagno nelle acque termali ricche di sali abbinato alla vaporizzazione massiccia di
    acqua faccia bene alla salute. Questo è un aspetto che abbiamo voluto approfondire!".

    Bibliografia:

    Nota: Si ringraziano 20th Century Fox e Samanta Dalla Longa (QuattroZeroQuattro)

    Pressbook:

    PRESSBOOK in ITALIANO de LA CURA DAL BENESSERE

    Links:

    • Gore Verbinski (Regista)

    • Dane DeHaan

    • Mia Goth

    1 | 2 | 3

    Galleria Video:

    La cura dal benessere - trailer 2

    La cura dal benessere - trailer

    La cura dal benessere - trailer (versione originale) - A Cure for Wellness

    La cura dal benessere - spot 'Lei non è come le altre'

    La cura dal benessere - spot 'Processo di purificazione'

    La cura dal benessere - spot 'Sei sicuro di star bene?'

    La cura dal benessere - spot 'Siamo tutti malati'

    La cura dal benessere - clip 'Ci prenderemo cura di lei'

    La cura dal benessere - clip 'Sei qui per la cura?'

    La cura dal benessere - featurette 'Ti stavamo aspettando' (versione originale sottotitolata)

    La cura dal benessere - featurette 'Non vorrai più andartene' (versione originale sottotitolata)

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